Puntata 24 – “Cristina e i giornali”.

…a cura di Laura Schram PighiPoesia

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   Puntata 24 – Cristina e i giornali.

     Il nostro rapido incontro con Cristina di Belgioioso (1808-1871) viaggiatrice e giornalista e il suo interesse per la cultura e la società del Medio Oriente, mi spinge a ricordarvi un aspetto della letteratura italiana spesso assente dalla informazione generale, quello del giornalismo, una realtà molto complessa  che ha inizio a Venezia, centro editoriale due secoli prima dell’attività di Cristina un mondo entro il quale Cristina fu a lungo una dei protagonisti.
Venezia, repubblica marinara autonoma da sempre, per i propri interessi politici ed economici aveva favorito lo sviluppo di una stampa periodica aperta a nuove idee e ad un nuovo pubblico in parallelo con l’editoria dei classici della letteratura italiana, continuando a dare rifugio per tutto il Settecento a letterati e artisti italiani ed europei in cerca di libertà. Ma quando la venuta di Napoleone in Italia (1800) mise fine alla indipendenza politica della Serenissima, permettendo l’insediamento dell’Austria, si verificò uno spostamento verso Milano di tutta quella parte della popolazione cittadina legata all’industria della stampa in ogni suo aspetto, un vero esodo di massa.
Milano già da un secolo ospitava i protagonisti dell’illuminismo francese ed europeo in riviste come “Il Caffè” dei fratelli Verri e di Cesare Beccaria, così quando divenne nel primo Ottocento la capitale politica della Repubblica Cisalpina instaurata da Napoleone assunse, e mantenne poi a lungo anche dopo la sua morte, il ruolo di capitale culturale di una Italia unita che ancora non c’era, indipendente solo nei sogni e nelle speranze degli intellettuali.
In questa Milano scriveva Cristina di Belgioioso, facendo da tramite con la stampa francese, assieme ai tanti  scrittori esuli politici fuggiti da Venezia e dal veneto, tra i quali anche Giovanni Pindemonte autore di teatro politico antiaustriaco di grande successo, fratello di Ippolito Pindemonte, traduttore dell’Odissea. Quella era la Milano di Foscolo approdato a Venezia dai confini greci del suo impero per imparare l’italiano, autore dei Sepolcri, che dedicò a Ippolito Pindemonte, e poi nominato professore a Pavia, venne mandato in esilio dagli austriaci.
La Milano napoleonica, capitale della Repubblica Cisalpina, attirò subito come una calamita moltissimi intellettuali, scrittori e tipografi, editori e traduttori, tutta gente che, morto Napoleone, si sentiva soffocare dal conformismo dei cattolicissimi austriaci dopo essersi illusa che i francesi avrebbero appoggiato la prima spinta verso l’unità italiana.
Vi ricordo che quello che venne sentito, specialmente da noi veneti, dopo aver letto le Ultime lettere di Jacopo Ortis, come un dramma collettivo, la fine della libertà per la cessione della Repubblica di S. Marco all’Austria col trattato di Campoformio, è solo uno degli aspetti della realtà culturale italiana, quello che da De Sanctis in poi, venne esaltato ai fini di politica risorgimentale nel racconto sulla letteratura. La quale staccata dalla storia e dalla società in tutto il suo complesso rischia di essere solo retorica, buona per ogni fine.
Milano per tutto l’Ottocento ospiterà anche una numerosa colonia di meridionali pure loro esuli politici che troveranno un fertile campo di lavoro e di sostentamento nel giornalismo: basta ricordare il più noto, Vincenzo Cuoco (1770-1823) che descrive con pungente ironia sui giornali milanesi collegati con quelli napoletani, la realtà sociale e culturale milanese vista da occhi meridionali, ossia da fuori campo. Cuoco era studioso di problemi storici ed economici, condannato dai Borboni a venti anni di esilio passati in Francia, tornato nella parte d’Italia “liberata” da Napoleone, dunque a Milano, fonda nel 1804 il “Giornale italiano” mentre continua a lavorare alla sua opera fondamentale il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799. E scrive anche un romanzo satirico, in forma epistolare, il Platone in Italia, uno dei testi più letti del tempo, ristampato per decenni.
Nella Milano dei primi dell’Ottocento dove s’incontrarono spesso per la prima volta, veneti e piemontesi, napoletani e francesi, con le loro differenti tradizioni culturali, due forme di espressione artistica trovarono il terreno adatto per una fioritura eccezionale: dalla tradizione operistica napoletana arrivò la musica operistica, il linguaggio dei sentimenti, che non aveva bisogno di parole, (fu come il cinema nell’America della grande emigrazione europea del primo Novecento) e arrivò da Venezia e dall’Europa anche il giornalismo, informazione e narrazione insieme, fantasia e umorismo di modello inglese e francese, un vero nuovo genere letterario per lingua e stile, il più adatto alla diffusione delle idee per i nuovi lettori, quelli che avrebbero ben presto combattuto anche con le armi.
Se volete capire l’importanza di questo fenomeno culturale, e sociale insieme, vi consiglio di prendere in mano una opera fondamentale, in cinque volumi La stampa italiana dal ‘500 all’’800 di V. Castronuovo e N. Travaglia (Bari 1967) e di fermarvi sul volume dedicato a Il giornalismo nell’età rivoluzionaria e napoleonica.
   Vi troverete confrontati con un mondo assente dalle pagine della critica letteraria sull’Ottocento, una intera foresta di testate giornalistiche dai titoli spesso fantasiosi, scritti per ogni età e classe sociale di lettori, donne, bambini, lavoratori. La produzione milanese è in gran parte archiviata nella Biblioteca civica, la Sormani: vi basterà entrare una volta, anche solo per curiosità e sfogliare lo schedario per argomento alla ricerca anche di uno solo tra le decine e decine di titoli. Per esempio Il Conciliatore il più importante tra i periodici editi a Milano dal 1810 al 1819, per fortuna presentato e ristampato da V. Branca nel 1948 (Firenze, Le Monnier). Vi servirà per capire anche il posto della “nostra” L’Arena quando 150 anni fa comincerà la sua storia. Potete fare la stessa operazione di carotaggio a Mantova, a Vicenza, a Padova, in una qualsiasi biblioteca di una città italiana, anche nel profondo Sud che per tutto l’Ottocento graviterà culturalmente attorno a Napoli, una capitale, al pari di Milano, dell’illuminismo italiano ed europeo come ci dimostra Antonio Genovesi.
E allora vi verrà spontaneo chiedervi: chi comperava questi giornali e in quante copie venivano diffusi e in che modo, e soprattutto chi vi scriveva e quali idee venivano divulgate? E ancora in che italiano erano scritti quei giornali?
Non dimenticate che Manzoni, nasce parlando lombardo con la servitù e francese in casa e a scuola a Parigi, dove visse con sua madre, la figlia di Cesare Beccaria, e leggerà proprio quei giornali quando si “inventerà” il suo italiano… E che Ugo Foscolo nasce parlando greco e veneziano, e che il primo vocabolario della lingua italiana fu compilato da Niccolò Tommaseo, pure lui nato ai confini orientali della Repubblica di San Marco Tutti “foresti” dunque, esuli, rifugiati in cerca di speranza.
Io, vent’anni fa, cercavo di raccogliere le prove di un genere smarrito di prosa narrativa, ossia racconti di viaggio in paesi immaginari, sul modello dell’Utopia di Thomas More, opera scritta in latino nel 1516, famosissima in tutta Europa, poi tradotta e pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1546. Perciò da Venezia, officina del romanzo e della stampa di libri e di periodici, avrei dovuto partire per trovare le prove di un genere letterario dato dalla critica come inesistente.
Ma, come dice Sant’Agostino “si trova solo ciò che si sa di dover trovare” e così ho avuto la fortuna di incontrare parecchi testimoni interessanti che vi farò conoscere, e tra loro anche Cristina di Belgioioso, milanese ed europea, scrittrice di viaggi veri in paesi sconosciuti, fondatrice lei stessa di giornali a Parigi e in Italia.
E mi sono resa conto che la letteratura così come la realtà della quale è lo specchio, è molto più complicata di ciò che sembra.

Laura Schram Pighi

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