Puntata 13 – Utopia 2

…a cura di Laura Schram PighiPoesia

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Puntata 13 – Utopia 2

   La seconda data importante da ricordare è il 1548: quella della prima edizione dell’Utopia di Thomas More tradotta in italiano. E qui si pone un problema teorico di fondo, quello della sua fortuna. Quando una opera letteraria è scritta per lettori contemporanei, essa condivide realtà note a chi scrive e a chi legge. Ma quando quel testo viene tradotto in un’altra lingua, per altri lettori di una  società diversa e cinquant’anni dopo, gli effetti sono imprevedibili.

   L’Utopia è stata scritta (1516) per lettori inglesi ed europei che un anno dopo avrebbero letto le tesi di Lutero (1517) e si preparavano ad esportare un modello di civiltà occidentale verso paesi non ancora evangelizzati: questo si chiama  protestantesimo e il colonialismo. Processi storici complessi che nel 1548 quando il libro di More, arrivò in Italia erano del tutto sconosciuti persino nella sola “internazionale” Venezia. La Repubblica di S. Marco era allora la capitale della editoria italiana, l’unica città dove l’Utopia avrebbe potuto essere pubblicata  per essere letta da una società affamata di narrativa di viaggi, anche i più immaginari, e fantastici,  pensiamo al fanatico e perdurante successo dell’Ariosto e del suo Orlando furioso. Ma come venne recepita?

   Per capire a fondo la fortuna italiana dell’Utopia di Thomas More, non possiamo trascurare la differenza tra società italiana e quella europea, in tempo di controriforma e di censura, cosa che ci  permette di capire come dopo un iniziale accoglienza positiva dell’Utopia di More da parte di una ristretta elite culturale, la critica  ne cancelli l’eredità nella narrativa del secolo successivo quando nasce quello che Asor Rosa chiama Il Romanzo Barocco. (Letteratura italiana: le forme del testo II la prosa. Einaudi 1984).

   Questo fenomeno molto complesso è stato studiato solo a partire dagli anni ’80 del Novecento, e ripreso anche di recente in alcune giornate di studio dedicate a Luigi Firpo (vedi Dictionnaire op. cit. pp. 239-57). Ma non mi fermerò a commentarlo: ve lo ricordo ora perché dopo il 1548, la prosa narrativa italiana, sempre in bilico tra “la norma e lo scarto” (è un bel titolo di R. Scrivano, Roma, Bonacci 1980) affiancò al modello della novella boccacciana, un nuovo modello narrativo, quello del viaggio nell’isola che non c’è con dei risultati sorprendenti sui quali torneremo. Il nuovo romanzo su modello utopico, trasformò tutto il repertorio delle avventure  dei protagonisti del racconto quando capitavano a vivere in un mondo all’incontrario, e guardavano il proprio da un punto di vista diverso.

   Era inevitabile che la nuova narrativa diffusa dalla stampa, cadesse sotto l’attenzione della censura politica e religiosa della Controriforma: che poteva a stento tollerare la presenza della fantasia di tipo favolistico o mitologico nei testi letterari, ma non certo delle idee e dell’umorismo, della satira, o della parodia, tutte forze nelle quali More era maestro e che gli costarono la vita.

   L’Utopia di More catalizzava tutti gli elementi essenziali per lo sviluppo della narrativa italiana : alla quale insegnò come l’antico tema del viaggio possa arricchirsi immensamente se si rompono le dimensioni spazio temporali, e come il plurilinguismo in uso a Venezia possa servire per comunicare nell’ isola che non c’è.

   Quella “storia non meno vera che necessaria” suggeriva “nuovi modi di governare stati, reggier popoli, dar leggi ai senatori”: occorreva metterla a tacere. Cosa che avvenne in tutta Italia,  per tutto il Seicento fino a metà Settecento ma non a Venezia. Una area culturale da sempre autonoma, che si estendeva sulla terra ferma fino a Bergamo e al di là dell’Adriatico per tutta la Dalmazia, una società che ignorò gli anatemi romani, il famoso interdetto, e continuò la sua politica di tolleranza verso altre confessioni religiose (ebrei, mussulmani, riformati, e altri “diversi”). La Repubblica di San Marco era ancora all’inizio del Seicento così politicamente potente da scacciare i Gesuiti dal suo territorio, per prima in Europa: per ragioni fiscali.

   Una burrasca che lasciò tracce molto profonde, durante la quale la letteratura trovò le sue vie di sopravvivenza rifugiandosi nell’umorismo e nella natura.

Eppure benché a fatica la nuova narrativa italiana riuscì a sopravvivere: con quali stratagemmi?

Laura Schram Pighi

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