Puntata 41.1 – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “La città ideale”

…a cura di Laura Schram PighiPoesiaPer le tue domande, opinioni o suggerimenti
scrivi a >>> lpighi@tin.it


Puntata 41.1 (continuazione) – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “La città ideale”

Un caso analogo ci riporta all’ombra di San Marco qualche anno più tardi quando nel 1810, Alvise Mocenigo e sua moglie, figlia di Andrea Memmo, autore degli Apologhi immaginari (1787), tutti amici di Giacomo Casanova, decidono di costruire la città di Alvisopoli, bonificando un loro latifondo paludoso nel basso Friuli. Dalla imponente documentazione epistolare e amministrativa studiata da Giandomenico Romanelli si deduce tutta la vastità del progetto sulla città ideale. Alvisopoli fu una impresa economica e culturale insieme, una vera piccola città che visse a lungo grazie ad una stamperia, prima fonte di reddito per una comunità numerosa le cui abitazioni sono ancor oggi in gran parte esistenti, a Latisana. Alvisopoli sarà famosa per le sue numerose edizioni di grande pregio, tra le quali quella fortunatissima dell’Icosameron di Giacomo Casanova.
Anche la provincia veneta contribuì allo sviluppo dell’idea di città futura con la proposta di una città musicale, governata dalle stesse leggi dell’armonia. Ne troviamo la descrizione in una opera scritta da un architetto, Francesco Maria Preti (1701-1774) Elementi di architettura del 1780, una “vera sperimentazione teorica nel laboratorio della città possibile, prossima ventura” come scrive Virgilio Vercelloni, nel suo Atlante storico dell’idea europea della città ideale ( Milano, Jakabook 1994). Non escludo uno stretto rapporto tra il trattato del Preti e l’Icosameron di Casanova, edito otto anni più tardi, dove la civiltà dei Mégamicres è completamente immersa nella musica e vive grazie ad una stamperia.
La città ideale per una società italiana futura, viene proposta anche da un nobile napoletano Vincenzo Marulli, esule politico in Inghilterra dopo la fine della Repubblica Partenopea del 1799. Dopo aver ammirato “l’eccezionale fenomeno” dei giardini nelle città inglesi egli scrive due studi L’arte di ordinare i giardini del 1804 e Su l’architettura e su la nettezza della città del 1808. Sono opere che per la loro concretezza si possono accostare alla prosa didascalica alla quale appartiene il Bel paese di A. Stoppani, ma con la loro forte carica utopica alimentano la fiorente letteratura sul giardino inglese, tanto diffuso nell’area culturale del Nord Italia, là dove Ippolito Pindemonte scrive le sue Prose e poesie campestri.

La prima città reale investita dal ruolo di città futura ai primi dell’Ottocento, fu Milano: era diventata la capitale della Repubblica Cisalpina napoleonica, punto d’incontro di innumerevoli esuli arrivati dalle province non ancora “italiane”: tutta una nuova società che esigeva nuove città .
Napoleone commissionò all’architetto Giannantonio Antolini (1756-1841) un nuovo centro laico e politico, Foro Bonaparte, ma di quel colossale intervento pubblico è rimasto oggi solo l’arco di trionfo, e una ricca serie di magnifiche illustrazioni, le scenografie di una città futura. Esse sono manifesti politici espressi in linguaggio grafico, simili ai tanti pamphlet giacobini e repubblicani che non intendevano raccontare ma solo convincere.
Sono simili piuttosto ai numerosi “Sogni” di autore anonimo, scritti in quei primi anni dell’Ottocento, come quello che io stessa, come vi dicevo, ho trovato per caso nella biblioteca civica di Verona scritto da un anonimo “cisalpino”. Si tratta del Sogno di un cisalpino ossia idee combinate ad assicurare la felicità, la libertà e l’indipendenza della Repubblica Cisalpina. Milano an. IX Rep. Le idee combinate sono espresse nel progetto di una nuova costituzione da dare ad una Italia unita, allora solo immaginata.
C’è anche una donna capace di sognare un mondo futuro da costruire attorno ad una città ideale. Si tratta di Maria Luigia (1791-1847) figlia dell’imperatore Francesco I, moglie di Napoleone, duchessa di Parma dal 1815 per una quarantina di anni, che sa esprimere nelle sue memorie una completa riflessione sulla città ideale, la sua Parma, al fine di “rendere 400 mila anime felici, e proteggere le scienze e le arti” Una lettura da consigliare ai moderni urbanisti per i loro piani regolatori.
La raggiunta unità d’Italia comportò, com’era prevedibile, una trasformazione profonda dell’idea di città anche in seguito allo spostamento della capitale da Torino a Firenze e finalmente a Roma nel 1870. Infatti nelle regioni del Nord Italia i nuovi rapporti sociali ed economici frutto della prima industrializzazione e il conseguente spostamento di intere masse popolari dalla campagna alla città, fu necessario un radicale rinnovamento delle città: se ne occupò da scrittore per la gioventù persino San Giovanni Bosco, che si fece anche editore: si dimentica spesso di ricordare questa sua importante attività ora continuata dal suo ordine.
Come abbiamo già osservato la narrativa popolare produsse moltissimi romanzi sulla nuova realtà urbana, intitolati i Misteri che denunciavano soprattutto gli aspetti degradati delle città. L’assenza di grandi narratori popolari come lo erano in Francia Eugène Sue o Victor Hugo, limitò i Misteri alla più facile denuncia dei mali senza progettare soluzioni alternative future. Carlo Lorenzini Collodi rifiutò di scrivere in quel genere diffusissimo, che giudicava troppo privo di umorismo, e preferì costruire il suo mondo nel paese della fantasia dove far vivere Pinocchio, un “gran bel paese”, che però ancora non c’era.
Anche il contemporaneo romanzo sociale o quello operaio non offrivano soluzioni, e così tutte le contraddizioni dell’età giolittiana si riflettono nella invenzione della città, che nasce in parallelo col romanzo cittadino.
Attorno alle prime fabbriche si costruirono nuovi centri urbani come Collegno o Crespi d’Adda, ma solo Alessandro Rossi, fondatore di Schio, vicino a Vicenza, nel 1848, seppe tradurre in letteratura il suo sogno urbanistico e dedicò alla sua città una raccolta di versi divisa in tre parti: Il passato, Il presente, Il futuro e la intitolò Schio artiera (1866).
Bisogna attendere quello che Renato Salvadori chiama il Socialismo utopistico, perché un certo numero di narratori osino spostare la città reale al di fuori dal tempo e dallo spazio: questo è il momento dell’Immaginario della città socialista.

Laura Schram  Pighi – (41.1 continua)

↓