Puntata 43.2 – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “LA POTENZA DEL RISO: DANTE”

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  • 43.2 (continuazione) – La potenza del riso: Dante

Nel primo Ottocento era arrivata in Italia, questa volta nell’area culturale toscana, ma ancora una volta dall’Inghilterra, una forma di umorismo più adatta ad esprimere la nuova sensibilità romantica. Si trattava del Viaggio sentimentale (1768) di Lorenzo Sterne (1713-1768) scritto nel momento della massima fioritura del genere romanzesco in Europa, edito in Italia nella traduzione in italiano del più anglofilo dei nostri poeti romantici, Ugo Foscolo col titolo di Viaggio sentimentale di Yorck lungo la Francia e l’Italia (1813). È una traduzione così perfetta da essere ritenuta a lungo come una opera originale del Foscolo e introduce nella nostra letteratura una speciale tonalità di umorismo leggero, ironicamente bonario e indulgente, molto diverso da quello tradizionale nostrano più realistico, o da quello serio e “impegnato” come il comico di idee.
Dal Foscolo possiamo dunque far nascere l’umorismo italiano, analizzato da alcuni ricercatori dell’università di Pisa in Effetto Sterne. La narrazione umoristica in Italia da Foscolo a Pirandello (Pisa, 1990). Gli “sterniani” formano una corrente composta dai nostri massimi umoristi dell’Otto e Novecento da Ippolito Nievo a Tarchetti, a Dossi, e a Pirandello per arrivare fino a Guareschi e a Dario Fo. L’umorismo sentimentale alla Sterne legge la realtà con la fantasia, come succede nelle favole, mentre il comico di idee, parte dalla fantasia per proporre una nuova realtà e si manifesta principalmente nella narrativa dei viaggi immaginari e in particolare in quelli di utopia.
Questa area della narrativa è rimasta a lungo inesplorata dagli storici della letteratura italiana fino ai primi del 2000, al contrario dei loro colleghi europei, compresi i russi, che ne hanno fatto un fertile campo di ricerche: ne ho avuta la prova nel 2010 in un congresso internazionale a S. Zeno di Montagna (Verona) su Ridere è una cosa seria, quando io stessa ho provato a tracciare nelle grandi linee una storia della comicità letteraria italiana, nella sorpresa generale.
Abbiamo già detto come il racconto di viaggio nato dal tronco della antichissima tradizione narrativa latina e greca, si rinnovi all’inizio del Cinquecento grazie all’opera di Tommaso Moro, l’Utopia, che si basa sulla relazione del quarto viaggio di Amerigo Vespucci in America, giunta a Venezia e tradotta nel 1548, e lo fa caricando le avventure del viaggiatore di una nuova comicità, diversa da quella delle Novelle boccacciane. Questo avviene principalmente per suggerimento di Luciano di Samosata e delle sue Storie verissime (I sec. d.C.), tradotte a Venezia nello stesso anno dell’Utopia, e poi ristampate per molte volte per tutto il secolo, che invitano il narratore di viaggi a capovolgere le dimensioni reali di spazio e di tempo, se vuole raggiungere la verità.
Ma rompere le dimensioni del reale significa mettere in crisi tutta l’idea di vero e di verosimile, di menzogna e di verità, e produce un inevitabile effetto comico che induce il lettore a chiedersi quanto di vero ci sia in quelle opere trasmesse dalla tradizione e definite tutte verissime, come la Bibbia per esempio (Casanova).
Questa operazione di satira della cultura canonica e della sua credibilità, che sta alla base delle prime grandi utopie italiane del Settecento (Seriman, Casanova, Pilati) e che vi ho più volte segnalato, serve a delimitare quel campo di energia utopica dove siamo entrati per suggerimento di Calvino, alla ricerca di testi letterari sulla città ideale, o sulla lingua universale, e dove cercheremo di cogliere la potenza del ridere.

Laura Schram  Pighi

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