Puntata 56.3 (Postuma) – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “LA POTENZA DEL RISO: “Le donne “risibili” nel primo e nel secondo Novecento”

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56.3 (Postuma) – Le donne “risibili” nel primo e nel secondo Novecento.

L’umorismo letterario non era la sola via offerta alle donne per una possibile evasione dal conformismo che paralizzava la società. Esse potevano anche rifugiarsi nella scrittura fantastica e così entrare nel mondo della favola e del meraviglioso, in quello che oggi si chiama fantasy. Inventare o ritrovare antiche favole era stato un percorso già seguito dalla scrittura femminile quando occorreva rispondere alla necessità di letture adatte all’infanzia, età particolarmente sensibile all’umorismo. Emma Parodi Delfino con decine di altre favoliste lo avevano seguito, e lungo questo percorso incontreremo anche Carlo Collodi, per arrivare nel 1910 alle Bestie del Novecento di Palazzeschi, e poi a Rodari e a Italo Calvino e persino ad Alberto Moravia con le sue buffe Storie della preistoria (Milano, Bompiani, 1982).
C’era però in Italia da più di un secolo, come abbiamo visto, anche un altro genere di narrazione fantastica, il viaggio immaginario verso l’isola che non c’è. Ma questo genere di romanzo era ritenuto “pericoloso” dalle autorità del tempo, proprio per l’umorismo sul quale si reggeva il racconto, popolato da personaggi fantastici come per esempio gli animali. Questo timore durerà a lungo e investirà anche la zoologia reale che non è meno simbolica di quella fantastica: nel 1942 le Storie di animali, di Fabio Tombari era ritenuto dalla censura del regime, un libro da boicottare e il suo autore un sovversivo da mettere a tacere.
Comunque, ci raccomanda Michela Murgia in un importante articolo su Repubblica (12-11-2017): Leggete il fantasy, scoprirete la realtà. Il confine tra i due mondi, il reale e il fantastico, è da sempre oggetto di riflessione filosofica, ma in questo caso, chi scrive, ed è persona colta, non conosce l’esistenza della utopia letteraria, il che prova come un genere narrativo emarginato dalla critica accademica per gran parte del secolo, possa scomparire dalla editoria, e quindi dalla scuola, come oggi dalla informazione via Internet.
Chi scrive dunque si riferisce solo al fantasy, una narrativa che provoca stupore, paura, ansia, e può accumulare all’infinito effetti speciali, ma sempre uguali. Il racconto fantasy, di moda ora anche in Italia, è totalmente privo di umorismo, mentre il racconto utopico si serve della fantasia per creare personaggi immaginari, in ruoli comici. La fantasia, scrive giustamente la giornalista, ottima scrittrice della quale è uscito di recente un suo libro “Futuro interiore”, riflessioni sulla generazione degli anni ’70, (Einaudi, 2018) resta comunque oggi “l’unico registro convincente e popolare rimasto in mano a chi voglia fare letteratura con una intenzione minimamente politica”. Certo, ma la fantasia da sola non basta per sostenere una idea, essa ha bisogno dell’umorismo, l’unica forza che permette di proporre un mondo diverso.
Michela Murgia nel suo articolo indica però una delle caratteristiche fondamentali della narrativa di utopia: quella di occuparsi di un mondo di “impotenti: bastardi, femmine, storpi, evirati, orfani, esuli, invertiti e stranieri. Di questa parata di esclusi abbiamo un bisogno tremendo, forse più da adulti che da ragazzi… chi riconosce il fondamento della propria letteratura nella Divina Commedia, libro politico e fantastico come mai altri prima, quello scarto irrealistico dovrebbe rivendicarlo come diritto di nascita”. Un suggerimento prezioso del quale si dovrebbe tener conto soprattutto nelle scuole, occupate ad educare solo “poveri infelici seri”. Non deve andare dispersa quella preziosa eredità lasciata dall’Avanguardia delle scrittrici italiane cent’anni fa come Antonino Ronco intitola un prezioso inserto del Corriere della Sera su una ventina di scrittrici del primo Novecento, tra le più note al loro tempo. Ma nessuna di loro osava ancora scrivere per far ridere: perché?

Laura Schram Pighi

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