Puntata 43.1 – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “LA POTENZA DEL RISO: DANTE”

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  • 43.1 (continuazione) – La potenza del riso: Dante

Dante riconosce in se stesso una particolare disposizione ad essere trasmutabile (Paradiso V, 97-98) ad essere cioè in grado di rifarsi, come avviene nel suo viaggio passando dal Purgatorio al Paradiso là dove incontrerà Beatrice “il termine del suo moto”. Gli ultimi versi del Purgatorio (XXXIII, 142-145) affermano che è possibile raggiunge il fine del viaggio, solo se siamo diventati nuovi: 

              Io ritornai dalla santissim’onda
              Rifatto sì come piante novelle
              Rinnovellate di novella fronda
              Puro e disposto a salir alle stelle.

Però trasumanar significar per verba/ non si poria (Par.I, 67-72) con la sola parola l’uomo non è in grado di rinnovarsi, e se resta fermo, rischia di raccontare solo il passato. Dunque la capacità umana della parola, quella che permette di raccontare il viaggio, sarà in grado di comunicare solo se l’uomo saprà essere anche risibile, sarà capace di ridere. Per immaginare con la fantasia e raccontare il futuro l’uomo deve essere spezialmente risibile per attingere a quella che Ovidio chiama una fonte misteriosa, quella santissima onda purificatrice che gli permette di farsi altro, diverso, nuovo.
Ovidio e le sue Metamorfosi, stanno nel cuore di Dante come e ancora più di Virgilio, e gli consentono una impressionante capacità divinatoria che gli fa superare la tradizione biblica di una lingua perfetta ab aeterno, infranta dal peccato della Torre di Babele, per spingerlo ad inventare una nuova lingua, capace di trasformarsi giocando con le parole e con i silenzi, perché capace di creare umorismo.
Dante assume un atteggiamento analogo anche a proposito della sua nuova visione del creato, quando oserà dire ironicamente nel De aqua et terra (Verona 1320) ad un uditorio di sapienti fermi nel culto del passato, che finiranno sepolti sotto le loro parole, perché non sanno ridere di sé.
Italo Calvino negli anni ’90 del secolo scorso affermava cheIn Italia… la storia della comicità letteraria è ancora in gran parte da fare” rivolgendo così un invito a tutti noi a colmare questa lacuna, e a riconoscere la “potenza del ridere” per continuare a essere uomini liberi dunque risibili.
Per questo Rablais buon lettore di Dante afferma “Le rire est le propre de l’homme”.

In Italia la comicità letteraria in tutte le sue possibili varietà accompagna i venti secoli di letteratura come fosse una straordinaria colonna sonora che va dalla ilare santità di San Francesco, fino ad oggi. Solo che da un secolo siamo stati educati a non ascoltarla, come fosse un fastidioso rumore di fondo.
Per questo nella prima parte della nostra passeggiata nei boschi letterari, ho provato con voi a distinguere, ad ascoltare il suo suono e a capirne il senso inseguendo quel particolare genere narrativo il romanzo di utopia, nel quale l’umorismo era funzionale al racconto. Certo non è stato facile districarsi nella “foresta oscura” e non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di alcune guide come Dante per primo e come poi Italo Calvino, nostro contemporaneo.
Bisogna dire che la critica letteraria dell’ultimo Novecento, dopo anni di disattenzione verso la comicità letteraria, ha dedicato molti sforzi per ricuperare il tempo perduto, producendo una notevole bibliografia, col contributo soprattutto di linguisti e di psicologi: sono stati esaminati termini come ironia, satira, parodia e chiarita la differenza tra umorismo e comicità, e questo ha portato alla “scoperta” anche di grandi umoristi messi “in ombra” come Leopardi per esempio, e persino di una intera “famiglia” di narratori umoristi: gli “sterniani”.

Laura Schram  Pighi – (43.1 continua)

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