Farinati Domenico

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Domenico Farinati

Organaro, Domenico Farinati nacque a S. Giovanni Lupatoto il 27 marzo 1857 da una povera e sventurata famiglia; il padre morì, a 24 anni, due mesi prima della nascita del figlio al quale la madre, Teresa Baron, mise il nome del genitore. Poverissima, aveva perduto il primogenito un paio d’anni prima e, quindi, convolò a seconde nozze due anni dopo. Il piccolo fu custodito e allevato da una zia fino a che, da ragazzo, Domenico andò con lo zio don Stefano Farinati, parroco di Castelnuovo del Garda che lo tenne con sé e lo allevò. Nonostante l’amore del sacerdote e quello di una cugina che lo accudì, il nostro passò una giovinezza inconcludente tentando un mestiere dopo l’altro: tutti lavori umili ai quali egli si era dedicato non potendo accedere ad altri più importanti a causa della sua povertà anche se aveva dimostrato un’acuta intelligenza.
Avvenne un incontro, certamente casuale, ma che aprirà a Domenico Farinati la via dell’eccellenza. Un anno dopo la morte dello zio, avvenuta nel 1883, il nuovo arciprete di Castelnuovo aveva fatto terminare l’organo – grazie all’interessamento di don Antonio Bonuzzi, tra i grandi maestri della musica sacra – a William George Trice (1847-1918), illustre costruttore originario di Cardiff, che aveva ricevuto l’ordine da don Stefano Farinati. Secondo altra versione, era stato lo zio a presentare il nipote a Trice prima della sua scomparsa. Fu un incontro fulminante. Visto l’interesse del giovane Farinati per l’arte organaria e le potenziali doti artigianali, l’inglese lo portò con sé, in prova di due mesi, a Quarto di Genova, dove questi teneva la sua sede. Inizialmente l’organaro utilizzò la bravura del veronese per allargare la conoscenza dei suoi strumenti, peraltro assai buoni e sempre apprezzati.
Dal maestro inglese, anglicano e, poco a poco diventato inviso ai sacerdoti, egli apprese con grande scrupolo molti segreti del mestiere. Dopo dodici anni l’azienda di Trice chiuse poiché questi ritornò in patria. L’ostilità cattolica contro un uomo protestante che non aveva voluto lasciare il proprio credo, nonostante l’estrema onestà d’imprenditore, aveva aperto la strada al suo allievo che era sempre rimasto con lui: e di questo l’organaro inglese ne sarà sempre contento.
Nel 1899 Domenico Farinati sposò una maestra elementare, Onesta Franchini, sistemando la propria azienda in Piazza San Giorgio a Verona, accanto alla splendida chiesa sulle rive dell’Adige: era il 17 gennaio di quell’anno quando la famiglia si trasferì a Verona lasciando definitivamente Genova. Nel 1900 nacque il figlio Giorgio (nome dato in omaggio a Trice), che sarebbe stato destinato a succedere al padre, grazie alla propria bravura e all’insegnamento: ma la morte lo strapperà a 37 anni quando Domenico aveva già posto nelle mani del figlio tutto il domani della sua bottega diventata celebre.
Quando Trice, che aveva costruito organi importanti di tipo meccanico ai quali il giovane Farinati imprimeva nondimeno un’impronta personale con alcune modifiche al somiere, lasciò definitivamente l’Italia, cedette l’eredità della sua arte al discepolo di Verona il quale aveva appreso così bene da cominciare a percorrere una strada tutta personale e, per certi aspetti, originale rispetto ai modelli del maestro; l’inglese non gli aveva ceduto l’azienda poiché era stata prelevata da Carlo Vegezzi Bossi di Torino il quale  aveva chiesto, invano, all’allievo veronese di restare.
Pare opportuno, forse, ricordare che il primo organo commesso a Farinati, quando ancora si trovava nello stabilimento Trice a Quarto dei Mille, fu quello ordinato dal conte Erbisti a Parona di Valpolicella per la chiesetta di S. Dionigi della propria villa: era il 1895 e la felicissima riuscita dello strumento valse a Domenico l’ammirazione nelle sfere artistiche veronesi e l’apertura incondizionata verso chiese e privati. All’inizio lavorò prevalentemente in città e nella provincia e, ancor prima che Trice se ne andasse, direttamente a lui ne furono commissionati altri due. Poi, da solo e, più avanti, con l’aiuto di altre persone, condusse la sua bottega – diventata una vera e splendida azienda seppure di dimensioni ridotte soprattutto a causa dell’alta specializzazione – con una capacità raramente riscontrabile in chi, come lui, non aveva avuto precedenti; infatti – ed è un’affermazione riportata più volte – a chi gli chiedeva perché non tentasse di farsi conoscere più largamente, lanciandosi nel grande mondo organario, egli rispondeva schernendosi: “Saranno i miei organi semmai a parlare per me”. E così avvenne, infatti, con il secondo organo che aprì definitivamente la strada alle fortune di Farinati. Questi aveva accettato la costruzione dello strumento di Piovezzano, vicino a Pastrengo; il successo arrivò – oltre che per la bravura artistica – anche grazie a don Lorenzo Perosi che collaudò ufficialmente l’opera e che ebbe, per il suo costruttore, parole entusiastiche: la voce di un noto autore di opere musicali religiose e grande organista – che manterrà sempre l’amicizia a Farinati – spianò ulteriormente un percorso che conobbe molti successi.
Appariva modesta la sede della piccola azienda in San Giorgio: ma l’organaro, umile come persona e assolutamente lontano da ogni forma di superbia, non ebbe mai bisogno di un luogo di lusso e nella sua modesta fabbrica ricevette la visita dei maggiori professori di musica, degli autori di opere e di eccellenti suonatori. Da ricordare, arrivato proprio nei primi anni del Novecento, don Giuseppe Maggio (v. questo Sito), allora maestro di cappella del duomo di Verona, uno dei padri della scuola ceciliana e che fu, per Farinati, colui che lo incoraggiò più di ogni altro. Le ordinazioni degli organi arrivarono (e di essi daremo l’elenco) anche perché, nel giro di breve tempo, il veronese fu conosciuto da personaggi illustri, da prelati insigni, dai parroci: da coloro, cioè, che a lui si avvicinarono con la certezza di avere un ottimo strumento; va detto, altresì, che il carattere dell’uomo, affabile e sempre attento alle esigenze, si sposava con la sua fede in Cristo e anche questo pendeva chiaramente alla causa del successo.
Non va dimenticato il felice momento storico per la musica in chiesa. La riforma ceciliana – ch’egli conobbe ed adottò, adeguandosi alle esigenze – andò chiaramente verso di lui; non si dimentichi che, con Maggio e con monsignor Raffaele Munari l’Associazione Italiana di Santa Cecilia, benedetta da papa Pio X, escluse i cori femminili dalle chiese, bandì alcuni canti e mise, al di sopra di tutto, il suono dell’organo: per Farinati – e per tutti i costruttori di questo strumento – furono eventi particolarmente significativi.
Quello che più impressionava nella figura di quest’umile veronese era la sua rara, anche se casuale, formazione cosmopolita; il Trice, che aveva appreso da Aristide Cavaillé – prima di lui, il più celebre costruttore d’organi europeo – gli aveva lasciato cultura e bravura. Il Nostro apprese tutte le aperture possibili a cui, però, forse per il suo carattere, non dette grande sviluppo europeo. Comunque, tra i meriti, vi fu quello d’avere tenuto alto e vivo l’ideale espressivo, del tutto nuovo nell’Italia organaria della fine Ottocento e inizio Novecento. In definitiva Farinati va ascritto alla schiera, avversata e poi debitamente riconosciuta, dei riformatori. Come noto, l’organo italiano dei Serassi, dei Lingiardi, dei De Lorenzi, si ostinava a mantenere la tastiera unica, i registri spezzati, la pedaliera monca e a rifiutare quanto di nuovo e di inedito si veniva realizzando nel campo della fonica. La scuola degli stranieri aveva mutato i diversi tipi di somiere, diverse pressioni, rinnovate tecniche d’intonazione, nuovi e suggestivi registri: le novità furono accolte dal veronese, oltreché venire fuse con le esigenze – diventate irrinunciabili – della fonica italiana: inserì il Ripieno, la Dulciana, la Voce celeste che creavano una rinnovata atmosfera di colore e di misticismo nelle chiese veronesi abituate ai rudi organi ottocenteschi di Girolamo Zavarise e degli Zanfretta.
Esteriormente anche quelli di Farinati non apparivano particolarmente dotati di grazia giacché ignoravano la delicatezza delle consolles, delle casse, delle linee più visibili; ma il cammino artistico del Nostro apparve subito creativo ed estremamente evolutivo, in perfetto accordo con le esigenze; non fece mai organi elettrici: applicherà il sistema pneumatico-tubolare nei nuovi e restaurerà i vecchi trasformandoli in meccanico-pneumatici. Muterà la numerazione complessiva dei tasti: non tutti gli strumenti da lui realizzati saranno sempre uguali, poiché s’atteneva alle esigenze dei committenti e dei luoghi. Fu particolarmente attento al somiere, introdusse un ventilabro, l’asta metallica che spostava gli altri ventilabrini di legno e pelle. Grazie all’insegnamento di Trice, Farinati fu particolarmente attento alle camere dei registri: ai quali l’organista, premendoli senza i canali pneumatici sicuri, avrebbe fornito esiti meno acusticamente perfetti; mise delle membrane a soffietto e apportò molte altre attenzioni. Il costante lavoro e la cura apposta ad ogni singolo strumento serviva anche a migliorarlo.
Coloro che furono i collaudatori – sempre personalità importanti nell’ambito musicale ed organario in particolare – misero in luce la bravura del costruttore: dalla pressione dell’aria che il veronese faceva variare secondo le necessità, dalla morbidezza dell’accordatura alla praticità liturgica che diventava particolarmente rilevante all’interno delle chiese. Bisogna ricordare che nelle opere di Farinati sono sempre presenti: l’alimentazione che avviene con motore elettrico in sostituzione del primitivo ventilatore a mano, il secondo organo è sempre impostato come organo espressivo e solo raramente come organo di risposta, la pedaliera è sempre diritta e a tasti paralleli. Le piramidi sonore, come pure il Principale ed il suo ripieno, i bordoni e i flauti con gli eventuali armonici sono strettamente connessi con i registri di colore e le ancie.

Verona, Cattedrale, l’organo del Farinati Cornu Epistulae con le porte dipinte da Biagio Falcieri.

Dopo alcuni anni dall’inizio, il costruttore d’organi lasciò S. Giorgio in Braida per fissare la sua fabbrica in Corte Sant’Elena, vicino al Duomo.
La vita di Domenico Farinati – un’esistenza molto semplice e corroborata da una fede profonda – si svolgeva tra il lavoro dei suoi organi e i restauri per i quali veniva chiamato: in questi casi, li accordava, a volte li trasformava più o meno radicalmente rendendoli suoi, quasi a volere lasciare per il futuro un organo “perenne”. Per lungo tempo egli lavorò da solo; poi volle bravi aiutanti; dalle sue mani – e da quelle del figlio e dei suoi collaboratori – uscirono 45 organi così collocati: 13 nelle chiese della città di Verona, 23 in quelle della provincia, 5 a Roma, 1 per ciascuno a Mantova, Rovigo, Taranto e Trento. Alcuni di questi verranno restaurati nel tempo, in particolare dalla ditta Remo Zarantonello di Cornedo vicentino.
Il figlio, come sopra accennato, era diventato assai bravo e il padre lo associò a sé poiché sarebbe stato colui che avrebbe dovuto prolungare e ampliare l’attività; ma, una volta ancora – com’era accaduto per la sua infanzia e giovinezza – accadde il dolore; il 1937 fu l’anno fatale: in novembre scomparve la moglie e, appena un mese dopo, se ne andò definitivamente anche il figlio stroncato da una malattia. Consegnò, proprio allora, l’ultimo dei suoi organi: quello di S. Anastasia. Proseguì, affidando al Signore (egli pregava quotidianamente) il resto dei suoi giorni.
Scomparve, nella sua casa di Corte S. Elena, il 22 maggio 1942; ai funerali partecipò la diocesi assieme al clero ricordando colui che aveva riempito le chiese con la bellezza dei suoni. Nel 2021 venne restaurato l’organo della Cattedrale di Verona; per altri, ciò era avvenuto già anni addietro.
Rinomatissimo come costruttori d’organi, conosciuto da tutti coloro che a questi strumenti si sono accostati, Domenico Farinati appare dimenticato poiché, anche su lui, è caduto il silenzio.

Prospetto cronologico degli organi Farinati:
1895-Chiesa della Villa S. Dionigi (Verona) e Chiesa parrocchiale di Castellaro Lagusello (Mn); 1898-Chiesa parrocchiale di Piovezzano; 1900-Chiesa abbaziale di Isola della Scala; 1901-Chiesa parrocchiale di Asparetto; 1902-Chiesa parrocchiale di Tregnago; 1903-Chiesa parrocchiale di S. Michele Extra e Chiesa parrocchiale di Caprino Veronese; 1905-Chiesa parrocchiale di Povegliano; 1906-Chiesa parrocchiale di Angiari e Chiesa del Monastero di S. Paolo Ostiense (Roma); 1907- Chiesa parrocchiale di Caldiero; 1908- Chiesa parrocchiale di Quinzano, Chiesa di S. Maria in Via Lata (Roma) e Organo della Sala Concerti del Liceo Musicale di Verona; 1909- Cattedrale di Verona; 1910- Chiesa parrocchiale di Lugo, Chiesa di S. Maria del Paradiso, Chiesa parrocchiale di Novaglie e Cappella del Collegio Capranica (Roma); 1911: Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Lupatoto e Chiesa parrocchiale di Baruchella (Ro); 1912: Chiesa di S. Fermo Maggiore; 1914- Chiesa parrocchiale di Fumane e Chiesa parrocchiale di Salizzole; 1915- Chiesa di S. Maria in Aquiro (Roma) e Chiesa parrocchiale di Ronco all’Adige; 1919- Basilica di S. Paolo fuori mura (Roma); 1922- Chiesa parrocchiale di Isola Rizza e Chiesa parrocchiale di Marano di Valpolicella; 1923- Chiesa parrocchiale di Chievo e Chiesa di S. Luca Evangelista; 1924- Chiesa parrocchiale di Minerbe; 1926- Chiesa parrocchiale di S. Pietro di Morubio e Chiesa parrocchiale di Mambrotta; 1927- Chiesa parrocchiale di Colà di Lazise, Chiesa parrocchiale di Cadidavid, Chiesa parrocchiale di Vigasio; 1928- Chiesa parrocchiale di Villafontana; 1929- Chiesa dei SS. Apostoli e Rettoria di S. Domenico in Martina Franca (Taranto); 1930- Organo da studio per la Scuola Ceciliana di Verona; 1931- Chiesa parrocchiale di Selva di Progno; 1932- Chiesa parrocchiale di Gardolo (Tn); 1933- Oratorio di S. Caterina a Verona; 1936- Cappella dell’Istituto “Don Calabria” di San Zeno in Monte; 1937- Basilica di S. Anastasia.

Bibliografia: Giovanni Iobstraibizer, Alcuni cenni sul nuovo organo di Gardolo e sugli organari Trice e Farinati, in Il nuovo organo di Gardolo, a cura di G. Iobstraibizer, Trento, Artigianelli, 1933, pp. 36-45; Enrico Girardi, Gli organi della città di Verona, Alba, Paoline, 1968; Valentino Donella, Domenico Farinati e i suoi organi, “Vita Veronese”, XXVIII, 1-2, 1975, pp. 17-35; Luciano Rognini, Organi e organari a Verona, in La musica a Verona, Verona, Banca Mutua Popolare, 1976, pp. 473-477; Maurizio Tarrini, La fabbrica d’organi di W. G. Trice a Genova (1881-1897), Savona, Editrice Liguria, 1994; Arnaldo Morelli, Farinati, Domenico, in Dizionario Biografico Italiani, v. 45, Roma, Ist. Enc. It, 1995, pp. 10-11; Federico Fuggini, Domenico Farinati e l’organo della chiesa parrocchiale, in La Cesa Granda ovvero la parrocchiale di S. Giovanni Lupatoto, a cura di R. Facci, S. Giovanni Lupatoto, EBS, 2010, pp. 333-342; Stefano Lorenzetto, Un morto in Cattedrale: restituiamogli la voce, “L’Arena di Verona”, 4 nov. 2018, p. 25; L’organo di Domenico Farinati nel Duomo di Verona. Storia e conservazione, a cura di Maristella Vecchiato, Verona, Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Verona Rovigo Vicenza, 2021.

 Giancarlo Volpato

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