Puntata 05 –

…a cura di Laura Schram Pighi

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Puntata 5

   Altro che bosco, il povero Dante era uscito anche lui per una passeggiata, ma si ritrovò “per una selva oscura… selvaggia e aspra e forte”. Sapeva però dove voleva arrivare, da Beatrice che era nella luce dell’amore di Dio. 
La sua prosa quella della Vita Nuova, la prima prosa in volgare della letteratura italiana, non bastava per una impresa simile, ci voleva la forza della poesia, quella che lo fa scrivere quando “amore spira “ e “ditta dentro” per questo Dante si fa guidare da Virgilio, ricollegandosi così con la poesia del passato. Ma sceglie di scrivere la Commedia nella lingua del futuro, il volgare: la scelta del mezzo espressivo per un viaggio di quel tipo, è per Dante una operazione studiata nei particolari (nel Convivium) e tutta la letteratura italiana dopo di lui dovrà tenerne conto.

   La prima generazione di letterati dopo Dante si trova davanti al compito immenso di “attraversarlo”. Petrarca, che pure lo conosce a fondo ma non osa confessarlo, preferisce far rinascere il latino, la grande lingua del potere: ne ritrova le tracce scritte per tutta Europa, e lo usa in tutte le circostanze per parlare agli amici o ai potenti della terra, sempre. Ma sceglie il volgare italiano, la lingua dell’infanzia, del cuore, dell’amore, solo per il suo Canzoniere.
Boccaccio invece osa confrontarsi più da vicino con Dante, e scrive il Decamerone come una commedia umana, in volgare e in prosa, per essere l’erede della eterna necessità di raccontare e di raccontarsi. Vorrei seguire con voi i percorsi della prosa narrativa quella che ha il suo modello nel Decamerone perché è la meno conosciuta nei testi, e la meno studiata dalla critica.

   Ma non seguiremo i cartelli indicatori (la bibliografia critica è sterminata), vi porterò dove sono andata io stessa capitata per caso per sentieri poco battuti, quelli che ci portano “dietro alla facciata”: perché conoscere una narrativa “diversa” ci permetterà di capire meglio quella “normale”. Faremo alcune tappe in zone poco esplorate dove il grande albero della prosa narrativa fiorisce con più rigoglio, ma prima parliamo di spazio (ossia area culturale) e di tempo (Quattro e Cinquecento). Morto Boccaccio (1348) chi osava scrivere e come e perché, dopo le tre corone?

   Osserviamo una cosa: Dante, Petrarca e Boccaccio per nascita e lingua sono toscani, condannati a vivere lontani dalla loro patria, e non vorranno tornarci mai più. Saranno esuli perpetui, sbattuti da una corte all’altra, da un principe all’altro, pieni di amici e sempre soli: ma passano tutti da Verona, il che significa che si rifugiano (e con loro decine di intellettuali) nell’area culturale veneziana, la più vivace e internazionale del tempo.
Boccaccio si sente scolaro di Dante, vissuto a Verona una decina di anni, e si muove all’ombra del Petrarca, che si era fermato a lungo a Verona ossia nella Biblioteca Capitolare dove c’era un gruppo di amici che prima di lui già si dedicavano alla rinascita del latino, i pre-umanisti veronesi e veneti. Poi compra casa ad Arquà vicino a Padova, e lascia tutti i suoi libri a Venezia, così che il petrarchismo, che si espanderà per tutta Europa, nasce e fiorisce all’ombra di San Marco non di Firenze.

   Questo significa che la classe dominante veneziana, politicamente ed economicamente distante da Firenze e ancor più da Roma, è l’erede di due lingue di pari dignità il latino e l’italiano. E sarà un patrizio veneziano, il Bembo a scegliere l’italiano per una Italia che ancora non c’era. Ma per l’Europa e il mondo dal Quattrocento fino a Napoleone, l’Italia era Venezia, la sua letteratura, la sua musica, la sua pittura che si chiamava Bellini, Paolo Veronese, Tiziano, Tintoretto… E Venezia significava la stampa, che fu per allora come e più dell’era digitale odierna.

   Dante aveva fatto del volgare il veicolo per proiettare l’Italia verso il futuro, Petrarca lo aveva portato in giro per il mondo traducendo in latino una novella di Boccaccio scritta in italiano. Ma la Repubblica di Venezia di lingue ne aveva anche una tutta sua, parlata e scritta, per il popolo come per i patrizi, ossia mercanti: il veneziano. Serviva per viaggiare il mondo e fare affari, come per le sedute del Gran Consiglio, ma anche per accogliere e proteggere chi non poteva più vivere a casa propria: gli altri, i diversi.

Laura Schram Pighi

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