Battistella Mario

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Mario Battistella

Poeta del tango, paroliere, compositore, traduttore, Mario Battistella nacque a Monteforte d’Alpone il 5 novembre 1893. Figlio di Angelo Antonio, calzolaio e di Eleonora Zoppi, era il primogenito poiché dopo di lui vi furono due fratelli ed una sorella. Frequentò certamente le scuole elementari nel paese natio: tuttavia la sua biografia giovanile giace avvolta dal mistero e, sovente, da supposizioni non avvalorate storicamente. Si racconta, ad esempio, che, appena quattordicenne, fosse stato a Vienna, a Parigi (dove avrebbe proseguito gli studi) aggregandosi – come un bohémien – ad un gruppo d’artisti suonando il concertino e il mandolino e spostandosi a Trieste, in Istria e in altri luoghi. Il fatto ch’egli conoscesse bene la musica e sapesse suonare potrebbe avvalorare questa ipotesi; esiste certezza della sua presenza nella banda del paese. A suo favore, per quest’eventualità, parlerebbe la sua facilità all’uso delle lingue: inglese e francese che imparò, probabilmente come autodidatta e che utilizzerà in futuro.
Il padre, però, con la famiglia, nel luglio 1901 si trasferì ad Altavilla Vicentina per fermarsi, pochi mesi dopo, a Gambellara. La sostanziale vicinanza dei due paesi vicentini con Monteforte d’Alpone appare come un probabile cambio dovuto al lavoro stesso del capofamiglia. Dopo l’11 novembre 1901 (il giorno di S. Martino, storico momento del mutamento d’impegno di tante famiglie venete del passato), nulla si sa – con esattezza – dei Battistella.
Furono gli anni della forte emigrazione nei paesi dell’America Latina. La storia ha raccontato degli italiani arrivati in Argentina e qui egli giunse nel 1910: forse non da solo, anche se – proprio per la mancanza di documentazione – non appare certa l’emigrazione della famiglia. Mario Battistella sapeva suonare, conosceva molto bene le lingue e l’entrata in un paese straniero dovrebbe essere avvenuta in maniera assolutamente normale: egli avrebbe apportato solamente del bene. Fa riserva, eventualmente, la giovane età che, da sola, non giustificherebbe l’accoglimento. Qualche anno più tardi, secondo una biografia – non avvalorata da documentazione – un fratello e la sorella avrebbero intrapreso un’attività di commercio legata all’agricoltura e all’allevamento nella campagna di Navarro, vicino a Buenos Aires e avrebbero chiesto a Mario di aiutarli. Attratto da ben altri interessi, questi sarebbe stato portato a rifiutare rimanendo nella capitale: qui, nei barrios (i quartieri) egli trovò sistemazione e passò certamente il primo decennio mantenendosi con quanto sapeva fare: cantare, intrattenere, tradurre dal momento che, in breve tempo, aveva appreso pure lo spagnolo.
Qui, il montefortiano emigrato trovò la sua vita. Erano già passati gli anni nei quali era nato il tango: nei quartieri poveri, lontano dalle opulenze dei cittadini ricchi e dal centro della capitale. Certamente Mario Battistella ebbe come un “rapimento interiore”: quella musica strana – mista di africanismo e di suoni con passi al di fuori della consuetudine dei balli europei – lo avvolse. Egli veniva dal teatro, nel quale si adoperò e nel quale debuttò – almeno ufficialmente – nel 1922 con un’opera, scritta insieme a Francisco Bohigas, dal semplicissimo titolo Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si: la scala delle note musicali fa comprendere, nel suo coautore, l’immagine di quanto egli avrebbe potuto fare in futuro. I teatri di Buenos Aires lo accolsero sempre molto volentieri ed iniziò per l’emigrato veronese un mondo diverso.
La fama cominciò ad estendersi e capitò per lui il momento fortunato: nello stesso anno e nel medesimo teatro della capitale incontrò Carlos Gardel, l’emblema del tango-canción, l’uomo più significativo e più celebre di quella musica sudamericana.
Iniziò a scrivere poesie che furono pubblicate su una rivista molto nota “La Canción moderna” (giornale di musica popolare) e uscì il suo primo tango Pinta brava, con musica di Charlo, apprezzato tanguero, per lo spettacolo di Alberto Ballestrero, il massimo cantante d’allora per il teatro “Porteño”: quello dei grandi interpreti. Già nelle prime composizioni, Battistella faceva vedere quei sentimenti che sarebbero diventati – anche e soprattutto nei giorni maggiori della celebrità – una componente rilevante: lo sguardo e la denuncia della difficile situazione sociale degli abitanti dei quartieri della capitale, totalmente dimenticati. Bisogna, a questo proposito, ricordare che il tango era nato proprio nei barrios poiché, nei primi tempi, fu aborrito dai ricchi e dai benpensanti. I tipici passi furono: il “corte”, cioè “lama, coltello” in cui il movimento viene repentinamente interrotto, determinando un “taglio” nell’esecuzione della danza e le “quebradas”, movimenti caratterizzati da una sorta d’abbandono nelle braccia dell’uomo enfatizzate dal movimento laterale delle anche. Questo fu lo scenario iniziale del tango negli anni ’80 dell’Ottocento, suonato e ballato in luoghi malfamati come identità rappresentativa di un popolo emarginato. In tempi piuttosto rapidi, cambiati alcuni movimenti, quella musica e quei passi entrarono come un evento negli ambienti diversi: e il tango, in alcuni decenni, s’affermò come la danza degli argentini cui si aggiunsero i cileni. I primi strumenti con cui si suonava il tango furono la chitarra (tipica dei gauchos e dei payadores, cioè i cantastorie itineranti che si esibivano nei villaggi), l’arpa, il mandolino, cui s’aggiunsero il flauto e il clarinetto. Poi, a piano, entreranno la fisarmonica e il bandoneón che diedero quel tocco di malinconia e di vena struggente che saranno la marca inequivocabile del tango. Appare curioso il fatto che, a fare affermare questa musica, siano stati soprattutto gli europei arrivati in Argentina; Carlos Gardel era francese, il bandoneón era d’origine tedesca, grandi autori furono gli italiani. All’inizio del Novecento, il tango emigrò nei paesi europei, massimamente in Francia, dove avvenne la consacrazione ufficiale. Abbandonati i luoghi dove il ballo era nato, esso trovò – non rapidamente ma con una lentezza che significò irrefrenabile ascesa – i teatri, i cabaret, reiventò abiti e colorazioni: si affermò tanto da diventare, nel 2009, patrimonio dell’Unesco.
I fasti d’oro, intorno agli anni Venti e Trenta del Novecento, trovarono Mario Battistella tra i più importanti artisti; paroliere provetto, buon compositore musicale, suonatore, ebbe i suoi momenti più celebri con Gardel, l’icona del tango argentino; questo felicissimo prodotto dell’integrazione di migranti grazie all’apporto di culture differenti cominciò a creare professionisti: dalla classe di suonatori, compositori e parolieri dilettanti se ne formò una di artisti.
Uomo versatile, raffinato e coraggioso, egli divenne l’autore per eccellenza delle canzoni: dotato di buona capacità scrittoria e molto attento a quanto accadeva, il montefortiano, diventato argentino, conobbe una buona carriera, anche grazie agli amici artisti: sopra tutti Gardel, ma pure Alfredo La Pera, Mariano Mores: e furono gli anni fecondi del tango, nei quali uscirono i suoi brani intramontabili: Melodía de arrabal (Melodia di periferia), Me da pena confesarlo, Cuando tú no estás, Mañanita de sol, Criollita de mis amores.
Nel 1929 Mario Battistella ritornò a Monteforte d’Alpone: rimase un poco con la famiglia e poi andò in Francia, a Parigi; qui, fu ingaggiato dalla casa cinematografica Paramount per fare il traduttore delle non molte impressioni di film muti. Rifece il giro in Italia nel 1932, accompagnando Gardel con lo scopo di girare un film con tanghi e canzonette: il progetto non trovò esecuzione; l’occasione del viaggio europeo lo reindirizzò a Parigi dove egli scrisse – con Gardel e La Pera – i testi musicali di tre film: Melodía de arrabal, Espérame e La Casa es Seria. Tradusse in spagnolo canzoni e libri francesi e inglesi. Alla fine del soggiorno parigino, Battistella andò a Milano dove, sempre con l’amico Gardel, firmò un contratto con la casa discografica “Ricordi” per la pubblicazione dei brani musicali e dei film.
Ritornò a Buenos Aires nel 1933 e datano negli anni immediatamente successivi le sue opere più celebri. Fu nominato direttore di teatri della capitale argentina; divenne, egli stesso, uomo di teatro e proseguì la sua attività di compositore: sia di testi sia di musiche. Diventò un impresario artistico oltreché organizzatore di spettacoli. Alla morte di Gardel, avvenuta nel 1935 in un incidente aereo a Medellín in Colombia, Battistella scrisse, con José La Pera, la biografia del grande artista, a tutti noto come lo “Zorzal criollo”: “El Zorzal”: Carlos Gardel, su vida artística y anecdótica.
La sua fama, allora, poggiava sull’interesse ch’egli dimostrava per le tematiche sociali: viene ricordato, soprattutto, per i tanghi che denunciavano i gravi problemi di coloro che abitavano la periferia (i barrios de arrabal) di Buenos Aires: la povertà dei ceti più bassi della popolazione, gli scioperi indetti dagli operai per ottenere condizioni di lavoro più umane, la decadenza morale e dei costumi, l’arrivismo e l’individualismo che regnarono almeno sino a quando egli fu in vita. Non si schierò mai contro il potere, ma il peronismo imperante che trascurava chi aveva bisogno non poteva trovarlo acquiescente. I suoi tanghi più importanti dell’epoca furono: Pobre rico, spaccato irriverente della ricchezza come unica misura di valore, Martir che fu una denuncia sessista della posizione femminile sottomessa, Bronca dove attaccò il pericoloso capovolgimento dei costumi. Il testo più acclamato dai contemporanei fu Al pie de la Santa Cruz, sul cui fondo si stagliava la scottante condizione operaia. Quest’ultima opera, considerata il suo capolavoro, verrà proibita in Argentina e in Cile dalle dittature militari degli anni Settanta (quelle di Videla e di Pinochet). Ricordò la sua infanzia di Monteforte, dove ritornò per l’ultima volta nel 1962 a salutare i parenti, almeno con una canzone, Sueño querido ch’egli considerò come il suo tango meglio riuscito: parlava del ricordo, costantemente inseguito, della bellezza dei suoi giorni infantili. Egli non aveva mai dimenticato la sua appartenenza italiana e, allorquando si presentava l’occasione, aveva sempre approfittato di fermarsi; i suoi viaggi furono più frequenti di quanto la scarsa biografia su di lui lascia trasparire. Negli anni immediatamente successivi la seconda guerra mondiale, pervenne a Milano, ospite del fratello, ritornato dall’Argentina; questi aveva aperto un negozio di penne stilografiche nel capoluogo lombardo: era arrivato con la moglie e con il figlio ed ugualmente farà dopo l’ultimo viaggio in Italia. Battistella fu definito “la voce di chi non ha voce”.
Utilizzò anche uno pseudonimo, tale A. Wood, per firmare le sue composizioni il cui numero arriva a 254 se si tiene conto dei tanghi depositati: forse qualche altro potrebbe essersi involato nei quartieri della capitale.
Mario Battistella scomparve a Buenos Aires il 10 ottobre 1968. La sua memoria, in Argentina, pare essere alquanto venuta meno e a Monteforte d’Alpone il suo nome è totalmente scomparso anche se, ora, il paese natale sta valutando di intitolargli un luogo pubblico. L’unica biografa italiana, Liviana Loatelli (v. Bibliografia), pianista dell’ensemble di tango “Alma Migrante”, ne ha ricostruito la vita e le opere e, al libro che riporta 14 testi, ha allegato un cd con le migliori canzoni dell’artista. La stessa autrice gli ha dedicato un intervento il 12 dicembre 2020, al 30° “Congreso Mundial del Tango” a Buenos Aires e nel 2018 i teatri veronesi lo avevano ricordato.

Bibliografia: Pablo Taboada, Mario Battistella. Un letrista mayúscolo. Reseña de su extensa trayectoria. Investigación tango, in http://www.investigaciontango.com; Horacio Salas, Il tango, Milano, Garzanti, 1992; Elisabetta Muraca, Il tango. Sentimento e filosofia di vita, Milano, Xenia, 2000; Liviana Loatelli, Voci migranti. Mario Battistella, il poeta del tango, San Giovanni Lupatoto (Vr), Edizioni Stimmgraf, 2015; Maria Grazia Marcazzani, Un libro per far conoscere Mario Battistella, “Monteforte oggi. Trimestrale d’informazione”, a. XXVI, n. 1 (apr. 2015), p. 12; Paola Dalli Cani, E il “poeta del tango” conquistò l’Argentina, “L’Arena”, 12 dicembre 2020, p. 33.

Giancarlo Volpato

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