Puntata 45.1 – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “LA POTENZA DEL RISO: Alcuni esempi di comicità letteraria. Ridere con le parole: Luigi Riccoboni detto Lelio (1676-1753)”

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45.1 – La potenza del riso: Alcuni esempi di comicità letteraria.

De Courville preferiva parlarmi della vita materiale dei comici dell’arte, dei quali si sentiva l’ultimo erede, più che del loro ruolo nel teatro di Marivaux o nell’opera pittorica di Watteau come in quella musicale di Lully ai quali aveva dedicato i due primi volumi della sua opera. E per questo mi spinse a documentarmi sulla situazione giuridica ed economica delle compagnie italiane di giro in Francia nel Seicento e Settecento e sul loro costante conflitto con la Chiesa di Francia, quella “gallicana” fortemente nazionalista, che aveva scomunicato tutto il mondo del teatro privando i comici di ogni diritto civile e penale, persino della sepoltura in terra consacrata.
Due campi di ricerca inesplorati, ai quali mi sono dedicata a lungo raccogliendo materiale prezioso che confluì nel secondo articolo pubblicato sempre dall’Accademia di Modena nel ’57, e poi nello stesso anno in un corso monografico a Bologna.
Le mie ricerche “fuori pista” che sconfinavano nella storia del diritto canonico, oltre che in quella del diritto civile francese, suscitarono vivissima curiosità tra i miei studenti italiani di allora, e la cosa rimbalzò fino al Piccolo Teatro di Milano dove Nico Pepe, che conoscevo per altre vie, un famoso Pantalone del tempo, volle parlare a lungo con me delle vicende “francesi” della commedia dell’arte e vent’anni più tardi venne a recitare nel ruolo di Pantalone, per i miei studenti olandesi alcune delle più famose scene goldoniane.
Ma la più grande lezione che ho potuto trarre dalla mia fortunata esperienza parigina mi venne dal poter vivere “tra le scene di un teatro”, fatto ben diverso dal leggere un testo teatrale o dall’assistere ad una rappresentazione stando seduti in sala.
In casa De Courville non c’era distanza tra il testo letterario scritto e quello recitato: Xavier e Jacqueline stavano mettendo in scena allora alcune Favole di La Fontaine, e ogni settimana rappresentavano dei canovacci di Riccoboni nel loro piccolissimo teatro di casa, il Micropéra, per una cinquantina di spettatori. Così io ho potuto capire quanta vita può dare alla parola la magia della voce, l’espressività di un gesto, la funzione della maschera, o il colore di un costume da scena, la luce, le ombre, le pause. E come non si possa separare il comico di parole dalla musica e dall’arte figurativa. Specialmente quello trasmesso dalla commedia dell’arte.
L’ultimo “Arlecchino di Francia”, mi ha soprattutto dimostrato perché i comici dell’arte italiani erano stati invitati alla corte di Francia e ovunque nel mondo per tre secoli dal Cinquecento al Settecento: loro sapevano far ridere, e questa era la più difficile delle arti, e la più pericolosa, quella che i miei maestri-attori francesi cercavano di far rivivere nei loro spettacoli, con la loro mimica eloquente e con un meraviglioso gramelot italofrancese, una lingua ridicolosa, la più internazionale di tutte.
Tutto era cartone dipinto in quella casa ricavata dall’atelier di un pittore, ma tutto era vero, perché questa è la magia del teatro. Io potevo assistere alle prove di ogni spettacolo, e me ne stavo nascosta in sala al buio, per ammirare quanto ogni effetto “spontaneo” sulla scena fosse frutto di una tecnica rigorosa e sofisticata, per portare alla perfezione un’arte fatta di parola, gesto e voce, l’arte ridicolosa, la più umana di tutte.
E allora ho cominciato a capire come far ridere possa essere una cosa tremendamente seria.
Eravamo nel 1955-56 e pochi anni più tardi la vita mi portò in Olanda, ad Utrecht, ad insegnare italiano, così le mie ricerche hanno preso un’altra via (l’Età delle riviste) e non ho più continuato ad occuparmi di commedia dell’arte, se non in modo saltuario: una volta quando il mio istituto di italiano mi ha “imprestato” all’Accademia d’arte drammatica, dove un docente voleva tenere un corso sul teatro all’improvviso, e una seconda volta quando io stessa ho dedicato un corso ai libretti d’opera e questo mi ha permesso di ritrovar alla Biblioteca Nazionale dell’Aja, due libretti inediti con testo di Goldoni e musiche di Baldassarre Galuppi, il Buranello. L’archivio nazionale dei libretti d’opera con sede a Milano, non li conosceva ancora.
Ed ora fate venire sul vostro schermo l’introduzione al libro di Anna Maria Testaverde I canovacci della Commedia dell’arte, (Torino, Einaudi, 2007) e osservate le date della bibliografia da lei consultata: sono tutti studi posteriori al ’57, e prevalentemente di autori inglesi o americani, così si aprirà davanti a voi una foresta incantata, l’antro delle meraviglie, una scoperta che ha del miracoloso, come lei stessa afferma, quei canovacci che io non avevo potuto trovare né in Italia né a Parigi.
E capirete anche la mia ammirazione nel leggere questo lavoro prezioso e il rimpianto per essere entrata, ma solo per troppo poco tempo e tanti anni fa, nel mondo incantato della commedia dell’arte.

Laura Schram Pighi – (45.1 fine)

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