Bresciani Renato

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

Per le tue domande scrivi a: giancarlovolpato@libero.it
Renato Bresciani

Missionario comboniano, formatore e benefattore, fondatore dell’Associazione Comboniana per il Servizio Emigranti e Profughi, Renato Bresciani nacque a Mezzane di Sotto il 6 agosto 1914. Il padre Gaetano, nativo di Vago di Lavagno, dopo il matrimonio con Zaira Bernardi, trovò un buon lavoro a Carbonara Po (Mantova), ma la mamma volle partorire nel proprio paese. Dopo di lui, nel 1915, nacque Fanny che diventerà suor Flaminia, nelle Pie Madri della Nigrizia.
Allo scoppio della guerra, il padre dovette partire e furono anni molto difficili; ritornò a Mezzane, ma come tanti, rimase senza lavoro e per la famiglia, che nel 1919 ebbe un terzo figlio, Regolo, poi docente nelle scuole superiori veronesi, le cose peggiorarono.
Dopo le scuole elementari, il giovane Renato entrò nell’Istituto “Don Mazza” e l’allora rettore, Mons. Pietro Albrigi, preconizzò per lui un grande avvenire. Durante questo periodo di studi, Bresciani fondò un giornale interno “Helios”: mise in luce, così, quella che sarà sempre, per lui, la passione per la carta scritta stampata. Manifestò il desiderio di consacrarsi al Signore, ma per le missioni ed entrò nel Noviziato comboniano a Venegono Superiore (Varese). Nel 1937 andò a Roma per prepararsi: studiò teologia, scrisse opere critiche e frequentò un corso di medicina tropicale, che, poi, gli diventerà molto utile. Venne consacrato sacerdote il sabato santo del 1939.
Pensava e sperava d’andare in Africa: invece fu mandato in Inghilterra per studiare inglese e per ottenere il diploma al “Colonial Course” che l’avrebbe abilitato all’insegnamento nelle scuole di missione nelle colonie britanniche. Ma lo scoppio della seconda guerra mondiale con le relative conseguenze legarono padre Bresciani per 17 anni in quella nazione. Studente a Sunningdale nei primi due anni, fu colto – come tutti – dalle sanzioni. La Gran Bretagna era schierata contro l’Italia e, dal 1940 al 1944, dovette andare, come tutti i suoi concittadini, nell’isola di Man come prigioniero, prima, e poi come cappellano militare. In verità, quel luogo posto nella Manica, non aveva certo l’aspetto del campo di concentramento poiché i ‘prigionieri’ albergavano in luoghi piuttosto confortevoli che erano stati, sovente, posti di villeggiatura per i benestanti. Tuttavia la lontananza e l’incertezza del domani piegarono gli oltre 3000 ‘reclusi’. Per loro, padre Bresciani fu il conforto non solo spirituale; oltreché pastore delle anime, diventò la mente culturale per alleviare la solitudine: editò, stampò e diffuse il giornale “Sursum corda” quale collegamento tra i gruppi all’interno dell’isola; diresse il mensile da campo “Aurora”, fondò e animò il “Comitato di attività sociali ed educative” istituendo corsi di studio, mostre, intrattenimenti culturali, conferenze, biblioteca, scrisse fogli ed opere da distribuire a quegli “ospiti”.
Manifestò la sua grande capacità di formatore, sapendosi coordinare con il succedersi degli eventi e trovando, sempre, la soluzione. Da parte sua, studiò gli alfabeti africani poiché il suo pensiero d’andare nel continente nero non l’aveva mai abbandonato. Rimase in Gran Bretagna sino al 1953: riaprì a Sunningdale il juniorato e il noviziato, rimise in piedi la possibilità dell’anno di studio inglese per padri e fratelli destinati alle missioni in Sudan e in Uganda, dette vita alla parrocchia di Elm Park, a una cappellania per studenti stranieri in Inghilterra, fondò un centro di assistenza per gli italiani ed una serie di altre iniziative: nel contempo, egli divenne il Superiore dei comboniani in quella nazione, dove ritornerà più tardi.
Lasciò il paese d’Oltremanica per l’Italia e, finalmente, alla metà del 1954 poté imbarcarsi per l’Africa. Arrivò nel territorio meridionale del Sudan: quello che passò, poi, alla storia delle crudeltà e della politica come il Sud Sudan. Gli fu chiesto di fare il rettore e l’insegnante del seminario diocesano San Paolo del Tore: lo fece, lo costruì con l’aiuto della gente del luogo disboscando, preparando il materiale edile finché le lezioni poterono partire nel 1955. Impartiva molte materie e, soprattutto, venne instaurando un rapporto eccellente con la gente del luogo andando nei villaggi, apprendendo la loro lingua: per gli studenti delle zone vicine fondò e diresse un mensile a contenuto ecumenico “The Down”. Con i confratelli diede vita ad un ambulatorio medico dov’egli – grazie al corso fatto a Roma in gioventù – faceva iniezioni, aiutava com’era possibile. Finalmente si sentiva nel posto giusto.
In Sudan si respirava aria d’indipendenza dalla Gran Bretagna, che sarebbe arrivata nel gennaio 1956, ma ciò che sarebbe accaduto dopo forse nessuno lo avrebbe pensato. Vennero gli anni difficili: scoppiarono le rivolte, proprio nel sud del paese, tra arabi e neri e la violenza imperversò. Padre Bresciani, che in quegli anni scrisse molto per i suoi studenti ma non solo per loro (tra le molte cose, fece anche un vocabolario inglese-lingala-arabo, biografie di santi, catechismi) si rese subito conto della situazione. Fece conoscere quanto avveniva in Sudan collaborando con giornali inglesi: fondò “Sudan Information”, particolarmente conosciuto nel Regno Unito, contribuì a lanciare il mensile “Grass Curtain”, strettamente legato al movimento di liberazione del Sud Sudan. Da questo momento in poi, per lui e per tutti gli altri, i giorni si svolgevano in un clima di persecuzione. Il governo arabo, in tempi abbastanza rapidi, scatenò la sua battaglia contro qualsiasi religione che non fosse mussulmana. Il 17 novembre 1958 iniziò la dittatura militare che durò cinque anni. Padre Renato Bresciani non fu espulso, allora, poiché il suo prestigio di uomo colto, buono, aperto agli altri ebbe la prevalenza. Fino al 27 febbraio 1964 quando, nel giro di 24 ore, dal Sudan meridionale furono cacciati tutti i missionari lasciando sulle spalle del giovane clero locale il peso della Chiesa e anche i seminaristi del Tore furono costretti a fuggire. Secondo lui – come fu per tutti coloro che fuggirono spaventati – i governanti non potevano tollerare che i missionari fossero testimoni delle efferatezze che gli arabi comminavano a danno dei neri. Egli, che fu considerato da tutti il padre della Chiesa sudanese, portò sempre nel cuore quel paese che fu distrutto dalla guerriglia.
Nell’anno del suo ritorno forzato, Bresciani partecipò, come segretario della Conferenza Episcopale Sudanese, alle due ultime sessioni del Concilio Vaticano II. A Roma ricevette l’incarico di padre spirituale degli studenti comboniani e cominciò ad interessarsi delle attività di aiuto dei sudanesi, costretti a diventare profughi, ma anche di altre realtà di fuorusciti africani. Con l’incarico di superiore provinciale, ritornò in Gran Bretagna e vi rimase sino al 1969.
Quando l’Istituto comboniano decise di aiutare gli studenti di quel continente presenti in Italia, Renato Bresciani colse subito l’occasione e, rientrato a Roma, fondò l’ACSE (Associazione Comboniana Studenti Esteri). Uomo intraprendente, instancabile, generoso, egli sapeva bene come fare e l’associazione prese subito piede nella capitale per poi trasferire l’esperienza in altre città. Nel 1972 a lui toccò la responsabilità di organizzare il primo congresso internazionale per la pace nel Burundi, dilaniato da lotte interne: avvenne a Bruxelles nel 1973. Nello stesso tempo, accortosi che la sua iniziativa a favore degli studenti africani non aveva decollato come aveva sperato, decise di mutarne gli scopi: l’immigrazione aveva cominciato a diventare sempre più forte e piena di difficoltà. Così, nel 1975, senza cambiare la sigla, Bresciani ne cambiò i connotati: Associazione Comboniana Servizio Emigranti e fu registrata come associazione di volontariato. Non dimenticava, altresì, il Sudan: presentò, al governo di Khartum, un progetto educativo sanitario da collocarsi nel sud del paese; dopo una prima favorevole accettazione, le cose non andarono secondo i piani del missionario e non se ne fece più nulla.
Prese piede, invece, la nuova associazione aperta agli emigranti (e, poi, anche ai profughi): con sede a Roma, Renato Bresciani riuscì ad avere delle sedi importanti e, grazie al suo modo di fare e ai successi palesi, ottenne aiuti in denaro dal Vaticano, da importanti aziende; coinvolse anche cittadini e famiglie. La sua impresa fu molto seguita e benvoluta da Francesco Rutelli, allora sindaco della capitale; del suo modello di accoglimento, si avvalse anche Claudio Martelli che promosse la legge n. 39 del 28 febbraio 1990 che regolava le norme sull’immigrazione in Italia: sulla quale, in verità, il sacerdote fu piuttosto critico. Il missionario incontrò più volte il Papa Giovanni Paolo II che volle conoscere personalmente il funzionamento dell’associazione; l’apprezzò e l’aiutò: per anni arrivarono buoni pasto, volontari e fondi. Vista la tragica situazione del luogo dov’era stato in missione e da cui era stato espulso, fondò, nel 1987, “SIS” (Solidarietà Italo Sudanese), un mensile documentatissimo sulle vicende della guerra e sulle prospettive in Sudan: ma la politica non se ne curò molto.
Ancora oggi, l’istituzione ACSE funziona e, fino al 1996, il padre di Mezzane di Sotto la guidò, assieme a giovani e volontari; quando sentì che la sua ora stava per arrivare, chiese di lasciare. I suoi ultimi scritti parlarono di solidarietà umana, d’impegno cristiano, di accoglimento per chi aveva avuto molto poco: nessuno degli immigrati – e non solo quelli che trovarono amore e ospitalità – lo ha dimenticato.
Portato a Verona per essere curato dalla cirrosi epatica scompensata e aggravata dal diabete mellito, Renato Bresciani scomparve, all’interno della casa madre, il 22 luglio 1996. Le sue spoglie riposano nella tomba dei Comboniani presso il cimitero monumentale veronese.
Nel 1998, gli è stato dedicato l’“Ambulatorio odontoiatrico Padre Renato Bresciani” ospitato nei locali dell’ACSE, a Roma, che cura gratuitamente, ogni anno, oltre duemila migranti e rifugiati provenienti dai paesi poveri. Nel paese natale una via porta il suo nome.

Bibliografia: Lorenzo Gaiga, “E lo accolse nella sua casa”. Padre Renato Bresciani missionario comboniano, Bologna, E.M.I., 1997; Giulio Albanese, Ibrahim, amico mio…, Bologna, E.M.I., 1997; Lorenzo Gaiga, In Pace Christi: Bresciani Renato, “Mccj Bulletin”, n. 194, genn. 1997, pp. 117-127; Lorenzo Gaiga, L’istituto comboniano dopo la morte del fondatore, in Verona in missione, v. II: Il Novecento, dalla prima guerra mondiale al Concilio ecumenico Vaticano II, a cura di Giulio Alberto Girardello, Verona, Editrice Mazziana, 2001, pp. 127-166 (P. Bresciani: pp. 156-158); Aurelio Boscaini, Padre Renato Bresciani testimone di accoglienza, Verona, Fondazione Nigrizia, 2018; Adriana Caporossi-Gianfranco Caporossi-Maria Rosa Venturelli, Un’avventura di solidarietà: storia dell’Associazione Comboniana Servizio Emigranti e Profughi (ACSE), Roma, ACSE, 2019.

Giancarlo Volpato

↓