Bonetti Lucillo

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Lucillo Bonetti

Sacerdote, fondatore dell’Opera delle “Oblate Sacerdotali”, nacque nella piccola contrada de Il Gioiello, in comune di Lavagno, nella parrocchia di S. Briccio di Lavagno. Figlio di Luigi e di Carolina Beltrame, originaria di Colognola ai Colli, egli fu l’ultimo di dieci figli e venne al mondo il 16 gennaio 1892. Il primogenito, Fortunato, nato nel 1870, divenne sacerdote e fu dapprima a Buttapietra, poi ad Albaro e, quindi, Vicario foraneo a Legnago. Il settimo, Ludovico, divenne presbitero egli pure, cooperatore a Fane, a Monzambano (provincia di Mantova, ma diocesi di Verona) e morì giovane. La nona, Cecilia, fu consacrata e appartenne alla Compagnia delle Figlie di Sant’Angela Merici. Il padre, da giovane aveva manifestato l’intenzione di dedicarsi al sacerdozio e la madre alle Suore di Carità: probabilmente, almeno in questo caso, la genetica tenne fede ai princìpi con la quale sovente viene vista.
Tutta la famiglia – ma in particolare il piccolo Lucillo – si spostò, talvolta, presso le canoniche delle parrocchie dove il primogenito Fortunato era stato chiamato. Il nome del nostro fu dato per volontà della madre che era diventata cieca: volle chiamare l’ultimogenito affidandolo alla luce.
Egli manifestò subito il desiderio di dedicare la sua vita al sacerdozio; essendo ad Albaro, con il fratello, seguì in quel paese le suole elementari, frequentò il ginnasio privato che era aperto ai ragazzi che mostravano inclinazione a proseguire gli studi in vista di una scelta vocazionale. Entrò nel seminario vescovile in prima liceo dove fu accolto nonostante le precarie condizioni di salute che Lucillo Bonetti dimostrò sempre, ma che gli permisero di vivere abbastanza a lungo. Ottenne l’abilitazione magistrale – com’era quasi nella norma di allora allorquando i sacerdoti facevano gli insegnanti – e fu consacrato presbitero il 9 agosto 1914 dal cardinale Bartolomeo Bacilieri. Erano gli anni della guerra, era il periodo del vescovato austero e piuttosto rigido a cui anche i nuovi presbiteri dovevano attenersi. Nel periodo degli studi in seminario, il giovane Lucillo si avvicinò a don Giovanni Calabria, che diventerà santo. Gli chiese di entrare tra i Poveri Servi della Divina Provvidenza che questi aveva fondato; non lo accolse dicendogli ch’egli sarebbe stato più necessario se si fosse dedicato alla cura delle anime delle parrocchie; la corrispondenza tra i due, però, rivela la grande stima che il santo nutriva per quel giovane pieno di fede.
Prete a 22 anni – con una concessione dal momento che, allora, non si poteva essere ordinati prima dei 24 anni – egli fu mandato come cooperatore a Monzambano dove rimase per quasi due anni; indi, fu spostato a Pesina nel 1915, piccola parrocchia, oggi in comune di Caprino Veronese; vi rimase solo sei mesi per essere spostato a Portese, allora comune, sul Lago di Garda nella sponda bresciana dove la diocesi veronese copre ben undici paesi. Dal parroco, don Giovanni Battista Fratton, il giovane curato ebbe in dono un prezioso Crocifisso in avorio. Per il presbitero proveniente da S. Briccio, dove non ritornò più, quel luogo – in verità abbastanza poco conosciuto allora – divenne la sede della sua vita. Non solo si affezionò alla piccola parrocchia, ma egli si confuse con gli abitanti immedesimandosi con loro e divenendo la parte essenziale nella gestione. Dopo sei anni, nel 1921, venne a mancare il parroco; nuovamente don Lucillo richiese a don Calabria di passare alla sua Opera. La risposta del santo fu precisa e foriera di buone idee: “Rimani a Portese, che ‘si protende”, gli disse intendendo che il luogo in cui si trovava era nelle intenzioni future del Signore.
Tra i nomi che erano sottoposti ai capi famiglia – in forza dell’antico privilegio del giuspatronato, prerogativa del Comune e dei capifamiglia sin dal 1388 – per l’elezione del nuovo parroco, figurava, tra gli altri candidati, anche quello di don Lucillo, notizia da lui stesso riportata nella cronistoria della parrocchia. A soli 30 anni, il Vescovo di Verona lo nominò parroco di Portese. Nel suo discorso d’introduzione – e fu un gesto che qualificò la straordinaria umiltà del prete e dell’uomo – chiese aiuto a tutti, scusandosi in anticipo degli errori che avrebbe potuto commettere e dei peccati verso chiunque. Chiamò a raccolta i fabbricieri, le suore di San Giuseppe (quelle fondate dal beato Giuseppe Baldo) che accudivano all’educazione dei bambini, i benefattori e tutte le famiglie.
Don Lucillo iniziò la sua azione pastorale diffondendo nelle famiglie il bollettino mensile “Pace a questa famiglia”; cominciò con le missioni popolari che tenne ogni anno, preparò la visita ufficiale della parrocchia da parte del vescovo di Verona Girolamo Cardinale; invitò i fedeli a cedere, solennemente, nelle mani del pastore della diocesi il diritto di giuspatronato ch’egli giudicava offensivo e ingiurioso nei confronti dell’autorità vescovile. Senza dubbio il giovane Bonetti aveva chiaramente offerto la sua attenzione alla storia: nel 1855 era stato ucciso un giovane prete, originario del luogo. Così, l’8 settembre 1924, dopo quasi sei secoli, i 125 capi famiglia di Portese sottoscrissero la rinuncia che fu raccolta dalla Chiesa veronese con le congratulazioni di don Giuseppe Venturi, vicario generale della diocesi scaligera, originario di Mezzane di Sotto e, poi, vescovo di Chieti.
Consacrò la parrocchia al Sacro Cuore di Gesù e nel 1928 costituì la Confraternita delle Madri Cristiane. L’anno successivo, 1929, per dare atto alla legge dell’anno precedente, Portese cessò di essere comune diventando frazione di S. Felice del Benàco. In quegli anni, don Calabria, che andava a Sirmione per le cure termali, passava sovente da don Lucillo che, proprio allora, dette alle stampe un libretto assai apprezzato soprattutto dalle sfere religiose: Per la profanazione delle feste, perdonaci Signore pubblicato proprio dalla Casa Buoni Fanciulli. Furono gli anni più proficui dell’attività di don Lucillo. Egli, intanto, aveva voluto un teatro che sarebbe servito anche come cinema, fece demolire il vecchio cimitero per crearne uno più adatto alle esigenze dell’accoglienza dei defunti, fece mettere a posto l’ingresso della chiesa, ricostruì la sacrestia, rifece la canonica abbellendola per l’accoglienza dei fedeli; istituì un catechismo costante, mise in piedi le ore di adorazione, andò per le case laddove egli sentiva che si aveva necessità di colloquiare con il sacerdote; istituì la confraternita di coloro che avrebbero aiutato. Fu un uomo di grande altruismo e un prete certamente innovatore. Si adoperò affinché fosse recuperata la chiesetta di San Fermo, eretta nel XV secolo, con annessa una piccola abitazione, posta sul promontorio di fronte all’isola di Garda; accanto ad un castello medievale essa configurava come luogo di preghiera di fronte al pericolo dei predatori. Abbandonata all’incuria, egli intraprese l’operazione di restauro che terminò nel 1960 con la benedizione del vescovo: oggi appare l’affresco di San Fermo, opera di Giovanni da Ulm, mentre altre due opere sono confluite nella parrocchiale. Rimise a posto la scultura lignea della Madonna con il Bambino, del secolo XVI, nella chiesa di Portese.
Pure attratto da tanti lavori, don Bonetti ebbe sempre presente il compito primario della sua vita sacerdotale. E, davanti ai suoi occhi – come forse era passato anche davanti a tanti altri – apparve la non facile situazione dei preti: soli, spesso in balia di eventi familiari, lasciati a passare i loro giorni senza aiuti. Nel 1928, esattamente il 28 ottobre festa di Cristo Re, nacque così “La Famiglia del Signore” aggregando “alcune giovani disposte a consacrare la propria vita per la santificazione dei sacerdoti e per il recupero di chi si fosse trovato in particolari difficoltà o avesse lasciato il ministero”. L’idea originaria era stata di don Calabria che a Maguzzano aveva tentato di realizzare il progetto, ma il suo allievo spirituale imboccò la strada giusta: e ciò grazie all’aiuto concreto di Carmela Lusenti, nata nel 1910, che ebbe in don Lucillo il padre spirituale sin dall’infanzia.
La confraternita, composta di donne nubili e vedove che volontariamente abbracciarono la vita “laicamente consacrata”, trovò subito grande accoglienza: esse erano presenti nelle canoniche a prestare la loro opera, ad accogliere i fedeli, erano attente alle chiese e alle cose sacre; esse furono, in termine popolare, assai più delle “perpetue”, quelle donne, cioè, che sul ricordo della Perpetua manzoniana, furono vicine alle esigenze dei sacerdoti e del clero in generale.
Dopo la guerra, quando apparve ancora più forte l’apporto delle “sorelle”, (alcune si dedicarono all’educazione dei bambini, dapprima affidati alle suore), don Lucillo scrisse il “memorandum”: una specie di documento nel quale elencava le esigenze dei sacerdoti, i frutti arrecati dalle sorelle della “Famiglia del Signore”: lo espose al vescovo di Verona Mons. Cardinale dopo averlo sottoposto a don Calabria. Il progetto andò in porto ed in esso il sacerdote espose i nomi di tutte coloro che si erano avvicinate, avevano lavorato, avevano apportato benefici.
Nulla poteva presagire che cosa sarebbe accaduto di lì a poco tempo. Il nuovo Arcivescovo di Verona, Giovanni Urbani, arrivato nel 1955 e già assistente dell’Azione Cattolica, convocò sei sorelle della “Famiglia”: certamente su pressione di parrocchiani che, da un po’ di tempo, avevano scatenato una lotta accanita contro l’iniziativa di don Bonetti. Senza molta diplomazia, Urbani voleva basarsi su delle lettere inviate per mettere male il lavoro di don Lucillo: ma non furono mai reperite e il vescovo, senza ulteriori riflessioni, decise di sciogliere la piccola comunità. La soppressione della “Famiglia del Signore” indusse il parroco a dare le dimissioni, una delle sorelle se ne andò in Argentina, le altre non trovarono buona accoglienza a Portese.
Don Bonetti fu estromesso dalla diocesi di Verona, fu trasferito a Marcheno Valtrompia, in diocesi di Brescia, dal 1° settembre 1956: qui rimase sei mesi poi andò volontariamente a Tortona in provincia di Alessandria assieme alla sorella Cecilia presso i figli di don Orione accanto al santuario della Madonna della Guardia. Furono tre anni di dolore, anche se don Lucillo si dedicò alla cura d’anime con maggiore amore di prima.
L’ora della grazia avvenne il 29 agosto 1959 quando, al santuario di Tortona, per la predicazione, arrivò il cardinale Urbani, divenuto patriarca di Venezia. Vide don Bonetti piuttosto malato e lo abbracciò: ritirò la disapprovazione e si riconciliò con il vecchio parroco di Portese. Il quale scrisse al papa, ora S. Giovanni XXIII, dove raccontò, in 21 pagine dattiloscritte, la sua lunga vicenda: le gioie iniziali, i dolori patiti e lo supplicò di approvare l’Opera. Le Oblate Sacerdotali riprendevano vita. Nel 1960, il vescovo di Verona Giuseppe Carraro lo riammise nella diocesi, sostenne e caldeggiò l’opera. Don Lucillo Bonetti non se la sentì di ritornare a Portese, andò a Negrar presso la casa di riposo che don Calabria aveva predisposto per i religiosi: rimase con lui la sorella. Carmela Lusenti riprese in mano le sorti della piccola comunità che il suo fondatore aveva lasciato anche nel suo testamento; ella morì nel 2008.
Egli conobbe il suo “dies natalis” il 6 maggio 1968 a Negrar.
Dopo la sua scomparsa le Oblate trovarono sempre buona accoglienza sia a Portese, sia in altri luoghi. Nel 1987, anche per opera di don Evelino Dal Bon parroco di S. Felice del Benàco e poi di Sirmione, fu costituito un Comitato per la gestione del patrimonio, poi nel capoluogo nacque la “casa Pedrali” che accolse le sorelle della comunità: attualmente il loro numero è esiguo, ma la forza della fede non è mai venuta meno. Le proprietà di S. Felice del Benàco e di Marcheno Valtrompia sono state donate, dalle stesse Oblate, alla diocesi di Verona che ha messo a disposizione la casa canonica di Campalano di Nogara, con il fine di accogliere e preparare donne nubili e vedove per le case canoniche. Tutti i vescovi veronesi le vollero conoscere e alle Oblate Sacerdotali fu sempre offerto un segno affettuoso di riconoscimento.
Chiaramente in queste, ma certamente in molte altre persone, fu sempre forte la presenza del sacerdote umile e zelante, lontano dalle grida ma fieramente attento alla fede che, come consacrato in prima linea, manifestò sempre senza condizioni né compromissioni. Una via di Portese è dedicata alla sua memoria che è, invece, totalmente scomparsa nel suo paese natale dove don Lucillo Bonetti non è mai stato ricordato.

Bibliografia: Luca Delpozzo, Oblate Sacerdotali a S. Felice, “Garda notizie”, 1 apr. 2001; Dario Cervato, Tunica Christi. Preti veronesi del Novecento, Verona, Curia Diocesana, 2010, p. 154, nota 56; Evelino Dal Bon, Don Lucillo Bonetti e Carmela Lusenti: fondatori delle “Oblate Sacerdotali” a Portese del Garda, Gorle (Bergamo), Editrice Velar, 2020.

Giancarlo Volpato  

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