Flangini Giuseppe

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Giuseppe Flangini

Pittore, drammaturgo, scenografo, attore, Giuseppe Flangini nacque a Verona il 12 ottobre 1898. Primogenito di cinque figli, nati da Silvio e Maria Sterza, crebbe in una famiglia della media borghesia, fortemente cattolica e culturalmente brillante. Il nonno materno, Alessandro Sterza, cancelliere dell’Accademia di Agricoltura, Commercio e Lettere di Verona per due anni, nel 1861 si trasferì a Mantova dove insegnò matematica e dove scrisse, proprio per quei licei (tecnico e classico), dei libri di algebra e geometria, oltre che un romanzo; fu premiato, con medaglia d’oro all’Exposition de Bruxelles 1897, per il perfezionamento del gazocene per la produzione del gas acetilene.
Giovane molto colto e attento all’arte, Giuseppe Flangini si diplomò, nel 1916, presso la “Scuola normale A. Manzoni” di Verona dove ebbe, come insegnante di disegno, Osvaldo Fiorido, artista importante nell’epoca della pittura verista che si rifaceva a quella olandese del 1600, cui il Nostro presterà molta attenzione. Il suo maestro era stato allievo di Napoleone Nani e di Angelo Dall’Oca Bianca presso l’“Accademia Cignaroli”. Eravamo all’epoca in cui, sia per le vicende della guerra sia per l’economia, Verona non sarà ancora (ma capiterà di lì a pochi anni) la grande città dove l’arte degli Anni Venti farà scuola in Italia. Rimasto orfano del padre nel 1909 si impiegò subito presso la Cassa di Risparmio di Badia Polesine; quindi, assieme alla madre che era maestra elementare, dovette provvedere alla famiglia. Chiamato a combattere nella prima guerra mondiale, fu fatto prigioniero dall’esercito austriaco e inviato nel campo di prigionia di Vrhnika, (per gli italiani, Nauporto), oggi in Slovenia. La fede cattolica, l’amore per il teatro, la capacità pittorica alleviarono la tristezza; oltre a ricevere delle tele e dei colori, grazie ai quali egli immortalò alcuni quadri che ritraevano i momenti tragici della guerra, il giovane Flangini seppe realizzare alcune brevi rappresentazioni: anche in questo, egli seppe dimostrare la versatilità e la bravura drammatica e teatrale che furono una delle costanti della sua vita.
Alla fine del conflitto, egli cominciò quella che sarà la grande parte delle sua attività: insegnò alle scuole elementari “Abramo Massalongo” a Veronetta e questa professione rimase per molti anni. La città, che era stata luogo di grandi artisti, conobbe un momento assai importante in quel periodo; la presenza di Felice Casorati mutò realmente il metodo della poetica espressiva e Flangini l’accoglierà con grande capacità culturale: abbandonato l’accademismo allora imperante, il Nostro farà suoi il senso introspettivo, la bellezza paesaggistica, il senso profondo dell’interiorità come metodi della comunicazione pittorica. Il recupero dei valori della tradizione italiana, la ricerca rigorosa e razionale diventeranno dei pilastri dell’opera pittorica di Flangini. Così, nel 1921, parteciperà con Preghiera all’Esposizione Sociale di Belle Arti a Verona; eccetto pochissime mancanze (1931, 1934, 1949), egli rimarrà come uno degli artisti sempre presenti sino al 1959. L’intimità dei volti familiari, il paesaggio rurale veronese e il silenzio delle vie cittadine diventeranno il centro del suo tema narrativo.
Sarebbe limitante, tuttavia, pensare che egli rimanesse solamente all’interno della pittura. Poliedrico, polivalente, pure rimanendo (e lo sarà per tutta la vita) nel silenzio e non cercando l’applauso, dotato di grande capacità inventiva, Giuseppe Flangini, ancor prima di farsi conoscere nel campo cui tutti – ancora oggi – lo hanno posto, aveva già lavorato come autore nel campo teatrale e scenografico. Aveva disegnato manifesti, copertine di libri e collaborava a riviste cimentandosi nel teatro: la pittura, la scena e la recita saranno gli amori indelebili dei suoi giorni.
Nel 1921 sposò Gina Zandavalli, originaria di Prun (comune di Negrar), giovane pittrice che avrà buona gloria per la sua arte. Il figlio Silvio divenne un fine disegnatore e illustratore, oltreché un veterinario e dirigente di Sanità, mentre una figlia morì in tenera età. Fu, certo non casualmente, il momento dell’apertura mentale di un uomo già di per sé estremamente dotato, poiché iniziarono – proprio allora – i suoi viaggi soprattutto in Belgio e in Olanda che rimarranno una delle basi fondamentali delle capacità del suo pennello. I suoceri, traferitisi nella prima nazione accennata, furono un richiamo irrinunciabile per accrescere l’arte, la cultura, l’amore per l’espressività dei grandi artisti di quel nord europeo dai quali egli si sentirà attratto e che farà propri in molte occasioni. Le impressioni diventeranno un forte pretesto, in verità non solo formale, per ampliare – e i suoi quadri, soprattutto della maturità parleranno questa lingua – la potenza espressiva, il senso del dettaglio, rovesciando pure la logica della prospettiva rinascimentale e aprendo le immagini, spesso al di là del segno, con il senso dell’allegoria, della metafora: queste erano e sono, tra le altre bellezze, le caratteristiche delle tele impressionistiche fiamminghe: Bruges, di per sé fantastica per la bellezza, e Ostenda furono i luoghi della rinnovata forma espressiva dei quadri di Giuseppe Flangini.
Intanto, la sua conoscenza e quanto egli era venuto producendo, colse pure l’ammirazione e l’amicizia degli artisti veronesi dell’età più bella per la Verona della pittura e dell’arte: da Pio Semeghini a Orazio Pigato, da Guido Farina ad Angelo Zamboni, da Adolfo Mattielli (v. questo Sito) a Guido Trentini e a Casorati stesso.
L’ascesa al potere di Mussolini non troverà Flangini dalla parte di questi: le sue idee, sostanzialmente legate al socialismo, non gli faranno – in seguito – vivere momenti sereni. In quest’epoca, il Nostro autore collaborerà con alcuni periodici culturali molto importanti, ma distanti dal potere ideologico imperante.
Nel 1925, egli farà un suo Autoritratto, forse il più noto: una scultura nella quale la luce calda e zenitale modella il busto appoggiato su un tavolo; ma l’anno successivo, un altro suo Autoritratto, un quadro di valore assoluto, rivelava un uomo incerto, apparentemente in cerca di qualcosa che assicurasse il suo viso: quell’infinito leopardiano, che si rivelerà in lui come una ricerca personale nella quale quasi ogni sua opera troverà il senso profondo del pensiero colorato dalla mano e soprattutto dalla mente. E sarà proprio la metà degli Anni Venti, periodo di grande e straordinario colore della Verona dell’arte, a rivelare una parte importante della vita di Flangini. Il drammaturgo – spirito profondamente accalorato dalla sua ricerca – metterà in luce, per la prima volta, ma con un séguito che molti non conoscevano e che, ancora oggi, appare dimenticato, la sua bravura: nel 1925, a Milano, andò in scena Sans-Père. Dramma in tre atti della Rivoluzione francese (Pavia, Ed. Arti Gianelli) dove apparivano chiaramente la follia che armava la vendetta e la ragione democratica dell’uomo pensante. Questo sarà l’inizio di una serie – davvero rilevante anche, e non solo, dal punto di vista poetico – di opere nelle quali il pittore Flangini apporterà se stesso sulle scene attraverso un’iconografia personale che rivendicherà, sempre, la propria libertà in epoche nelle quali non sempre all’essere pensante era concesso di essere tale senza cessioni al potere.
Il drammaturgo aveva già collaborato con “Controcorrente: rivista teatrale di rinnovamento” portando alcuni contributi critici delle sue opere; ugualmente farà, anni più tardi, su “Filodrammatica” dimostrando – ancora una volta – la libertà assoluta del suo pensiero e delle sue proposte teatrali, sostanzialmente legate alla vita e ai lunghi silenzi dello spirito e dell’intelletto. I palcoscenici di Verona e Milano – le due città nelle quali egli visse sia fisicamente sia spiritualmente – accolsero in pochi anni, con una velocità davvero rilevante poiché non appariva né appare facile la creazione, alcune opere teatrali nelle quali l’autore diventava, a volte, anche attore: La voce dell’amore: dramma in tre atti (Vicenza, G. Galla, 1927), Sposo mia moglie: grottesco in tre atti (Milano-Pavia, Àncora, 1928), Un angolo tranquillo: commedia brillante in tre atti (Milano, Àncora, 1928), S.M. il denaro: allegoria psicologica in tre tempi (Pavia, Àncora, 1929), La città ideale: dramma paradossale in tre atti (Verona, Bettinelli, 1930). Come appare facile arguire dai sottotitoli, che accuratamente Flangini aveva posto, le opere teatrali (così sarà anche per le altre) toccavano sempre dei tasti molto importanti nella vita dell’autore con l’attenzione dello stesso a ciò che accadeva nel mondo che lo circondava. Il damma, il grottesco, la commedia, l’allegoria hanno sempre fatto parte dell’esistenza umana, ma nell’epoca in cui queste opere furono fatte richiamavano l’attenzione del pubblico: ormai il potere fascista aveva fortemente palesato la forte ingerenza nella vita sociale, nella ricerca dell’arte, nel mercato del potere a scapito della libertà umana e spirituale fortemente compromesse. Si pensi a Sua Maestà il denaro: qui, l’autore veronese denunciava la forte speculazione del mercato delle firme nell’arte, in qualsiasi campo questa si esprimesse: la cupidigia, l’illusione, la speculazione per quell’affabulazione che desse prestigio ad un regime apparentemente “voluto” dagli italiani; ne La città ideale – dramma davvero paradossale massimamente nell’epoca nella quale viviamo adesso, se pensata nella logica del quotidiano – Flangini metteva in luce l’edilizia futurista, la propaganda promossa dal regime, il successo immediato non badando al futuro, la necessità del credere a ciò che avveniva senza allungare gli occhi e guardare avanti; uomo di profonda fede cattolica, egli mirava alla restituzione deontologica e sociale della persona. L’artista continuò, per tutto il resto della vita, a mettere in moto il suo grande meccanismo intellettuale esplicitandolo sia nella pittura sia nel teatro; e, ancora in questo campo registriamo, in quel periodo degli Anni Trenta dove il pensiero libero di Flangini non accettò mai di essere represso, andranno in scena Destino: bozzetto granguignolesco in un atto, o meglio Beffa tragica (Vicenza, Galla, 1931) dove l’amosfera e il tono di Guignol, il famoso burattino di Lione, con azione serrata, a volte raccapricciante e a volte scherzante prepara il destino: quale? E poi La bestia senza nome: dramma in tre atti (Roma, Libreria Salesiana, 1933); in quest’epoca la morale si fa azione ed ecco andare in scena Il Re Baldoria, un altro dramma dov’egli, che è autore, diventa scenografo, regista, attore (quest’opera gli porterà il premio nazionale della critica teatrale); poi Ah, quel caro Alfonso che Flangini pubblicò con il dramma di Dario Benini (Verona, Tip. Il Domani, 1935).
L’artista del colore non venne mai meno: la duplice attività era consustanziale alla sua vita e ad essa ne univa sempre altre, come quella di lavorare con le ceramiche. Ed ecco i paesaggi veronesi, l’amore straordinario per i luoghi ch’egli aveva visto con gli occhi e con la mano, oltreché con lo spirito del creatore d’immagini. La poetica vibrante del silenzio appare in tutta la sua luminosità: bambini, figure, piccoli luoghi e scenari dove gli uomini trascinano pesantemente i loro giorni. I viaggi al Nord, in Olanda e in Belgio, gli fanno raccontare i lavori: egli è diventato l’artista delle brughiere e degli arlecchini, dei paesaggi nordici e delle maschere della Commedia dell’Arte. Qui si vedono – e per lo spettatore accanto alle tele diventa una partecipazione attiva – questi paesaggi nordici dalle case squadrate, punteggiate da ciminiere dove compaiono operai, minatori, uomini del lavoro manuale quotidiano che si affrettano. Flangini continuava le sue esposizioni, ma sarà Venezia che lo chiamerà all’Opera Bevilacqua-La Masa di Ca’ Pesaro e a volerlo per un biennio (1934-36).
La guerra, voluta dal regime, lo troverà pronto a contrariarla: entrerà nel “Corpo Volontari della Libertà”. Ma il suo nome era noto; andrà a Milano, nel 1943, portando con sé sempre l’amore per il suo lavoro come insegnante elementare: lo lascerà alla fine del conflitto per dedicarsi completamente ai due grandi amori della sua vita. Diventerà, quasi subito, uno degli artisti meneghini e con loro si darà a quel lessico pittorico anti-novecentista legandosi ai valori cromatici luminosi dove l’atmosfera, di per sé impalpabile, diventa protagonista. I lunghi viaggi al Nord attireranno, ancor più, la sua sensibilità artistica: le sue tele sui lavori pesanti e miserabili degli uomini costretti alle miniere e alla disumanità saranno – per il pittore cattolico Flangini – come una forma di riscatto morale; la conoscenza e l’amicizia con James Ensor lo condurranno alla bellezza dell’insondabile, alla cura perfezionistica delle maschere, con gli echi dei codardi; e dalla sue mani uscirono Pagliacci (1942), Enigma, Malinconia e Arlecchino su sfondo rosso: quadri della fine della guerra.
Al termine del 1949, “Controcorrente: rivista teatrale di rinnovamento” pubblicherà Coabitazione: scene dal vero in tre atti: fu la denuncia sociale contro la corsa frenetica al denaro. Altre opere teatrali videro Flangini autore, sovente interprete e scenografo dei drammi in atti diversi: Il gatto nero, 1947, Sulla zattera, Viaggiatore e Doppio binario.
Un artista come lui non poteva passare inosservato: ed ecco l’amicizia con Carlo Carrà, con Aligi Sassu, con Giuseppe Migneco e molti altri. Partecipò all’Esposizione Nazionale d’Arte a Brera e così pure alla Permanente e diventò amico di Cesare Zavattini; bisogna ricordare che l’attività teatrale lo aveva legato con amicizie profonde a tanti attori illustri e a cineasti che fecero brillare i palcoscenici. Il cinema volle con sé un nuovo Flangini. Nel 1955, a Wasmes (oggi Colfontaine), a ovest di Mons nel Borinage dove Vincent Van Gogh visse due anni (1878-1880), Vincente Minnelli girò il film Brama di vivere, la vita travagliata e affascinante del sommo pittore. Qui l’artista veronese realizzò gli “storyboards”, le strisce illuminate essenziali per la composizione delle scene prima di girarle, accompagnò la macchina da presa come un vero e proprio occhio pittorico: probabilmente perché – ma non solo per questo – Van Gogh era stato predicatore nelle miniere: e il nostro riportò la realtà tetra, ma di totale sensibilità, di quegli anni [Per questo si può vedere il catalogo, uscito per la mostra a Milano: G. Flangini: omaggio a Van Gogh, 9-22 giugno 1956]. Anche qui, Flangini dimostrò di essere un uomo-artista, attento ai tempi, mai prono (fu messo in carcere durante il conflitto).
Furono questi gli anni fuggenti della sua vita e nacquero alcuni capolavori per i quali, comunque e in ogni caso, egli sarà ricordato: Le perle, dove la donna proiettata allo specchio (e, quindi, doppia), appare l’unica vera e grande perla, brillante di una raffinatezza assoluta, còlta solamente da chi ha la dolcezza dell’anima; Kermesse nel Borinage, Piazza delle Erbe, La Sambre a Montigny-Veduta dal Ponte: in tutte queste opere, il canto della memoria trovò – come quasi sempre nelle altre composizioni pittoriche e teatrali – la sinfonia del silenzio; egli sapeva ascoltare come faceva Pugacev, il ribelle dall’animo di poeta, protagonista dell’omonimo dramma di Sergiej A. Esenin: “…So ascoltare un intero giorno senza far rumore,/la corsa del vento e il passo d’una creatura,/perché nel mio petto, come in una tana,/si voltola la calda bestiola dell’anima”.
Il 7 agosto 1961, nella sua Verona, Giuseppe Flangini se ne andò per sempre; lo aveva còlto il male di Saturno: il piombo presente nei colori, che egli era solito stendere sull’avambraccio e sul dorso della mano, lo aveva intossicato: la bellezza cromatica delle sue opere l’aveva voluto con sé. La valorizzazione dell’opera di Flangini da parte della moglie, che ne aveva condiviso l’attività, fu assai rilevante.
Verona non ha dedicato nessun luogo all’artista (le biblioteche cittadine e della provincia non hanno raccolto i suoi drammi pubblicati) e sembrano essersene dimenticate altre città che lo ebbero con esse; non fu così per le esposizioni: infatti, durante la sua vita, furono moltissime e così anche quelle postume (l’elenco di tutte si trova nell’ultimo volume della bibliografia, 2022). L’“Associazione Culturale Giuseppe e Gina Flangini” si occupa e cura le opere di lui e della moglie dal 1997, istituzionalmente dal 2000.

Bibliografia: Vastissima e, quindi, impossibile da ricordare complessivamente: essa è quasi tutta citata nell’ultimo volume qui segnalato. Ne riportiamo solo alcuni: Licisco Magagnato, Il Belgio di Giuseppe Flangini, Verona, Cortella, 1977; Alba Di Lieto, Giuseppe Flangini, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, Banca Popolare di Verona, 1986, pp. 430-433; Rossana Bossaglia, Giuseppe Flangini 1898-1961. Una vita per l’arte, Milano, Lucini, 2001; Chiara Contri, Flangini Giuseppe, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 377; Giuseppe Flangini: regard d’un peintre italien sur la mine, Lawarde, Centre historique minier, 2007; Tra realtà e finzione: Giuseppe Flangini (1898-1961): una vita per l’arte, a cura di Elisabetta Flangini, [S.l.], Associazione Culturale Giuseppe e Gina Flangini, 2008; Giuseppe Flangini 1898-1961, a cura di Antonio D’Amico, Milano, Bocca, 2009; Flangini & Minnelli: il cinema dipinto, a cura di A. D’Amico, [S.l.], Associazione Flangini, 2012; Giuseppe Flangini: racconti di luce e colore, a cura di Elena Pontiggia, Genova, Sagep, 2022 [il vol. contiene: E. Pontiggia, G.F.: Guardare col cuore; A. D’Amico, G.F.: Fra l’anima e il mondo esterno; Elisa Favilli, Giuseppe Flangini: [biografia]; in quest’opera sono presenti il catalogo delle opere, l’elenco delle esposizioni e una buona bibliografia].

Giancarlo Volpato     

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