Puntata 41.2 – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “La città ideale”

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Puntata 41.2 (continuazione) – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “La città ideale”

Il Politecnico di Milano nel 1994 ha dedicato un importante convegno a questo tema portando alla luce alcuni narratori finiti “in ombra”, affascinati dalla trasformazione urbanistica del loro tempo. Agostino della Sala Spada (1842-1913) è uno di questi e tra i pochi che guardi al progresso con ottimismo. Nel suo romanzo intitolato Nel 2073! Sogni di uno stravagante, ci presenta la sua Torino quando sarà diventata un porto di mare. Attraverso il Po la città è entrata “in comunicazione diretta con Genova e Venezia e quindi con il Mediterraneo e con l’Adriatico”.
Tra i narratori attenti in particolare al rapporto tra ambiente naturale e comunità urbana spicca Andrea Costa (1851-1910) il primo deputato socialista al Parlamento nazionale, che scrive Un sogno (1883). Egli vede la sua Imola completamente rinnovata:
Tutti i sudici vicoletti erano spariti; di tutte le vecchie catapecchie non si vedeva più traccia. Né mura né porte né cancellate dividevano oramai più i sobborghi della città () Fontane e giardini ornavano le piazze () Non è questa una città che si chiama Imola? Io vivevo in un tempo in cui Imola era ben diversa da ciò che è adesso. Allora () a lato dei palazzi vi erano casupole e catapecchie indecenti; a lato delle chiese sorgevano i postriboli () da un secolo già queste cose sono sparite, la grande rivoluzione internazionale estirpò dalla terra gli ultimi avanzi di barbarie!
Naturalmente il suo non era che un sogno, ma “lasciatemi sperare che si avveri un giorno” conclude l’inguaribile utopista.
Il testo completo è molto più lungo, e si può accostare ad un altro romanzo, intitolato Un comune socialista, storia semiseria (1884) scritto da un veterinario, anarchico, amico di Andrea Costa, Giovanni Rossi, detto Cardias (1856-1943) La terza edizione dell’opera che conobbe un notevole successo, porterà una prefazione scritta dal famoso uomo politico romagnolo.
Cardias ritornerà dieci anni più tardi (1893) sul tema della città ideale con un romanzo dove la trama amorosa si intreccia con le idee socialiste e riflette la drammatica realtà della emigrazione di massa: Un episodio d’amore nella colonia Cecilia, ma la proposta dell’autore non va al di là di una borghesissima futura città giardino.
Ben più concrete sono le previsioni di un ingegnere e geografo, Ulisse Grifoni (1858-1907) che prevede in tutti i particolari come sarà il mondo futuro Dopo il trionfo del socialismo. Sogni di un uomo di cuore (1907) in un romanzo di 200 pagine. Qui il tema urbanistico è centrale e si estende a tutta l’organizzazione sociale nell’anno IV dell’Era Socialista. Chi scrive non è un narratore, e non è certo dotato di umorismo, ma riesce ad esprimere molti dei sogni urbanistici degli italiani del primo Novecento.
Troviamo un anno dopo, un romanzo di enorme successo, scritto da una donna Beatrice Speraz (1843-1923) intitolato La fabbrica (1908) pubblicato sotto lo pseudonimo maschile di Bruno Sperani. La vicenda umana della protagonista è ambientata a Milano nel 1880 e riflette la disastrosa situazione economica e sociale delle prime donne operaie a contatto col mondo del lavoro. La fabbrica è un cantiere edile in una città come Milano resa irriconoscibile dagli sventramenti di interi quartieri per far posto alla città futura.
Si può inserire Bruno Sperani nel ribellismo tipico della scapigliatura milanese al tempo di Tarchetti o di Dossi, mentre la Roma dei contemporanei romanzi di D’Annunzio presenta una società che rifiuta la nascita di una città moderna e fa della nuova capitale una fonte inesauribile di speculazione.
La proposta più radicalmente nuova, viene da un letterato e musicista barese, che viveva a Parigi, la città che più di tante altre in Europa era stata capace di rinnovarsi. Si tratta di un romanzo filosofico intitolato La ville sans chef (1910) scritto in francese da un amico di Apollinaire, Ricciotto Canudo (1877-1923). La vicenda si svolge in una isola dell’Oceano Indiano, scossa da un tremendo terremoto che distrugge la città capitale e costringe una parte della popolazione a fuggire nelle montagne per costruire una nuova città, dove vivere ma senza un capo che imponga le sue leggi. Questo tipo di città mette in evidenza i tanti problemi di convivenza tra le classi sociali, gli stessi indicati anche da Mario Morasso (1871-1938) che nel 1903 nella sua La Metropoli scriveva una opera giudicata da Carlo Ossola come “una delle descrizioni certo più ricche e affascinanti di tutta la letteratura italiana di inizio secolo, dalla descrizione del suo eponimo nuovissimo flusso vitale, il Metropolitano () ai Grandi Magazzini”.

Laura Schram  Pighi – (41.2 continua)

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