Puntata 36 – “Gli eretici”

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   Puntata 36 – “Gli eretici

  La spinta verso il futuro che stava da tempo trasformando tutta la società italiana si manifestava in ogni espressione artistica e quindi anche nella narrativa, il genere tanto diffuso dalla stampa di massa tra fasce sempre più ampie di lettori.
Il romanzo storico aveva raggiunto il suo modello nei Promessi Sposi, e continuerà a trovare un costante gradimento nel pubblico, mentre in parallelo dai primi del Novecento in poi fiorisce una produzione di novelle, di romanzi psicologici e sentimentali, di avventure e di viaggi che propongono nuovi modelli narrativi. Questo porta alla formazione di una ricca e variata prosa italiana, che raggiunge il massimo della differenziazione in quel primo quindicennio del Novecento del quale ci stiamo occupando.
Vorrei tentare di ordinare il rapido succedersi di vari movimenti letterari che caratterizza questo periodo, tutti impegnati a proporre forme alternative di narrazione romanzesca in un processo di metamorfosi che porta al nascere di un nuovo romanzo.
Vi ho già accennato come nel secondo Ottocento a Milano e nell’area del Nord Italia, in  una realtà economica e politica sconvolta profondamente dalle guerre continue, l’idea di pace abbia la forza di proporre una realtà senza guerre, e si serva della narrativa per far presa sulle coscienze dei lettori.
Due scrittori, entrambi militari di carriera, Iginio Tarchetti ed Edmondo De Amicis, ebbero il coraggio di farsi portavoce della diffusa delusione per le guerre del risorgimento. Le loro opere, di enorme e perdurante successo, incisero profondamente nella sensibilità del pubblico, ma occorreva una pluralità e continuità di contributi artistici per ottenere un rinnovamento di tutta la letteratura nel suo complesso.
Ci fu allora un giornalista Cleto Arrighi (1830-1906) che nel 1862 trovò il nome giusto per quel movimento diffuso, che si estendeva a tutte le forme artistiche, nato sulla falsariga della cultura francese, una vera bohéme milanese e la chiamò scapigliatura, nel senso di contestazione delle regole, di esaltazione del disordine.
La scheda che trovate in Internet su questo termine, vi dà informazioni esatte, ma vi consiglio di allargare le vostre letture aggiungendo anche lo studio di Giovanna Rosa e Giuliano Cenati sui “Racconti della scapigliatura milanese” (Milano ed. università, 2007) al quale affiancare una antologia di Giacomo Battiato dal titolo molto indovinato I decadenti (Milano, Mazzotta 1967) che ha il merito di inserire gli scapigliati italiani nel ricco contesto europeo della décadence.
L’arte della decadenza fiorentissima in tutta Europa, alla quale i poeti e prosatori decadenti italiani si rifacevano, voleva esprimere la verità della vita e la cercava nel degrado delle città, (ricordate i Misteri in Pinocchio?), oppure nella prostituzione e nella malattia, nella vita degli emarginati, o degli emigranti, per opposizione agli ideali borghesi di tipo romantico. Ne nacquero persino delle varianti del romanzo storico, ancora oggi vitalissime, come  il romanzo giallo o il “noir”.
Vi ricordo ora solo alcuni prosatori  decadenti: Italo Svevo (1861-1928) ebreo italo tedesco che da Trieste, dai confini orientali della scena letteraria, non solo intervenne più volte con prose impegnate sul problema pace/guerra ma si beffava apertamente nei suoi Racconti di tutte i miti e gli stereotipi più diffusi nella società. Aggiungete anche Antonio Ghislanzoni (1824-1893) musicista come lo era Arrigo Boito, autore di numerosissimi libretti d’opera tra i quali quello dell’Aida di Verdi, che scrive un “classico” romanzo di utopia  Abrakadabra, storia dell’avvenire (1884, Milano, Marzorati 1969) per proporre una nuova realtà.
Tra di loro il più colto e letterato fu Carlo Dossi (1849-1910) il cui nome completo era Carlo Alberto Pisani Dossi, che scrive nel 1870 un romanzo Vita di Alberto Pisani sdoppiando il proprio cognome che assegna per metà al suo protagonista, ma dà il meglio di sé in una opera di modello utopico La colonia felice (1874 che ebbe sei edizioni fino al 1895)  tutta basata sul gioco del contrario, che suscitò l’entusiasmo del Carducci al quale Pisani l’aveva mandato in lettura.
In una lettera al giovane narratore scapigliato il poeta professore rispose: ”Io stimo e ammiro in voi uno dei pochi che-secondo me- faranno la nuova letteratura. “La colonia felice” è la più ampia e vigorosa concezione di romanzo che fra di noi da molti anni si sia avuta”. Carducci educatore di nuove generazioni aveva capito che quella narrativa esperimentale del Dossi e non certo quella dei romanzi di D’Annunzio, era l’unica via possibile per “attraversare” Manzoni. Carducci, scrittore di lettere vivacissime, (quasi sempre ignorate dalla critica) deve essere rimasto colpito, lui toscano, anche dalla lingua miscidata, un vero pastiche verbale, e dal particolare umorismo del Dossi, l’autore che anticipa il formarsi di quella “linea lombarda” seguita poi da Lucini, Gadda e Testori.

 Quella degli scapigliati milanesi non fu la sola proposta alternativa in letteratura, e nemmeno il neoromanticismo e il simbolismo dei fiorentini e dei modernisti, e la loro narrativa non fu certo trascurabile perché ce ne fu addirittura una, anche se del tutto emarginata dalla critica accademica novecentesca, che troviamo in un genere di romanzo il più radicalmente eretico, il romanzo di utopia. Mi ci sono dedicata alcuni anni e non mi è stato facile ricostruire la storia di questa corrente interna all’arte del narrare, già presente a partire da metà Settecento.
Per farlo mi sono lasciata guidare da alcuni segni distintivi tipici di questo genere letterario, costituiti da tre idee forza generalmente poco rilevanti nella comune prosa di finzione: l’umorismo (parodia, satira, caricatura ecc.) che consente ai personaggi di capovolgere la realtà, la fantasia che permette al lettore di immaginare un mondo diverso dal proprio, e le idee che suggeriscono la possibilità di una vita diversa.
Questo particolare tipo di racconto fiorentissimo da metà Cinquecento in tutta Europa, a partire dalla Utopia di Thomas More, era totalmente assente, fino ad una decina di anni fa, dalla storia della letteratura italiana così come veniva raccontata al pubblico, la stessa che ancora oggi continua a segnalare “una scarsità di narrativa nei primi anni del Novecento.”

  Certo non fu “scarsa” se agli autori già ricordati aggiungiamo anche la produzione di libri inesistenti scritti da autori mai nati, che propongono documentate biografie di fantasmi.
Ce lo dimostra Carla Chiummo nel 1997 su “Problemi” riferendosi specialmente ad una documentazione inglese e francese dove spicca la figura di Marcel Schwab, e non dimentica il suo doppio italiano, Gabriele D’Annunzio e le sue biografie immaginarie.
Il falso d’autore sta alla base di buona parte della letteratura italiana, basti pensare ai Canti di Ossian autentico falso letterario tradotti da Cesarotti che li giudicò autentici, sui quali si fonda tutto il nostro romanticismo, come Maria Corti e Guglielmo Gorni ci rivelarono ampiamente. Proprio a fine Ottocento questo gioco letterario portò persino alla comparsa nel panorama italiano di due autori inesistenti: Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini 1854-1916) e Giulio Orsini (Domenico Gnoli, 1838-1915). Il primo, era un pacifico bibliotecario bolognese, fondatore del Touring Club Italiano, che con il suo libro Postuma del 1877, lanciò addirittura uno stile lo “stecchettismo” una vera mania per il pubblico del tempo. Il secondo, direttore delle Biblioteca Nazionale di Roma, segnalato da Prezzolini come “fuori dal coro” per aver scritto un libro di “poesie di idee” si trasformò in un caso letterario a livello nazionale.
Vorrei completare questa biblioteca di libri inesistenti, invitandovi a leggere un testo presentato da Giorgio Manganelli, uno specialista di bugie letterarie, in una prefazione ad un libro di Luigi Settembrini (1813-1876) edito da Rizzoli nel 1977 a cura di R. Cantarella: I Neoplatonici, racconto inedito per Aristeo di Megara. Traduzione dal greco. Questo libretto ci rivela che il famoso padre della patria, fu “il mentito traduttore di un libro inesistente” di chiara tematica omosessuale. Documento accuratamente fatto scomparire da B. Croce che ne proibì la pubblicazione.
Questi documenti non rappresentano solo una curiosità divertente, ma ci portano a riflettere sul significato di un falso in letteratura e a capire quanto l’umorismo possa essere considerato pericoloso. Perché ogni falso mette in crisi tutta l’idea di vero, di obbiettivo, di storico, di verosimile, e spinge il lettore a chiedersi dove si trovi la verità.      

      Laura Schram Pighi

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