Donadoni Mario
Letterato, critico, conferenziere: nacque a Bovolone, da una famiglia di artigiani, il 18 ottobre 1906. Ancora giovanissimo, fu attivo nella cultura del suo paese come attore nella Filodrammatica. La morte della madre (1925) e i contrasti con il padre lo allontanarono da casa; fu aiutato dal parroco, Mons. Bartolomeo Pezzo, e da una famiglia del luogo; conseguì il diploma magistrale a Verona e insegnò nelle scuole elementari a S. Pietro di Morubio e in due frazioni di Bonavicina, poi a Caorle (VE) dove rimase sino al 1940.
Si era sposato nel 1936 a Terrazzo, ma l’unione durò solamente due anni.
Si trasferì a Firenze nel 1940 e conobbe Giovanni Papini del quale diventò l’amico più caro e a cui fu legato per sempre. Si laureò a 37 anni con una tesi lodatissima, ma continuò a insegnare nella scuola elementare nella città toscana. Dal 1950 fu comandato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze dove si occupò dell’immenso archivio di Giovanni Pascoli: iniziò allora la sua carriera di dicitore finissimo, conferenziere, acuto e straordinario critico e lettore degli autori italiani. Considerò quest’attività come una missione tanto da essere definito “un chierico vagante della letteratura” attraverso l’Italia, l’Europa e il mondo tenendo conferenze e declamando Dante, Pascoli, Manzoni, Montale, Quasimodo, Pirandello, Carducci, Deledda e D’Annunzio e altri autori a lui cari (a tutti dedicò qualche scritto e al suo Pascoli, Ritorno a Pascoli, Città di Castello 1955).
Dotato di una straordinaria bravura come dicitore, quasi un attore, dalla voce calda e sonora, dall’emissione gradevole e sicura, armato di una personalità spiccata e ricca di cultura, vasta e profonda, raggiunse un pubblico sempre più cosmopolita. Andò in Finlandia, in Danimarca, in Inghilterra, più volte in Germania, in Marocco, in Sénégal grazie all’amicizia con Léopold Sédar Senghor da lui conosciuto a Parigi e, poi, divenuto presidente del paese africano (per lui pubblicherà Un neoumanista del terzo mondo: Léopold Sédar Senghor, in Scritti in onore di Caterina Vassalini, Verona 1974).
Fu proprio nella capitale francese, all’ateneo della Sorbona, che avvenne la sua consacrazione ufficiale: davanti a studenti, professori, attori, più e più volte invitato, lesse e recitò Dante, tenne lezioni su Michelangelo, dette del Rinascimento italiano una delle più fulgide reminiscenze. Intanto veniva pubblicando saggi intensi di critica letteraria: ma non dimenticò mai il suo primo amore che era il giornale dove veniva scrivendo elzeviri luminosi sulla cultura; “L’Arena” era una delle sue palestre preferite, ma il suo nome illustrò le terze pagine dei maggiori quotidiani italiani.
Fu di casa al Vittoriale diventando amico di Gian Carlo Maroni, l’architetto di D’Annunzio che rimase a Gardone sino alla morte arricchendo la residenza che era stata del vate. Qui, nel teatro che dà sul lago, Donadoni recitò come aveva fatto e come farà un po’ dappertutto con Vittorio Gassman, Lea Padovani e altri attori con i quali condivise gli applausi del palcoscenico; con Ildebrando Pizzetti, Victor De Sabata e Maria Callas spartì quelli della musica.
La sua abitazione toscana, in Borgo Pinti e poi in Borgo Àlbizi nella Firenze medioevale vicino a Santa Croce, divenne il luogo degli incontri con Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Vasco Pratolini, Nicola Lisi, Piero Bargellini, Giuseppe Prezzolini: ma non aveva dimenticato gli amici veronesi quali Lionello Fiumi, Gino Beltramini, Mario Carrara, Caterina Vassalini e Clara Boggian, del salotto della quale, fu spesso ospite prediletto.
Fu amico di François Mauriac e di André Gide, con i quali esistono i carteggi. Affascinato dalla sua voce e dal suo incanto di dicitore, Papini lo volle accanto a sé perché gli leggesse le cose amate nel momento del trapasso. Fu un caro amico di Ida e Mariù Pascoli alle quali fu legato, spiritualmente, per l’amore all’arte del fratello: alle opere di questi, egli consacrò eccellenti scritti. Pubblicò anche un libro di poesie proprie (I canti del mare: liriche, Verona 1939).
Ad Ankara, a Istanbul, a Dakar lasciò segni che ancora oggi è facile ritrovare.
Non dimenticò l’odiosamato Bovolone dove ritornava, quasi di nascosto – di sera, di domenica, in silenzio – presso il vecchio parroco e una famiglia che lo aveva profondamente aiutato.
Nonostante tanti successi, fama ed onori che lo ripagarono di sacrifici ed attese, visse per tutta la vita il dramma della solitudine, che gli avvilì l’anima. La morte violenta della madre della quale non era stato estraneo il padre, la nuova arrivata nel letto della mamma (nume tutelare della sua esistenza), le difficoltà della giovinezza (ramingo tra le famiglie bovolonesi), un matrimonio troppo repentinamente naufragato, lasciarono in lui segni indelebili. Non gli giovarono le pur importanti amicizie fiorentine e il lustro del quale godeva nella città toscana, non alimentarono le sue gioie neppure le famiglie cólte di Caorle che lo avevano avuto come ospite nelle loro giornate (e dove ogni tanto ritornava).
Affabile, cortese, gentile, era accolto dagli amici in qualsiasi luogo andasse (ne sono chiare testimonianze le lettere da Parigi, dalla Presidenza della Repubblica del Sénégal: quelle di Senghor, per intenderci, da Verona o da altri luoghi), ma sul suo volto signorile albergava sempre una tristezza incancellabile. Il giorno prima della morte (e l’articolo uscì proprio in quel giorno tragico) aveva dettato per “L’Arena” un elzeviro autobiografico dedicato al benefattore bovolonese che l’aveva aiutato e dove si può leggere il suo testamento spirituale: “Noi abbiamo soltanto una primavera e dura poco, poi la seguono le stagioni dell’orgia dei frutti e dei colori, del tramonto e della morte tra candor di nevi e rigore di ghiaccio. E non vi è ritorno”.
Morì, solo come aveva vissuto, il 6 marzo 1974: lo trovarono al mattino, stroncato da un infarto, in fondo all’androne delle scale dell’appartamento di Borgo Àlbizi in Firenze.
A Bovolone, presso la biblioteca comunale a lui dedicata, esiste un buon archivio di Donadoni: dalle opere agli scritti, dalla corrispondenza (assai numerosa e con molte dediche d’esemplare di amici scrittori) a qualche saggio su di lui.
Il suo paese gli ha intitolato anche una via e un premio letterario annuale.
Bibliografia: Ricordando Donadoni: scrittore, critico, conferenziere, giornalista, interprete di poesie: Bovolone 19-20 ottobre 1985, a cura di Luigino Massagrande e Alberto Vaccari, Verona, Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno, 1985; Renzo Chiarelli-Vittorio Franchini-Lino Turrini, Ricordando Donadoni: vita e poesia, Bovolone, Isalberti, 1993; Giancarlo Volpato, Donadoni Mario, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F: Viviani, Verona 2006, pp. 314-316; Da Bovolone ai palcoscenici del mondo: Mario Donadoni cantore della cultura italiana. Atti del Convegno tenuto in occasione del centenario della nascita (1906-1974), Bovolone 18 novembre 2006, a cura di Giancarlo Volpato e Annarosa Tomezzoli, Bovolone 2007; Giancarlo Volpato, Di Guido Manacorda, di Léopold S. Senghor e di altri ancora: dediche d’esemplare nella Biblioteca civica “M. Donadoni” di Bovolone (Verona), in Una mente colorata: studi in onore di Attilio Mauro Caproni per i suoi 65 anni, a cura di Piero Innocenti e Cristina Cavallaro, Manziana (Rm), Vecchiarelli-Roma, Il libro e le letterature, 2007, pp. 1263-1280; Giancarlo Volpato, Dediche d’esemplare di Giovanni Papini nella Biblioteca civica “M. Donadoni” di Bovolone (Verona), “Paratesto”, Roma, 2007, pp. 165-185; Giancarlo Volpato, Di Lionello Fiumi e di altri veronesi: dediche d’esemplare a Mario Donadoni, in Magna Verona vale: studi in onore di Pierpaolo Brugnoli, a cura di Andrea Brugnoli e Gian Maria Varanini, Vago di Lavagno, La Grafica, 2008, pp. 273-290.
Giancarlo Volpato