Roghi Bruno

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Bruno Roghi

 

Giornalista sportivo, scrittore, Bruno Roghi nacque a Verona il 24 aprile 1894. Figlio di Angelo, uomo che esercitava la professione di medico e di avvocato, e di Clara Taidelli, una delle prime donne a interessarsi attivamente di politica in Italia.
Nonostante il padre avesse lo studio in città, la famiglia andò subito a vivere a Sanguinetto, il paese della bassa veronese che il Nostro definì come la “sua vera patria” e nel quale, ancora oggi, esiste un vivo ricordo di lui. Egli crebbe all’interno di una costante attività intellettuale che i genitori non gli risparmiarono: la duplice professione del padre ed una madre che dedicò buona parte della sua vita battendosi per i diritti sociali e civili della donna; in anni diversi – anche quando la famiglia si trasferì altrove – ella occupò la carica di Presidente dell’Unione femminile nazionale (soprattutto negli anni 1926-1938, ma anche dopo la fine della guerra per altri tre anni), fu consigliera dell’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia). Di questa attività, foriera del bene altrui, alla scomparsa della madre, egli e il fratello Raoul fecero istituire a Sanguinetto il premio Clara Taidelli Roghi, riservato esclusivamente alle neolaureate delle facoltà giuridiche ed economiche: la prima edizione si tenne nel 1955 e durò sino al 1964.
Nel paese della provincia veronese, Bruno Roghi viveva all’interno del Castello dove si tenevano stagioni liriche ed egli assisteva alle prove dei cantanti e dei musicisti. Apprese subito, anche perché quel luogo era il teatro del paese, la musica e fu un amore che porterà sempre con sé; in quegli anni, tutto questo era organizzato da Gaetano Zinetti (v. questo Sito), compositore e direttore d’orchestra, anch’egli di Sanguinetto.
La famiglia si trasferì a Milano; qui ottenne la maturità al Liceo “G. Parini”, s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza laureandosi in legge all’Università di Pavia e, nello stesso tempo, frequentò i corsi di pianoforte al Conservatorio di Milano ottenendone il diploma. Iniziò la carriera di concertista, ma l’avvento della guerra – come accadde per troppa gente – gli troncò l’attività. Chiamato alle armi, frequentò l’Accademia militare di Modena, ottenendo il grado di tenente e poi, più tardi, quello di capitano per meriti di guerra; fu mandato a combattere sulla Bainsizza, l’altopiano calcareo a nord-est di Gorizia, oggi in Slovenia; qui fu ferito gravemente all’addome da una scheggia a mano e, per curarlo, il padre si arruolò come ufficiale medico volontario. Bruno Roghi fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare.
Alla fine del conflitto, divenne avvocato civilista in uno studio legale a Milano cullando sempre il sogno di diventare concertista: si occupò, subito, di critica musicale cominciando a scrivere sui giornali e collaborando, soprattutto, ai mensili letterari quali “Il Convegno”, in quegli anni particolarmente divulgato. Certamente il suo modo di scrivere fu còlto da giornalisti di altra estrazione: il redattore capo de “La Gazzetta dello Sport”, Cesare Fanti, lo chiamò a redigere un servizio – per il massimo giornale sportivo del tempo – in occasione di un gala di scherma; il direttore Emilio Colombo apparve affascinato dal modo, estremamente nuovo, di raccontare un evento sportivo: era il settembre del 1922. Nell’autunno di quell’anno Bruno Roghi venne assunto e nel gennaio 1924 divenne “capo-rubrica del calcio”: descrisse, debuttando in quel settore, il 20 gennaio scrivendo della partita di calcio di Italia-Germania 0-4 tenuta a Genova. La luminosa carriera di grande giornalista sportivo era aperta e gli avrebbe dato notevoli soddisfazioni.
Nel medesimo anno sposò Maria Antonietta Giovanardi dalla quale ebbe il figlio Giovanni, spentosi a soli quarant’anni: giornalista, esperto sommozzatore e pioniere della caccia subacquea, fu ucciso da un elefante nella Repubblica Centro-africana, dov’era inviato de “L’Europeo”.
La figura di Bruno Roghi come giornalista dello sport s’affermò rapidamente; egli apportò un nuovo linguaggio, inserendo forti similitudini, accarezzando qualche tono poetico, illustrando le gare con un tocco di magìa descrittiva sino ad allora sconosciuta. Firmava i corsivi con lo pseudonimo di Ghiro, anagramma del proprio cognome. Furono gli anni delle grandi imprese calcistiche: la nazionale italiana, guidata dal commissario tecnico Vittorio Pozzo, vinse i campionati del mondo nel 1934 e nel 1938. Con Roghi le cronache descrittive di quegli incontri trovarono una dimensione che rimase unica nella storia: l’innovazione del linguaggio – come accadrà sempre, anche in altri avvenimenti sportivi – con lui farà rifiorire il modo di scrivere gli articoli avvicinandosi, prima che al giocatore, al lettore, unico e vero erede della storia sportiva al di fuori dell’impegno degli atleti: il tutto – e sempre – grazie ad una prosa brillante e cόlta, ricca di citazioni, attenta al rapido e continuo mutare dei gesti e degli eventi, fossero essi sul campo di calcio, fossero sulle strade delle corse ciclistiche o nei luoghi dove avvenivano le gare. In un suo scritto, La lingua del calcio, diventato celebre tra i commilitoni giornalisti, egli avvertiva i colleghi di utilizzare sempre la capacità dei trapassi di scrittura: romantico e popolaresco, epico e ironico. Ciò accadrà – soprattutto per lui, considerato forse il massimo scrittore del ciclismo – quando, di lì a poco, vi saranno le gare tra i grandi campioni della bicicletta.
Furono questi gli anni del raggiungimento della massima popolarità come giornalista.
Negli anni 1935-1936 dovette lasciare l’Italia poiché fu chiamato – come inviato speciale – alla guerra d’Africa: al seguito delle truppe entrò con esse ad Addis Abeba, il 5 maggio 1936 e scrisse alcune pagine memorabili nel libro Tessera verde in Africa orientale: impressioni e ricordi di un giornalista nella guerra italo-etiopica (Milano, Elettra, 1936).
Poco dopo il rientro ed esattamente il 7 ottobre 1936, Bruno Roghi assunse la direzione de “La Gazzetta dello Sport”, succedendo ad Emilio Colombo. Avvennero gli anni delle grandi vittorie di Coppi e di Bartali e di loro il nostro giornalista fu, certamente, il massimo scrittore sportivo oltreché – e lo si capisce leggendo ancora oggi – per l’amore straordinario che nutriva per lo sport della bicicletta: qui egli scrisse certamente le sue pagine più belle, le più emozionate ed emozionanti con un’attenzione straordinaria alle mitiche imprese dei due intramontabili campioni.
Tuttavia – e sarebbe assurdo dimenticarlo – erano, anche, i tempi del fascismo per il quale non poteva esistere la sconfitta. Bruno Roghi si lasciò chiaramente trasportare. Il clima politico si rifletteva nelle cronache delle imprese sportive e “La Gazzetta dello Sport” non ne fu esente; i suoi articoli, anche prima della sua direzione, usavano sovente toni trionfalistici legati al regime: “Le grandi vittorie degli atleti fascisti nel nome e per il premio del Duce” recitava l’occhiello (articolo di Roghi) del titolo in prima pagina all’indomani della conquista del primo titolo mondiale di calcio (11 giugno 1934). Quando Gino Bartali vinse il Tour de France nel 1938, egli lo fece “nel clima dell’Italia di Mussolini” ed era “l’indice luminoso di quanto può e di quanto sa un popolo come il nostro, che ha tratto da una guerra eroica, gli strumenti per inaugurare un’era novella della civiltà umana”. Quando, nel campionato di calcio, la Roma conquistò lo scudetto, questa divenne “la squadra del Duce”; Tazio Nuvolari, il celebre mantovano delle auto da corsa, diventò “il pilota dell’Italia: il più grande del mondo”. In definitiva, anche il maggiore quotidiano sportivo italiano non fu da meno degli altri a piegarsi alla politica; l’11 giugno 1940, a titoli cubitali, in prima pagina, Roghi non esitò a fare scrivere: “La Guerra è dichiarata alla Gran Bretagna e alla Francia” e, sotto, “Il grido è uno, la certezza è una: vincere”.
Durante la sua vita, il giornalista dedicò ampi spazi alla letteratura; fu autore di romanzi (alcuni usciti mentre la sua attività proseguiva) che ottennero un discreto successo: si pensi ad Allegro assai (1946), La palla della Principessa (Nausicaa dell’Odissea avrebbe giocato a palla con le amiche), Re pallone, Africa orientale, una splendida storia delle Olimpiadi dal titolo assai significativo Olimpia, Olimpia (1960), oltreché un’altra intelligente storia dello sport dal titolo Nella luce della fiaccola di Olimpia: storia degli sport attraverso i tempi (1957). Il suo principale allievo nel giornalismo sportivo fu Gianni Brera, ma molti altri s’avvalsero del suo insegnamento. La sua direzione – in qualsiasi giornale avvenisse – fu quella d’innalzare a un piano letterario di valore le cronache sportive; la sua prosa era di vaga intonazione dannunziana, ma essa fluiva armoniosa e facile, mai piegata al piattismo di una mera descrizione e assolutamente lontana dalla retorica: scriveva bene d’istinto ma la sua cultura lo aiutava sempre a nobilitare un genere che, prima di lui, era stato abbandonato agli umili amanuensi che si intendevano solo di sport o, scarsamente però, a qualche letterato ignaro dello sport stesso. Appassionato soprattutto di ciclismo (anche se non solo) storicizzò – con prosa letteraria tra il mito e la grandezza – le imprese di Fausto Coppi e di Gino Bartali: queste “cronache” rimasero nella storia del giornalismo sportivo. Fu presente, come proprio inviato dei giornali che diresse, ad una ventina di Giri d’Italia, a oltre dieci Tour de France e a centinaia di corse, soprattutto quelle classiche.
All’indomani dell’8 settembre 1943, alla fine della dittatura mussoliniana, Roghi lasciò la direzione de “La Gazzetta dello Sport”; ritornò a dirigere il quotidiano il 2 luglio 1945 mantenendo la posizione sino al 31 marzo 1947. Subito dopo, fondò e diresse “Temposport” che ebbe vita breve. Assunse, poi, la direzione del “Corriere dello sport”, che firmò, per la prima volta, il 24 luglio 1947: qui rimase, chiamando colleghi che poi si affermarono nell’ambito del giornalismo sportivo, sino al 31 dicembre 1960: “Il congedo volontario – spiegò ai lettori nell’editoriale di saluto – è dovuto al fatto di serena coscienza di un giornalista da quarant’anni sulla breccia che da tempo ha dato al suo commiato l’appuntamento all’indomani dell’Olimpiade romana” (Corriere sportivo, supplemento al “Corriere dello sport”, 1° gennaio 1961).
I propositi di ritiro dalla professione durarono solo pochi mesi; dall’inizio di luglio 1960 fu nominato direttore di “Tuttosport” sino alla sua scomparsa. Bruno Roghi stabiliva, in questo modo, il record d’avere diretto i tre quotidiani sportivi italiani.
Nel 1953 aveva acquistato Villa Gadda, a Longone di Segrino, nella Brianza in provincia di Como: era stata costruita da Francesco Ippolito Gadda, padre di Carlo Emilio, dove quest’ultimo – uno scrittore tra i più noti del secondo Novecento – aveva vissuto e ambientato il suo capolavoro La cognizione del dolore.
Bruno Roghi fu il fondatore del Gruppo milanese giornalisti sportivi, fu il primo presidente dell’Unione sportiva italiana nonché vice-presidente dell’“Association internationale de la presse sportive” dal 1952 fino alla morte. Diresse una collana sportiva della casa editrice Sperling&Kupfer, collaborò alla redazione di numerose enciclopedie, scrisse varie opere e due atti unici per il teatro.
Scomparve a Milano il 1° febbraio 1962. Il giorno successivo Gianni Brera scrisse su “La Gazzetta dello sport” il più bel commento all’uomo, allo scrittore, al giornalista.
L’amore ch’egli nutrì per Sanguinetto – al quale si sentiva profondamente attaccato e dove ogni tanto veniva passandovi giorni felici – lo fece accogliere come un figlio da quel luogo dove aveva trascorso l’infanzia e la giovinezza. Il paese gli ha dedicato il “Premio B. Roghi”, giunto, quest’anno, alla 48° edizione e legato al “Premio Castello”: insieme si tengono nel “Teatro G. Zinetti”; un altro, di caratura internazionale, è il “Premio B. Roghi” annuale, destinato, dal 1963, a quello del giornalismo sportivo di calcio giovanile a Viareggio. Alla sua memoria è stata dedicata la Sala Stampa dello stadio “Bentegodi” di Verona. A Sanguinetto, la Scuola primaria porta il suo nome. La Commissione del Premio pubblica, ogni tre o quattro anni, gli esiti dello stesso. Tutte le storie del giornalismo, soprattutto italiano, parlano di lui e nei giorni successivi alla dipartita i quotidiani sportivi lo ricordarono.

Bibliografia: È morto Roghi. Il giornalismo sportivo ha perduto il maestro, in “Corriere dello sport”, 2 febbr. 1962; Aldo Biscardi, Da Bruno Roghi a Gianni Brera. Storia del giornalismo sportivo (pref. di Gianni Rodari), Roma, Guaraldi, 1973 (rist. anastatica, Siracusa, Morrone, 2015); 110 anni di gloria. La storia dello sport italiano e mondiale raccontata da La Gazzetta dello sport, 4 v., a cura di Elio Trifari, Milano, RCS quotidiani, 2006-2007; Giuseppe Franco Viviani, Roghi Bruno, in Dizionario biografico dei Veronesi, a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 707; Renzo Puliero, Bruno Roghi, in La storia di tante storie. Giornali e Giornalisti del Veneto, Venezia, Ordine dei Giornalisti del Veneto-Pordenone, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2016, pp. 250-252; Claudio Rinaldi, Roghi, Bruno, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 88, Roma, Ist. Enc. It., 2017, pp. 133-135.

Giancarlo Volpato

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