Puntata 07 –

…a cura di Laura Schram Pighi

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Puntata 7

   Vi avevo promesso di condurvi per sentieri poco frequentati nei “boschi narrativi della prosa italiana” sulle tracce di Boccaccio e del suo Decamerone: un modello valido ancora oggi  per chi vuole raccontare con le parole la storia del suo tempo. Dante aveva creato il volgare illustre per raccontare in poesia agli uomini le opere di Dio, Boccaccio sceglie la stessa lingua per raccontare in prosa la vita degli uomini: un’arte non facile, che trasmigra da Firenze dove nasce, nell’unica area culturale dell’Italia del Quattrocento, adatta ad accoglierla, a Venezia, grande repubblica marinara che estendeva il suo dominio su tutto l’Adriatico fino al Medio oriente.

   A Venezia l’arte di raccontare nel Quattrocento è già antica quanto lo sono le avventure dei viaggiatori e dei marinai, e ha già una propria lingua di comunicazione e di espressione, il veneto, uno dei grandi dialetti neolatini. Il plurilinguismo a Venezia e in tutta la repubblica di San Marco è una esperienza quotidiana: il latino serve per comunicare per scritto con tutta l’Europa cristianizzata, mentre le grandi civiltà come la greca e l’araba, trovavano in  Venezia la porta d’ingresso nella civiltà latinizzata, per scambiare arte e ricchezza.

   Si forma così una realtà linguistica a più livelli che riflette una realtà economica e sociale in movimento, dall’identità ben precisa e non conflittuale, del tutto diversa da altre aree culturali italiane. Il sistema giuridico e politico della repubblica di San Marco era in grado di accogliere i diversi lasciando loro la libertà di esprimersi: Venezia nel Cinquecento era una città di 150.000 abitanti dove vivevano già da un secolo circa cinquemila Greci, di alto livello culturale, ai quali si aggiunsero fino a tredici comunità di stranieri provenienti da tutta Europa, per un totale di un migliaio di persone, gente che aveva spesso idee diverse da quelle di chi comandava, e dava valore al messaggio trasmesso dalle idee, più che alla forma…

   Per capire a fondo questa unicità, bisogna leggere soprattutto i testi letterari lasciati dalle compagnie dei comici dell’arte dal Cinque al Settecento: essi documentano sia il volgare illustre di modello trecentesco scelto da Pietro Bembo, così come il dialetto rustico, il pavan del Ruzzante, e persino il latino maccheronico di Teofilo Folengo. I comici si rivolgono però sia al pubblico dei piccoli centri urbani come Modena, Ferrara, o Mantova, sia agli ospiti illustri delle famiglie principesche di quelle città, allora di grande importanza sullo scacchiere politico italiano. Ma soprattutto si spostano per tutta Europa lungo quella rete di contatti politici ed economici tessuta da secoli dai mercanti protagonisti del Decamerone.

   Il teatro popolare dal Cinque al Settecento ci permette di scoprire tutta una letteratura alternativa parallela a quella classica: una letteratura antagonista in dialogo continuo con la protagonista delle classi colte, quella letteratura che ci hanno fatto credere essere l’unica, e quella vera e giusta, in opposizione a quella “sbagliata” perché diversa. L’impostazione ideologica della critica letteraria novecentesca, che staccava il testo letterario dal suo tempo, e una relativa scarsità di documentazione, hanno profondamente falsato il dialogo continuo e ricchissimo tra i due livelli di letterarietà: cinquant’anni di serie e preziose ricerche d’archivio hanno messo in luce una ricchezza letteraria solo intravista da pochissimi ricercatori.

   I comici dell’arte erano in grado di servirsi dei temi eterni di satira dei costumi, tipici del teatro comico, ereditati dalla cultura latina e greca classica e  in gran parte dal Decamerone, per fare la parodia dell’attualità: operazione molto rischiosa.

   Essi rappresentarono per tre secoli un canale di scambio culturale tra Venezia e il resto del mondo, quando l’Italia era schiacciata e vinta da francesi e spagnoli e da tre ondate di peste e tutte le strutture politiche e religiose erano in crisi.

   Ma vince soprattutto chi sa comunicare arte e cultura, non solo col teatro, ma anche con la narrativa e la stampa come vedremo in seguito.  

Laura Schram Pighi

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