Puntata 40 – “La potenza del riso”

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        Puntata 40 – “La potenza del riso”

In uno dei suoi  Pensieri, il LXXVIII scritto nel 1832 (in Tutte le opere, ed. 1940, vol. 11: Pensieri, discorsi e saggi) Giacomo Leopardi, grande umorista, creatore di favole utopiche, ricche di satira e di comicità, ci confida in un “pensiero” senza titolo, che cosa significhi il ridere per lui, e ci presenta con un attacco brusco, senza preamboli, una ironica scenetta di genere, che rivela tutta la sofferenza del poeta, giovane ma deforme e invalido, vessato dal bullismo dei suoi coetanei. È la confidenza quasi sussurrata al lettore da chi si sente escluso, senza colpa, dalla vita dei suoi coetanei, emarginato, scartato. E riconosce nel ridere l’unica potenza che possa vincere l’esclusione, la solitudine, persino la morte. Questa pagina di Leopardi meriterebbe oggi di essere esaminata anche da psicologi ed educatori per la sua drammaticità, e attualità.

Sotto l’apparente distacco, la violenza del dolore represso si rivela nel vocabolario insolitamente militaresco e guerriero usato dallo scrittore: lui tanto debole nel corpo, riconosce a chi ha il coraggio di ridere, un potere che ne può fare il padrone del mondo. Vi riporto il testo nella sua interezza per rispettarne il taglio dei periodi, e la sapiente punteggiatura, come lettura introduttiva alla nuova parte del nostro viaggio, quella che vi mostrerà alcuni frammenti dell’utopia polverizzata, i semi di speranza di un tragico secolo appena concluso, il Novecento, il secolo del ridere.

Due o tre persone in un luogo pubblico, che stiano ridendo tra loro in modo osservabile, né sappiano gli altri di che, generano in tutti i presenti tale apprensione, che ogni discorso fra questi divien serio, molti ammutoliscono, altri si partono, i più intrepidi si accostano a quelli che ridono, procurano di essere accettati a ridere in compagnia loro.

Come se si udissero scoppi di artiglierie vicine, dove fossero genti al buio: tutti n’andrebbero in scompiglio, non sapendo dove potessero toccare i colpi, in caso che l’artiglieria fosse carica a palla. Il ridere concilia stima e rispetto, anche dagli ignoti, tira a sé l’attenzione di tutti, e dà fra questi una sorta di superiorità.

E se, come accade, tu ti trovassi in qualche luogo, o non curato o trattato con alterigia o scortesemente, tu non hai a far altro che scegliere tra i presenti uno che ti paia a proposito, e con quello rider franco ed aperto con perseveranza, mostrando più che puoi che il riso ti venga dal cuore: e se forse vi sono alcuni che ti deridono, ridere con voce più chiara e con più costanza che i derisori.

Tu devi essere ben sfortunato se, avvedutisi del tuo ridere, i più orgogliosi e i più petulanti della compagnia, e quelli che più torcevano da te il viso, fatta brevissima resistenza, o non si danno alla fuga, o non vengono spontanei a chieder pace, ricercando la tua favella e forse proferendosi per amici.

Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso contro il quale nessuno nella sua coscienza trova sé munito da ogni parte. Chi ha il coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire.      

Laura Schram  Pighi

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