Bonuzzi Guglielmo
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Giornalista, scrittore, zoofilo, Guglielmo Bonuzzi nacque a S. Maria di Zevio (VR) il 24 agosto 1892. Figlio di Giuseppe, oste, e di Elisa Zecchinato, non seguì studi regolari pure essendo dotato di una straordinaria capacità di scrittura sin dall’età più tenera. Questa mancanza di sistematicità si rifletté nell’eclettismo dei suoi interessi culturali. Cresciuto all’ombra del fratello Silvio, di due anni maggiore e poi medico di grandi intuizioni e grazie all’aiuto della madre, maestra a Mazzagatta (l’odierna Mazzantica, Oppeano) e alla frequentazione della ricca biblioteca dei conti Serenelli, egli mise le basi di una straordinaria cultura. Si dimostrò brillante e fantasioso, dotato di grande curiosità intellettuale: visse l’infanzia e l’adolescenza con l’occhio dell’acuto osservatore che amava interessarsi delle notizie, che non rimaneva estraneo alle piccole e forse pigre vicende del paese natìo: le documentò attraverso fatti salienti e figure caratteristiche che diventarono, poi, ben più rilevanti che la modesta storia del borgo di S. Maria. Pubblicò qui, a partire dal 1907, (quindi, da ragazzo) il “Giornaletto settimanale” con articoli, foto, immagini, vignette: fatto tutto da solo: manoscritto, con carta formato protocollo, bollettino meteorologico, stato di salute del parroco e degli altri della comunità, i piccoli e dolorosi eventi delle giornate, i pettegolezzi, le cose buffe, le minute cronache; il giornaletto andò avanti per molto tempo e, qui, con una precisione invidiabile, metteva all’attenzione dei concittadini quanto era accaduto nel piccolo paese, le strane e vivaci gesta del suo strano fratello Silvio; fu un genere d’interesse che non verrà mai meno in Bonuzzi e che, molti anni dopo, sarà ricordato dai presenti di allora o dai loro discendenti. Rimasto orfano, svolse tutti i lavori più umili e pesanti sia in osteria sia in agricoltura.
A 21 anni lasciò il paese: l’apprendistato quale corrispondente giovanissimo (a soli 15 anni) de “L’Arena”, gli aprì le porte del giornale; così, nel 1913, iniziò la sua attività esordendo con il commento (assai lodato) della prima di Aida opera con la quale l’anfiteatro veronese iniziava la sua ultracentenaria attività lirica. Da quel giorno, apparentemente, se ne andò dalla frazione di Zevio: nella realtà, se la lasciò fisicamente, la portò con sé sempre e ovunque. Nel 1916, passò all’altro quotidiano cittadino “L’Adige”, che diresse per un anno al posto di Alberto M. Perbellini chiamato alle armi.
Le porte dei grandi giornali erano ormai aperte. Nel 1917 emigrò a Milano presso il “Corriere della sera” dove rimase sino al 1923. Poi se ne andò a “Il Resto del Carlino” di Bologna dove rimase sino al 1960, anno della cessazione della sua attività. Fu la scelta che aveva agognato: si occupò di cultura, aprì – primo nella storia del giornalismo italiano – la rubrica della corrispondenza quotidiana, su “Carlino sera”, con i lettori ai quali rispondeva con lo pseudonimo de ” Il Samaritano” (uno dei tanti utilizzati nella sua carriera); fu l’anticipatore indiscusso delle rubriche popolari delle quali si impossessarono, poi, i rotocalchi: la sua, molto confidenziale, dal titolo “Terza classe”, inaugurò un’era e una prassi che non tramontarono. Di quest’attività segnaliamo la sua opera, molto geniale e intelligente (tra il faceto e il serio), dal significativo titolo: I dolci peccati delle belle bolognesi, 1925.
Se ne era andato da Verona, ma l’ambiente scaligero era quello della sua vita interiore e culturale; gli furono amici gli scrittori dell’epoca: con Lionello Fiumi (v. questo Sito) intrattenne una trentennale corrispondenza, oggi custodita presso il “Centro Fiumi”; s’incontrava e corrispondeva con Sandro Baganzani (v. questo Sito), con Giuseppe Silvestri, con Berto Barbarani, con gli artisti della grande Verona culturale dell’epoca.
Sposò Maria Gottarelli (che firmò quasi sempre Maria Bonuzzi Gottarelli), scrittrice di opere soprattutto per bambini, oltreché poetessa: imolese, anche Guglielmo Bonuzzi si trasferì nel grosso centro poco lontano da Bologna. La simbiosi con la moglie non fu certamente casuale. Egli, affermato giornalista e assai bene considerato dai colleghi, aveva esordito – nel 1920 – con un libro di racconti ambientati nel borgo natale, il cui titolo (che Bonuzzi probabilmente non avrebbe mai dato) era S. Maria di Zevio: novelle e che gli fu quasi imposto da Ugo Ojetti, uno dei grandi dell’epoca. Il giornalista si era inurbato, ma il cuore e la mente erano rimasti in quella frazione.
Rimase, anche, con l’animo del giovane: nel medesimo anno fece uscire Rosablù e, due anni dopo, Giaggioli sul muro: due libri di narrativa per ragazzi nei quali “Memo” non era assente. Nel 1925 pubblicò il lungo racconto del suo apprendistato alla vita all’ombra di un padre, che descrisse fornaio e lettore indefesso: quel libro, Precocità, suscitò uno straordinario interesse e fu accolto come opera geniale, dotata di grande carica umana e di forte conoscenza di un periodo assai importante nella formazione dell’esistenza. Ottenne il premio “Bologna” e quello, assai significativo, dell’Accademia d’Italia. Seguì Il sole alto, forse l’opera sua maggiore, assieme ad Ansia di vivere che fu insignito del premio “Recoaro” nel 1953.
Ma la sua carica umana non conosceva limiti; nel 1928 curò un’opera dal titolo molto significativo: La guerra nelle sue canzoni: canti e cantori dall’alba del Risorgimento alla rivoluzione fascista. Intanto traduceva, dal francese, Edmond de Goncourt e Guy de Maupassant. In Olanda tenne una conferenza su Due poeti della bontà: Berto Barbarani e Marino Moretti; a questi dedicò, più avanti, ulteriori attenzioni. Non disdegnò l’epoca fascista: a tale proposito scrisse anche un libretto sul famoso Littoriale bolognese: ma, sostanzialmente, si tenne piuttosto lontano dalla politica.
Allargò ulteriormente i suoi interessi culturali, ma che gli erano sempre appartenuti. Guardò il mondo dei poveri: li studiò, s’immedesimò nella realtà e per loro scrisse almeno due libri estremamente significativi sulla fame nel mondo, sulle difficoltà dell’esistenza di coloro che avevano avuto poco e che erano abbandonati da un mondo di potenti e di ricchi ch’egli non amava e dai quali si teneva lontano. Citiamo solamente Questa, la grande fame del 1969. Guardò, con occhio pieno di affetto e di conoscenza, le creature – apparentemente poco rilevanti – che convivevano con gli uomini: gli animali. Pubblicò cinque opere di grande effetto, di somma attenzione a un mondo (per allora) assai poco conosciuto: la sua zoofilia, certamente frutto di un’infanzia trascorsa con essi e mai dimenticata, fu studiata da veterinari, da scienziati, ma egli non si sentì coinvolto da questo; anche la moglie, con la quale certamente condivise affetti, amori e giornate intense, si occupava di questi esseri viventi: sempre con la cura di un’attenzione che andava ben oltre il mero interesse. Si pensi solo a due titoli: L’altro prossimo (1958) e Gli animali si vogliono bene (1964), mentre quello della moglie, adattato ai bambini, si chiamava Gli animali ci parlano. Bonuzzi aveva fondato, a Bologna, “Il rifugio del cane e del gatto” salvando migliaia di piccoli animali; nel 1938, chiamato dal Ministero dell’Interno, era stato il co-fondatore dell’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali). Tutte le suo opere, assai numerose, uscirono per le edizioni Cappelli.
Il suo stile letterario risentì del fluire crepuscolare con un linguaggio forbito, elegante; poi, passò ad uno incisivo, forbito e, nello stesso tempo, vicino al linguaggio parlato, ma con un uso assai attento del lessico. Il sodalizio con i lettori era molto chiaro e netto. Si occupò anche di critica letteraria, si cimentò con il teatro (Ho baciato il sole, 1951) che gli assicurò il “Premio della bontà”; scrisse la biografia dell’artista Emilio Zago; nel 1956 fu insignito del “Premio Marzotto”, per la narrativa per ragazzi. Il 4 dicembre 1954 Zevio festeggiò pubblicamente Massimo Spiritini (poeta, nato lì) e Bonuzzi facendo leggere alla moglie di quest’ultimo una poesia sul paese natale.
Se ne andò a Imola (Bologna) il 24 dicembre 1976.
Il 25 marzo 2010 il Comune di Zevio accettò la donazione di libri, foto, appunti, opere e scritti vari di Guglielmo e Silvio Bonuzzi e di Maria Gottarelli: fece depositare tutto a S. Maria, da dove il giornalista-scrittore non si era mai spiritualmente staccato.
Bibliografia: Lionello Fiumi, Bonuzzi, lo scrittore che venne dal nulla, in Id., Li ho veduti così: figure ed episodi nella Verona della mia adolescenza, Verona, Vita Veronese, 1952, pp. 73-80; Giuseppe Silvestri, Veronesi del Novecento: Guglielmo Bonuzzi, “Vita Veronese”, VII, 1954, n. 1-2, pp. 45-50; Il 4 dicembre 1954 Zevio ha festeggiato M. Spiritini e Bonuzzi, “Vita Veronese”, VII, 1954, n. 11-12, pp. 410-412; Mino De Chirico, Miscellanea parvula, a cura di Tommaso De Chirico, Milano, Mnamon, 1993, pp. 37-39; Attilio Scandola, Santa Maria e i suoi uomini illustri, Zevio, Associazione archeologica S. Maria, 1999, pp. 31-70; Giancarlo Volpato, Bonuzzi Guglielmo, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 147-148; Piero Taddei, Il giornalista che dà le notizie cent’anni dopo essere morto, “L’Arena”, 24 novembre 2009, p. 37.
Giancarlo Volpato