Puntata 14 – Una eredità

…a cura di Laura Schram PighiPoesia

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Puntata 14 – Una eredità

   Le trasformazioni di un genere letterario non avvengono allo scadere degli anni o dei secoli e non sempre è evidente la causa che le determina. Nel caso della prosa narrativa italiana dopo Boccaccio, la data di svolta, al contrario, è chiarissima e corrisponde al suo incontro con la prima traduzione italiana dell’Utopia di Thomas More nel 1548.

   I primi lettori italiani, ossia gli intellettuali dell’area veneziana di metà Cinquecento, reagirono positivamente a questo libro straordinario, che venne accolto come una  battuta di un dialogo tra umanisti europei su problemi di filosofia politica tra neoplatonici e seguaci di Machiavelli. Quei letterati non ne colsero subito né il valore letterario, né l’allusione all’attualità, che per More era quella fosca e tragica della società inglese del suo tempo. Un anno dopo l’ edizione latina dell’Utopia, Lutero nel 1517 espose le sue 95 tesi contro la chiesa di Roma, ma la cultura italiana di cinquant’anni più tardi, quella del 1548 , anche la più aperta, come quella veneziana, non era in grado di cogliere la critica dell’Utopia di More contro la chiesa e la religione, né contro le guerre o la struttura politica della società. Quando apparirà a Venezia la prima traduzione italiana dell’Utopia, il Concilio di Trento era appena iniziato (1545) e a Venezia, sempre indifferente verso la curia di Roma, le sue conseguenze non si erano ancora fatte sentire.

   Saranno i filosofi, gli architetti e gli urbanisti del secondo Cinquecento, quelli dell’area culturale Nord italiana a rispondere per primi alle proposte di una nuova idea di città (Sabbioneta e Sforzindia, Palmanova o Pienza, e Palladio che  inizia la civiltà delle grandi ville in terra ferma) e a loro si affiancherà la letteratura con alcune opere di prosa narrativa di nuovo tipo: esse continuano nella forma espressiva il dialogo e la cornice, tipica del modello boccacciano, del resto presente anche nell’Utopia, ma inseriscono nel repertorio tradizionale del racconto il tema della città futura. Il primo esempio di “prosa nuova” è di Anton Francesco Doni con I Mondi (1552), l’anno dopo Francesco Patrizio da Cherso scrive La città felice, e nel 1575 Ludovico Agostini scriverà La repubblica immaginaria.   

   La bibliografia critica su questa realtà letteraria e culturale, è sterminata e ricchissima; vi suggerisco due sintesi preziose, quella di Maria Luisa Scalvini (pp. 125-130) e di Andrea Battistini (pp. 269-279) nella Histoire transnationale de l’utopia littéraire (2008).

   Vorrei ora solo ricordare che il primo erede di More scrittore, fu il suo stesso traduttore in italiano, Anton Francesco Doni (1513-1574) appassionato cultore di Dante, Petrarca e Boccaccio, un toscano attivo nel turbolento mondo editoriale veneziano, uno dei tanti inquieti viaggiatori per l’Europa, ben diverso da Thomas More, che non ha mai viaggiato molto, e non è mai venuto in Italia, tutto preso dalla sua intensa vita di grande avvocato e uomo politico.

   Però More conosceva bene il Decamerone attraverso l’opera del grande poeta medievale inglese Chaucer, autore dei Racconti di Canterbury, e nell’Utopia infatti ne riporta la cornice, il dialogo, gli incontri sorprendenti dei viaggiatori nell’isola che non c’è. Si deve al Doni se il testo latino dell’Utopia arrivò a Venezia: Doni era ad Anversa ospite dei Bonvisi, una famiglia di banchieri lucchesi che vi tenevano banco da quattro generazioni. Saputo della morte di More (1535) e del successo editoriale dell’Utopia in Europa, si fece dare il testo latino per tradurlo in italiano e lo portò con sé a Venezia dove lo pubblicò nel 1548 con la collaborazione di Ortensio Lando, che  nello stesso anno aveva curata l’edizione dei Dialoghi di Luciano, tradotti dal greco in latino da More e da Erasmo.

   I Bonvisi erano vecchi amici e consiglieri finanziari del grande Cancelliere inglese, tanto che quando seppero della feroce carcerazione di More nella Torre di Londra, e della sua condanna a morte, riuscirono a farsi dare il permesso per visitarlo e gli portarono una bottiglia di vino italiano e un po’ di frutta. Mi piace pensare che un raggio di amicizia italiana sia andato a consolare chi ci ha insegnato a sperare in un mondo diverso, migliore.

Laura Schram Pighi

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