Zamboni Maria Angela

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

Per le tue domande scrivi a: giancarlovolpato@libero.it
Maria Angela Zamboni

Cantante lirica, soprano, Maria Angela Zamboni nacque a Ponti sul Mincio, appena al di là del confine veronese, in provincia di Mantova, il 25 giugno 1891. Figlia primogenita di Angelo e di Teresa Vannuzzi, nacque in una famiglia di umili origini; il padre, contadino di Cavalcaselle, si era trasferito in occasione del matrimonio.
Dopo le scuole elementari e le prime classi, non si conosce bene che cosa abbia fatto, ma visse probabilmente in casa com’era costume allora. Ormai ventiduenne, Maria (che non usò mai il suo secondo nome) venne ammessa, nel 1913, al Conservatorio di Parma nella classe di canto del maestro Giulio Silva come allieva esterna senza usufrutto del convitto, riservato agli alunni maschi. Solo il 2 aprile dell’anno successivo, dopo avere superato la prova di solfeggio, la Zamboni divenne allieva regolare dell’istituto. Alla fine del 1914 fruì di una borsa di studio per meriti scolastici occupandosi, tra l’altro, anche di pianoforte. Nel 1917, il maestro Silva se ne andò: per l’allieva, non sempre molto disponibile come persona in età giovanile, fu un trauma: così il 6 maggio di quell’anno, senza concludere gli studi, se ne andò dal Conservatorio. Ma la sua voce aveva già acquisito i timbri giusti e, soprattutto, la Zamboni aveva messo a profitto l’insegnamento straordinariamente felice del suo maestro.
Debuttò, a un’età in cui le cantanti avevano normalmente già acquisito notorietà, nel 1918: ricoprì il ruolo di Mimì ne La bohème di Giacomo Puccini al teatro della Società di Lecco. E fu subito un successo: la sua voce di soprano, calda e molto armonica, si affermò subito; all’inizio del 1919 si esibì al Teatro Eretenio di Vicenza, allora celeberrimo e poi distrutto dall’aviazione anglo-americana nel 1944, sempre nella medesima opera; fu un anno di straordinari successi e la Zamboni fu Micaela nella Carmen di Georges Bizet al Verdi di Bologna, poi al Sociale di Varese e al Politeama di Treviso dove, per la prima volta, si cimentò nel ruolo di Elsa nel Lohengrin di Wagner.
Era terminata, da poco, la tremenda esperienza del primo conflitto mondiale; e quel 1919 passò alla storia anche per l’impresa di Gabriele D’Annunzio a Fiume: ciò che fece il vate rimase nella memoria del mondo soprattutto italiano; l’Istria, dopo la guerra, per fatti anche politicamente poco comprensibili, rimase in una situazione assai complicata; e i legionari, sotto la guida del poeta-scrittore, l’occuparono: le presenze di quelle gesta non furono dimenticate, così come non passarono sotto silenzio le non poche persone che ne rimasero coinvolte; si pensi a Luisa Zeni, ad esempio, la combattente di Arco di Trento, che fu una delle donne cui il vate dedicò la sua attenzione e che si guadagnò medaglie al merito. Nel silenzio, al di fuori delle scene del teatro, quando il tempo glielo concedeva, anche Maria Zamboni prestò la sua opera in quel momento che anch’ella, ovviamente, reputò particolarmente significativo per l’amore all’Italia e agli italiani che là vivevano.
Il capitano Fulvio Balisti, capo della segreteria speciale di D’Annunzio, aveva bisogno di rendere chiaro ciò che stava accadendo ma non doveva fare capire ai nemici, pena la sua vita e l’impresa stessa del vate. Così, indirizzava a Maria Zamboni, che usava lo pseudonimo di Signora Fabris, le lettere che scriveva ai familiari e a chi avrebbe dovuto leggere; all’amico d’infanzia e compaesano, il soprano – certamente coperta per i ruoli lirici nei quali si esibiva – prestò se stessa non compromettendo alcun esito e, anzi, assicurando, in questo modo, i buoni risultati: fu, pure in eventi così diversi, una destinataria attenta e scrupolosa e lo sarà sempre, soprattutto nei molti ruoli artistici che andrà a ricoprire nella vita. Di questi gesti, la cantante non parlò mai, tenendosi lontana da qualsiasi possibile manifestazione. Era, allora, il settembre del 1919 e Fulvio Balisti era stato Medaglia d’argento al Valore militare, quale tenente di compagnia dei granatieri nel 1918; per le sue gesta istriane sarà decorato con Medaglia di bronzo; le lettere presentano un lirismo vicino alla mistica con un lessico di straordinaria bellezza.
Quest’attenzione ai fatti politici non distrasse affatto la cantante; infatti, al 5 dicembre di quell’anno, risalgono le prime incisioni acustiche: con Beniamino Gigli, il grande tenore che condivise con lei opere e successi nei teatri; insieme, dettero voce al duetto famoso del Faust di Charles Gounod, poi a quelli pucciniani e così via. Furono gli anni dei grandi trionfi della Zamboni: alla sua voce ella non negò nessuna possibilità, pure mostrando grande attenzione ai ruoli interpretati; i suoi occhi grandi, pieni di una luminosità mite portavano con loro quasi lo stupore infantile. Con una velocità quasi incredibile, il soprano impersonò moltissime figure femminili nei teatri più importanti e più esigenti; a Piacenza, a Parma, a Bologna – dove la musica lirica e le opere dei maestri raccoglievano sempre un pubblico attento ed esigente – Maria Zamboni conobbe applausi che non dimenticherà mai nella vita.
Dagli anni venti, in poi, fu scritturata ovunque; fu diretta da Tullio Serafin e nel Mefistofele di Arrigo Boito al Regio di Parma fu questo stesso autore a volerla mentre Pietro Mascagni, nel suo Il piccolo Marat, la volle dirigere. Certamente la fortuna l’ebbe con sé, ma non soltanto nella sua gola, non solo nel canto che fluiva sereno e limpido: era una donna spontanea che aveva messo, nel lavoro, il sentimento della passione. I colleghi, tenori, baritoni e bassi, le furono vicini: sempre con un grande rispetto, ma anche con grande onore; cantò con Riccardo Stracciari, con Nazzareno De Angelis, con Francesco Merli, con Enrico Molinari.
Pressoché tutti i teatri italiani l’accolsero e Maria Zamboni prestò la sua voce a molte figure; nel 1923 debuttò nel Boris Godunov di Modest P. Musorgskij: qui, come compagno, ebbe nientemeno che Renato Simoni, il grande autore veronese, che interpretò il ruolo tenorile di uno dei Boiardi.
In quel tempo ella viveva a Roma, in un albergo e fece la stagione nella capitale muovendosi allorquando necessario. Si ricorda una grande prova a Parigi sul palcoscenico dei Campi Elisi. Poi, s’imbarcò per il Sudamerica: furono alcuni mesi molto impegnativi, ma – ancora oggi, nelle storie dei teatri di quei luoghi – la sua fama è rimasta intatta. La compagnia italiana, diretta allora dal celebre impresario Walter Mocchi, andò al Colόn di Buenos Aires dove ella cantò La bohème, Orfeo ed Euridice di Christoph Gluck, I compagnacci di Primo Riccitelli, Le furie di Arlecchino di Adriano Lualdi: portò, nei paesi sudamericani, le opere nuove italiane. Fu al Solís di Montevideo, proseguì in Brasile dove ripropose La bohème e le altre opere a Rio de Janeiro e a San Paolo, poi si esibì a Santiago del Cile.
Ritornò a Roma dove fu accolta trionfalmente: la romanza del Mefistofele conobbe, con lei, un’interpretazione così superba che Benito Mussolini, già presidente del Consiglio dei Ministri, le mandò una sua fotografia con dedica autografa; fu – al di là e ben oltre i riflessi politici – il successo assicurato cui si rafforzarono le amicizie personali dei grandi compositori quali Puccini, Mascagni, Giordano oltre a quelle con i maestri direttori d’orchestra.
Il 29 novembre 1924 scomparve Giacomo Puccini: il teatro lo volle onorare con la sua opera più celebre sotto la bacchetta di Arturo Toscanini. Già direttore del Teatro alla Scala di Milano, cui più volte Maria Zamboni avevo volto i suoi sguardi senza mai arrivarci, il celebre maestro d’orchestra volle sentirla per affidarle la figura di Mimì; fu un trionfo e per la cantante si aprirono – senza mai chiudersi – le porte del luogo più noto per gli spettacoli italiani. Dopo questo debutto nel capoluogo lombardo, Toscanini non ebbe più dubbi sulla bravura di colei che aveva già ascoltato, senza mai apparire: gli piacevano il senso lirico e drammatico della voce, come pure – e lo scrisse apertamente – la purezza del linguaggio. La Manon Lescaut, terza opera di Puccini in ordine cronologico, diventò un altro punto di forza del soprano; cominciò a cimentarsi con le composizioni di Giuseppe Verdi (soprattutto La traviata), non trascurò pressoché alcuna interpretazione le venisse offerta ma dove la cantante, con molta attenzione alla propria voce, poneva le sue scelte. La diressero Gino Marinuzzi, Antonio Guarnieri, Lorenzo Molajoli, Oliviero De Fabritiis e cantarono con lei Giacomo Lauri Volpi, Aureliano Pertile e i tenori più noti. Erano gli anni in cui Gilda Dalla Rizza (v. questo Sito), Carmen Melis e Rosetta Pampanini, nel campo delle voci femminili, sembravano non lasciare spazio: ma Maria Zamboni, pressoché nel silenzio e cercando d’avvicinarsi a loro, non ebbe timori poiché le furono sempre aperti tutti i teatri oltreché continuare con le incisioni discografiche. Il 25 aprile 1926 tenne a battesimo la prima assoluta di Turandot alla Scala, sempre con Toscanini, nella parte di Liù.
La sua vita privata si svolgeva in riva al lago di Garda; aveva preso casa a Peschiera del Garda e aveva lasciato la sua di Ponti sul Mincio. All’inizio degli anni trenta, fu presente nei Paesi Bassi e nel nord dell’Europa, poi andò al Liceu di Barcellona dove prestò la sua voce come Donna Elvira nel Don Giovanni di Mozart e, ancora una volta, i giornali applaudirono la sua prestazione; ritornò in Italia e non ne uscì più.
I teatri di Parma, Torino, Catania, Bolzano, Cremona, Venezia, Bergamo, Novara, Napoli, Palermo se la contesero e, in essi, ella portò tante opere nelle quali era stata protagonista, ma vi aggiunse il Falstaff di Verdi, più volte la Turandot, la Manon di Jules Massenet, la Morenita di Mario Persico; lasciò un ricordo indelebile interpretando il pathos di Cio Cio-San nella Madama Butterfly.
Il suo nome comparve sino al marzo-aprile del 1936 quando, con Turandot al Bellini di Catania e poi al Massimo di Palermo, dette l’addio alle scene proseguendo, con alcuni concerti, nel luglio alla Triennale di Milano. L’ultima performance fu, in quei mesi, in una trasmissione radiofonica de I maestri cantori di Norimberga di R. Wagner.
Si ritirò a soli quarantacinque anni, quasi senza avvertire, nel silenzio com’era suo costume. Qualcuno pensò fosse accaduto per qualche problema vocale (la sua voce aveva un leggero vibrato che, con gli anni, si andò aggravando), ma il suo repertorio – in verità non vastissimo, scelto sempre con cura – era assolutamente consono alle sue risorse vocali e all’indole sentimentale; sempre molto attenta, ella aveva optato solamente tre volte per il virtuosismo spinto ben conoscendo le proprie qualità canore. Probabilmente così pensarono i critici e gli amici di allora; ma, quasi con certezza assoluta, Maria Zamboni scelse, invece, un’altra strada: quella del matrimonio; infatti, convolò a nozze, soltanto qualche mese dopo l’addio alle scene, sposandosi a Pompei il 29 marzo 1937 con Ambrogio Rossi.
Da quel giorno, Maria Zamboni pressoché scomparve; insegnò canto, a Milano, privatamente e in qualche scuola non pubblica. Visse, come aveva fatto quasi sempre, nel silenzio, lontano dagli applausi e dal canto del mondo. Si ritirò nella sua villa a Peschiera del Garda, dove scomparve il 24 marzo 1976.
Il comune di Ponti sul Mincio ha istituito un Festival lirico a suo nome con un Premio di canto al soprano. Nel 1990 Peschiera del Garda tributò un omaggio musicale e librario alla cantante. Tutte le storie della musica lirica hanno registrato Maria Zamboni tra le voci significative del primo Novecento.

Bibliografia: Rio di Valverde, Le nostre grandi artiste: Maria Zamboni, “La cultura moderna”, Milano, XV, 1925, pp. 253-255; Omaggio a Maria Zamboni, a cura di Michele Nocera, Peschiera del Garda, Comune di Peschiera del Garda, 1990; Raffaele Agostini, Ponti sul Mincio, Mantova, Sometti, 2004; Giovanni Villani, Zamboni, Maria, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 879-880; Silvia Luscia, Il capitano Fulvio Balisti. La storia del capo della segreteria speciale di D’Annunzio a Fiume, s.l., Elison Publishing, 2018, pp. 212-219; Aldo Salvagno, Zamboni, Maria Angela, in Dizionario Biografico Italiani, v. 100, Roma, Ist. Enc. It., 2020, pp. 426-429.

Giancarlo Volpato

***

Foto da You Tube

↓