Puntata 50.2 (Continuazione) – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “LA POTENZA DEL RISO: La prosa scientifica: da Galilei a Italo Calvino (1923-1985)”

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50.2 – La prosa scientifica: da Galilei a Italo Calvino (1923-1985)

La comunanza di interessi e di metodo spinse Genovesi economista, e ottimo autore di prosa scientifica, a coltivare per tutta la vita l’amicizia e la collaborazione con un grande fisico newtoniano come l’olandese Peter van Musschenbroek (1692-1761) inventore della famosa “bottiglia di Leida”, traducendone in italiano nel 1745 l’opera fondamentale Elementa phisicae (Lione 1734) alla quale aggiunse come prefazione una propria Dissertatio: un esempio di circolazione europea della prosa scientifica e insieme di formazione di una comunità internazionale di scienziati, lettori delle relazioni dei grandi viaggiatori naturalisti e geografi, che arrivavano ad Amsterdam come a Napoli dopo aver incontrato mondi lontani ancora sconosciuti: che avrebbero potuto diventare, secondo Genovesi, anche nuovi mercati.
Una lettura attenta delle Lettere accademiche del Genovesi, conferma anche una osservazione della Altieri Biagi a proposito di Galilei, sulla passionalità tipica dello scienziato quando difende una sua tesi, per rompere il luogo comune sulla freddezza della ragione in confronto col sentimento del letterato delle quali vi ho già parlato presentandovi il loro autore.
Ne abbiamo un esempio nelle Lettere accademiche (1764) là dove il Genovesi proponeva di educare i giovani ad un “sapere utile” che unisse l’esperienza degli scienziati a quella dei tecnici, l’unico modo per uscire dalla tremenda crisi economica del suo tempo. Occorreva “armare le mani” ossia insegnare ai giovani un mestiere, per creare economia e lavoro, perché solo la sicurezza economica può permettere di raggiungere una certa felicità, all’opposto della cultura tradizionale, trasmessa dalle scuole dei gesuiti, destinata ad una classe sociale e politica oramai al tramonto.
È uno sfogo appassionato su un problema di drammatica attualità, riflesso della esperienza durissima della infanzia di Genovesi passata nei bassi napoletani.
Genovesi economista, non dimentica i rapporti tra ragione e vita anche a livello espressivo: le Lettere accademiche potrebbero essere lette addirittura come un copione teatrale per il velocissimo dialogo a due voci di forte intonazione napoletana. L’opera intera fin dal congiuntivo ipotetico del titolo (…se siano più felici gli ignoranti che gli scienziati…) suggerisce una domanda implicita che troverà la sua risposta alla fine del libro. “V’ha in quasi tutte le nazioni culte una sapienza che veglia per creare l’abbondanza e genera carestia; ed una pazzia che minaccia carestia e reca abbondanza… Avete visto? Si può egli vivere con questa sorta di pazzi, che si chiamano dotti? Addio, addio, fa caldo, Napoli 27 luglio 1764”.
Le Lettere accademiche si concludono con i Dialoghi dei morti e un Decreto di Apollo che sentenzia “la stoltezza è da un pezzo il sommo bene de’ mortali laggiù. I soli stolti si tengono felici”. A questo punto la prosa scientifica diventa narrativa, la fantasia e l’umorismo prendono il sopravvento e trasportano il lettore in un futuro lontano nel tempo e nello spazio di dove Galileo “guarda stupito una sì nuova commedia”.
Ritroviamo un secolo più tardi, lo stesso stile colloquiale di modello galileiano filtrato attraverso la letteratura didascalica, in un altro scienziato scrittore, pure lui discepolo di Galilei: Antonio Stoppani (1824-1891) che vi ho già presentato parlando di natura e paesaggio.
In Stoppani alla fine dell’Ottocento ritroviamo ancora viva la tradizione di Galilei scrittore, con la stessa necessità di dialogo e di sorridente complicità col pubblico, e la stessa esattezza nella lingua che lo spingono a creare parole nuove per realtà scientifiche ancora sconosciute.

Laura Schram Pighi

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