Puntata 02 – Giovanni Boccaccio (1313-1375)
…a cura di Laura Schram Pighi
Per le tue domande, opinioni o suggerimenti
scrivi a >>> lpighi@tin.it
Puntata 2 – Giovanni Boccaccio (1313-1375)
La letteratura italiana “soffre” di un singolare privilegio: nel giro di un secolo dà alla cultura europea i modelli di poesia e di prosa che sono validi ancora oggi: Dante, Petrarca e Boccaccio.
Nel tempo della vita dei tre letterati, in una area geografica che va da Firenze a Venezia passando da Bologna e Verona, la società cambia , si affermano e sviluppano valori e idee, sensibilità e gusti impensabili cent’anni prima: Dante è l’erede della cultura medievale profondamente religiosa, con Petrarca inizia la coscienza del ruolo sociale dell’intellettuale, Boccaccio è un laico, che nel Decamerone (1350) scrive una “epopea del mercante” i nuovi protagonisti della società: le mura della città medievale sono crollate, il mondo è retto dal denaro e da chi lo sa governare, con le armi dell’intelligenza che può essere anche solo furbizia, rapidità di parole, satira, ironia: l’unica capacità che distingue l’uomo dalla bestia l’unica forza da opporre alla morte.
Boccaccio, come forse ricordate e potete verificare su Internet, ha scritto molte altre opere, in versi e in prosa, quasi tutte incompiute, puri esercizi di erudizione, frutto della cultura del suo tempo, ma Boccaccio è in realtà il padre di un unico capolavoro che raccoglie una tradizione secolare di racconti, non solo europei, ereditati dalla tradizione dei grandi romanzi francesi, dalla favolistica persiana ed orientale, e dalla viva voce di quei viaggiatori per terra e per mare, che avevano in Napoli, la sua corte, il suo porto, un approdo privilegiato, e l’occasione per incontrarsi.
Nel caso di Boccaccio i soliti luoghi comuni associano il Decamerone con tutti i racconti licenziosi di sesso: l’aggettivo “boccaccesco” definisce uno stile. Ma questo aspetto che pure esiste nelle novelle di Boccaccio, è il più banale, ripetitivo e “innocente” che ci possa essere per i nostri palati abituati al compiacimento morboso di certa letteratura e film, rientra in quel sano rapporto con la natura come vita e come morte, tipico della sensibilità di fine Trecento.
E non è certo in esso che si concentra la grandezza dello scrittore e le ragioni che fanno del Decamerone un modello letterario valido fino ad oggi.
Vorrei segnalarvi invece due “temi” che Boccaccio ci ha lasciato e che arricchiscono l’eterna capacità umana di narrare: inserire il racconto di qualcosa di curioso, nuovo, inatteso (e di qui il titolo di Novelle) dentro una cornice, ossia costruire un libro come si fa con un edificio, secondo una finalità che superi il senso delle singole parti, e scrivere rivolgendosi ad un lettore ben individuato, nel caso specifico alle donne, il lettore più emarginato.
Non vi sto a dire il fiume ininterrotto di critica letteraria italiana e straniera che si è sviluppato attorno all’idea di cornice: i massimi critici italiani del Novecento da G. Getto a V. Branca hanno dedicato la vita al Decamerone e alle opere del Boccaccio e ancora oggi la critica si arricchisce di contributi su riviste prestigiose e in congressi di studiosi che aprono nuove prospettive e sviluppi impensati sulla fortuna del Decamerone nel mondo. La monumentale recentissima traduzione in giapponese delle opere di Boccaccio e del loro lessico, sono solo un esempio di quella ricerca di modelli che culture lontane dalla nostra trovano nel Medio Evo e nel Rinascimento italiano.
La seconda “novità” del Decamerone, alla quale in genere non si dà molto attenzione, soprattutto a scuola, è la dedica di tutta l’opera alle “graziosissime donne” come lettrici. Le grandi narrazioni dell’antichità come la Bibbia, o i poemi omerici, si rivolgono a tutto il popolo dei lettori, ma la dedica ad un particolare tipo di pubblico ben individuato, indica che l’autore intende adattare la lingua e gli argomenti dei racconti e tutto il suo stile, a quel lettore ideale, che lui giudica il più importante, perché è capace di riprodurre la vita.
Vi consiglio di leggere le due parti iniziali del Decamerone, che spesso si saltano: il Proemio dove Boccaccio dice che intende raccontare cento Novelle perché siano lette “in soccorso e rifugio” delle donne che amano, e farà parlare “in dieci giorni, sette donne e tre giovani nel pestilenzioso tempo della passata mortalità”. Segue una Introduzione che è un impressionante affresco sul tema della morte, della peste, che nel 1348 aveva colpito Firenze sconvolgendo tutti i rapporti umani e l’intera società. Per salvarsi dalla morte fisica, ossia vivere al di là di questo limite, la piccola compagnia in maggioranza femminile, si salva con la parola, ossia comunicando idee, esperienze, fantasie, sentimenti, e si rifugia nella natura per parlare anche di amore, che è fatto certo di sesso, ma soprattutto di sentimenti.
Voi capite che dopo il Decamerone l’arte di raccontare in prosa e in versi, avrà un modello insuperabile, che interpreterà in infinite varianti ma al quale converrà rifarsi. Dove troviamo amore e morte, natura e sentimenti, e il ridere delle ipocrisie umane, là è arrivata la fortuna e la lezione del Boccaccio.
Laura Schram Pighi