Ruffoni Rufina
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Poetessa, Rufina Ruffoni nacque ad Azzago, nel comune di Grezzana (Verona), il 6 giugno 1908. Ella venne alla luce in una bellissima villa, La Pavarana, che si trova sulla strada che da Romagnano porta alla frazione, avuta come lascito già dal 1657 alla famiglia Ruffoni. Un luogo magnifico, abbastanza inusuale per le ville – solitamente disposte in luoghi più bassi dal punto di vista altimetrico – in cui, per secoli, la cultura e l’arte ebbero il culto da parte dei proprietari oltreché la presenza di molti uomini e donne di lettere e di umanesimo che si dilettavano di musica, di pittura, di teatro e di tutto quanto afferiva alla ricreazione dello spirito.
Il padre, il conte Rienzi Ruffoni, era un militare e la madre, la contessa Margherita Lochis, d’origine bergamasca, era una donna di grande cultura e di straordinaria capacità intellettuale che aveva amore per l’amicizia ed era dotata della bravura di riempire la sua villa con persone di qualità e di intelletto.
Crebbe in questo ambiente la giovane Rufina che condivise con la sorella Andreina (l’unico fratello morì in giovane età) una giovinezza spartita assieme alle giornate dedicate alla cultura con quelle dell’amore per la natura.
La giovane contessa fu sempre molto attenta anche a quanto accadeva intorno a sé: il lavoro delle campagne, la sostanziale condivisione con i contadini delle vicende legate alla raccolta delle messi e alle feste per il buon esito delle stagioni. Alla Pavarana, fra l’eleganza di brillanti colori con cui venivano accolte le amichevoli brigate, Rufina nutrì il suo spirito della natura meravigliosa che l’ambiente – allora incontaminato e perfettamente adeguato alle esigenze della vita – offriva in ogni sfumatura come uno scrigno.
Rufina Ruffoni afferrò fortemente l’insegnamento silenzioso della madre, che aveva ereditato l’amore e la conoscenza della musica (un suo avo era stato un violoncellista famoso) e il gusto dei buoni libri dal momento che nella sua famiglia era cresciuto un bibliofilo raffinato quale era stato il conte Rienzi.
In questo connubio, Rufina si sentì a suo agio. La villa della Pavarana era stata decorata da Angelo Zamboni, un pittore di talento che fu una delle menti brillanti nella Verona primonovecentesca. In quell’ambiente furono ospitati artisti e giovani intellettuali che si esibivano nella musica, nella pittura, nella decorazione, nel teatro. Erano gli anni del grande fulgore dell’arte a Verona, quello che la rivista di Antonio Scolari “Arte e Poesia” bene immortalò. La sorella Andreina, autrice di versi di sicura bellezza, certamente influì sulla sorella minore che passò molti giorni – nei lunghi e assai piacevoli pomeriggi alla Pavarana – ascoltando Lionello Fiumi, Ida (v. questo Sito) e Caterina Vassalini e condividendo le discussioni con Guido Trentini, Orazio Pigato, Giuseppe Zancolli, Pino Casarini, Eugenio Prati (v. questo Sito) e, forse, Felice Casorati, Pio Semeghini. In questo cenacolo culturale vennero ospitati anche Giorgio De Chirico e Filippo De Pisis. Non passò in silenzio, nella villa della Pavarana, l’affermarsi del secondo futurismo veronese e sulle colline d’Azzago non mancarono le presenze di Quirino Sacchetti, Renato Di Bosso, Tullio Aschieri, Verossì: la Verona della cultura e dell’arte (e non solo locale) non mancò.
Durante tutto questo tempo Rufina coltivò i suoi amori che non smise assolutamente mai: le tessiture raffinate, la coltivazione dei fiori, l’artigianato dei tappeti e degli arazzi, l’allevamento di piccoli animali pregiati; erano le piccole, grandi cose che nutrivano un animo gentile e solitario.
Il padre, Rienzi, apparteneva a quell’aristocrazia che era stata educata al rispetto dei sottoposti e seguiva quei princìpi di equanimità e di paternalismo che Rufina seppe trasportare su se stessa.
Da sempre la famiglia dei conti Ruffoni divideva la sua annata tra la villa della media montagna lessinica con l’abitazione in Verona città, in Santa Maria Rocca Maggiore o in Ponte Pignolo.
L’avvento del fascismo e la sua affermazione cominciarono a minare quella tradizione e, a poco a poco, anche alla Pavarana cominciò il declino.
Rufina ne fu testimone e raccolse in sé il dolore e la non tanto celata caduta. La penetrante seduzione del bello e di quanto l’amicizia aveva saputo creare ed affinare cominciò a venire meno. Forse nacquero allora alcuni versi folgoranti della sua poesia: “Vorrei essere il fiore che tu premi/nella tua mano e lento disfogli/vorrei essere l’aria tua…/.
Di carattere riservato, poco portata ad essere una primadonna, Rufina Ruffoni aveva, però, l’istinto dell’affinità elettiva che consentiva colloqui profondi con quanti erano inclini all’arte, alla letteratura e, in genere, alla bontà innata dell’animo. Lettrice raffinata, ella conosceva bene quanto venivano pubblicando Maurice Maeterlinck, Guillaume Apollinaire e pure la brillante schiera del post-futurismo italiano.
La sua famiglia andò assottigliandosi; il padre se n’era andato nel 1938, la madre scomparirà nel 1952. Due anni prima della morte di colei che l’aveva affinata alle cose belle e intangibili della vita, finalmente, nel 1950 Rufina Ruffoni aveva dato alle stampe la sua raccolta poetica (Sognando un dolce andare, prefazione di Beniamino Joppolo, Milano, Gastaldi, 1950) dove l’afflato silenzioso che aveva alimentato i suoi giorni dette esiti delicatissimi, di grande dolcezza e d’infinita bellezza per tutto ciò che l’aveva accompagnata: la natura (i fiori, l’orto, la campagna, le contrade lessiniche, il locus amoenus), gli amori (non si sposò mai, ma nutrì uno sconfinato sentimento per l’uomo immaginato della sua esistenza), i momenti della vita, i lunghi e bellissimi giorni in cui il suo spirito aveva vissuto in armonia.
Nel 1966 venne a mancare anche la sorella Andreina. La solitudine avvolse – come un manto elegante e raffinato – la contessa Rufina Ruffoni che non si mosse più dalla Pavarana. Non la scosse nessuno; neppure i furti, le continue e dolorosissime sottrazioni la convinsero ad andarsene come pure la decadenza di quella ch’era stata una delle più curate e amate residenze; ma ci pensò il tempo, implacabile, a toglierle il ricordo dei giorni passati. Nel 1992 entrò nella residenza della Pia Opera Ciccarelli a San Giovanni Lupatoto. Lì Rufina Ruffoni scomparve l’11 aprile 2002.
La sua memoria se ne andò con lei finché, con un’eleganza e un’acribia difficilmente riscontrabili, arrivò una deliziosa donna, dallo spirito affine, che ne rievocò l’assoluta dolcezza del suo dire: una studiosa dall’animo delicato come la poetessa che aveva vissuto nel silenzio; e il libro di Zampini ha restituito alla contessa buona parte di ciò che il tempo le aveva tolto.
Bibliografia: Elisabetta Zampini, Sognando un dolce andare. Rufina Ruffoni: una grande poetessa dimenticata, Verona, QuiEdit, 2015; Carlo Bortolozzo, La villa della poesia di Rufina Ruffoni, “Verona fedele”, 18 luglio 2016, p. 21; Maria Vittoria Adami, Il canzoniere di Rufina Ruffoni e la voce poetica della natura, “L’Arena”, 13 genn. 2017, p. 42.
Giancarlo Volpato