Puntata 55.2 – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “LA POTENZA DEL RISO: “Trieste e la sua cultura”

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55.2 – Trieste e la sua cultura

La prima guerra mondiale (1915-’18) aveva trasformato profondamente la società italiana, e quindi anche la sua cultura, lasciando le tracce più evidenti nell’area geografica più sconvolta dalla guerra, quella del Nord Est così che la pianura padana con le grandi città, i fiumi e le vie di comunicazione stradali e ferroviarie, erano servite da retrovia per le truppe al fronte. Storici, sociologi, economisti, hanno dedicato ricerche ampiamente documentate ad ogni fase di quella guerra, che si svolgeva anche fuori dei confini italiani sconvolgendo gran parte dell’Europa. Vi consiglio la lettura di alcune opere sulla grande guerra di uno storico e ottimo divulgatore, come Arrigo Petrucco per cogliere tutta la portata del fenomeno.
La narrativa di evasione continua il modello del romanzo romantico, ma non manca una continuazione della narrativa d’utopia come si vede da una interessante “retrospettiva storica” pubblicata integralmente in una rivista specialistica: ”OZ, rivista internazionale di utopie (1994, N.2). Si tratta del rendiconto di un giornalista presente alla conferenza che un certo Cesare Esperio tiene in una città dell’America meridionale, Nuova Bologna, nel giorno 254 dell’anno 3000. Il giornalista che scrive la recensione della conferenza è Giovanni Seregni e la pubblica nella rivista “La Nuova Parola” del dicembre 1903 col titolo Il mondo del XX secolo. Franco Ratto la ripubblica nel 1994 col titolo Dal futuro al presente: una retrospettiva storica, osservando che “non sfuggono al dottor Esperio alcune conseguenze negative… derivate dal divario tra profitto economico e felicità umana (…) nell’anno 3000 il mondo pagava il duro prezzo del progresso economico”.
La satira verso il presente è resa da una lingua scarna, esatta, che produce un effetto umoristico giocando con i toni dell’antiretorica e ci conferma che poteva essere scritta solo da un esperto studioso del Settecento come era Giovanni Seregni. Negli anni ’90, quando mi sono imbattuta in questo testo, cercando notizie sullo sconosciuto narratore di utopia, ho trovato su di lui solo uno scarno riferimento ad un erudito archivista milanese, curatore di una edizione completa delle lettere dei fratelli Verri. Ricercando oggi in Google non si dà di lui nessun dato anagrafico. Giovanni Seregni, è stato uno studioso molto serio dell’illuminismo nel Settecento lombardo, era attivo nel primo Novecento, nella città dove allora più che altrove si preparava il futuro, Milano, e fu una voce che sapeva ridere sul progresso che avanzava, quello che spaventava tanto Paolo Mantegazza nel suo L’anno 3000 (1897) ed Emilio Salgari nelle Meraviglie del Duemila (1907).
Guerra significa anche trasformazione di intere fasce della società, chiamate ad assumere ruoli nuovi, determinanti: questo fu il caso delle donne, sia del popolo che della borghesia, in particolare quelle del Nord Est. Già le guerre del Risorgimento avevano fatto emergere numerose figure femminili nel mondo del giornalismo, della scuola, o dell’arte, ma la grande guerra affidò alle donne anche l’agricoltura, la prima industria (seta, lana) il commercio, i trasporti e le comunicazioni (poste, telegrafo) cosicché finita la guerra, i reduci tornati alla vita civile fecero fatica a ritrovare il loro ruolo in un contesto sociale ed economico profondamente mutato.

Laura Schram Pighi

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