Puntata 42.2 (continuazione) – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “La lingua universale”

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42.2 (continuazione) – La lingua universale

Per affermare che un dialetto, anche uno tra i più letterariamente documentati come il veneto, possa diventare la lingua standard per l’Europa futura, occorre però l’immaginazione di un letterato veronese, Angelo Faccioli (1888-?) che nel 1931 ha ideato un completo Italiano moderno e ha pubblicato nel 1950 una serie di opuscoli intitolati Lingua Nazionale e Lingua universale per dimostrare che la lingua ideale per una futura Europa, non può essere che il veneto, e in particolare quello veronese nella variante di Villafranca, perché quella è la lingua più simile al latino.
Pare di attualità dunque rileggere le antiche utopie letterarie, che suggerivano di far rivivere fondendole insieme in un unico europanto, le molte lingue naturali esistenti, cosa che avviene già nell’arabo, che ha fuso in un generale pan-arabo i suoi tanti dialetti e varietà regionali, e mi informano che si verifica pure nella pratica di in una impresa internazionale per trivellazioni di pozzi per acqua, la Dong-AH, che ha creato per il suo personale proveniente da ogni parte del mondo, una propria lingua di comunicazione, al di là dell’inglese “ufficiale”. Lo stesso fenomeno si verifica tra le centinaia di comunità della isola di Papua Nuova Guinea che hanno fuso i loro linguaggi in un inglese “collettivo” scritto e orale il pidgin.
La terza proposta, quella che troviamo a più riprese lungo tutta la narrativa d’utopia italiana, suggerisce di frantumare e giocare con le lingue naturali esistenti per arrivare in futuro ad una lingua nuova universale che recuperi l’espressività dei dialetti e si presti al fiorire dei neologismi utilizzando lingue nazionali diverse fino a raggiungere un completo mistilinguismo (Casanova, Morasso, Imbriani, Savinio).
Uno dei primi autori e tra i più famosi nell’uso di questa lingua è stato Francesco Colonna (1433-1527) che scrisse una opera allegorica in prosa nel 1499 la Hypnerotomachia Poliphili usando una lingua artificiale, quella che da allora si chiamerà polifilesca, composta da “italiano, veneziano, latino, greco, ebraico, spagnolo ed etrusco”.
È un gioco antico dunque, il cui effetto straniante era già in uso a Venezia quando arrivò la traduzione italiana della Utopia di Tommaso Moro e dei Dialoghi di Luciano, e sarà portato in giro per l’Europa specialmente dai comici dell’arte per almeno due secoli. Ne conosceva bene gli effetti comici il famoso Arlecchino di fine Cinquecento, Tristano Martinelli, che recitava in tutta Europa in questa lingua composta da italiano, francese spagnolo e latino. Peano la chiamerà interlingua, e sarà ripresa da Dario Fo nel suo gramelot, simile a quello del cantautore Francesco Guccini che unisce latino, pavese, modenese, bolognese, inglese e italiano, che lui chiama “mescolone” tanto simile a quello di Totò, studiato solo di recente da specialisti di scienza della comunicazione (Roma, Garocci, 2003) e da un titolare universitario di plurilinguismo dell’ Università di Udine.
Il plurilinguismo della narrativa dei viaggi immaginari dai più antichi a quelli più recenti è dunque un fenomeno illustre e ricchissimo che raggiunge la sua manifestazione letteraria moderna nel romanzo di Diego Mariani, capo traduttore della comunità europea, intitolato Les adventures des inspecteur Cabillot il primo libro in europanto (Ed. Mazarine, 2000).
L’europanto di Mariani, è, come scrive lui stesso “una lingua per giocare” ma costituisce una prospettiva inquietante, perché giocare con le parole permette di farsi gioco delle idee che le parole trasportano e delle emozioni che esse sanno suscitare. Abbiamo ricordato il rapidissimo arricchimento dell’ italiano nei tre anni giacobini (1797-99) a contatto con le parole chiave della Rivoluzione francese, ma quelle non erano parole per giocare, ma per rinnovare la società degli italiani, e sono oggi più vive che mai. Vi segnalo su questa realtà, un lavoro recentissimo e prezioso di Silvia Morgana “Il gusto della nostra lingua” (Firenze, Cesati, 2017)

Laura Schram  Pighi – (42.2 continua)

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