Caloi Pietro

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Pietro Caloi

Geofisico, sismologo, scienziato di fama, Pietro Caloi nacque a Monteforte d’Alpone il 22 febbraio 1907. Figlio di Bernardo e di Mercedes Tiranti, frequentò le scuole nel paese e poi seguì gli studi al liceo scientifico “A. Messedaglia” di Verona. Iscrittosi all’università di Padova, si laureò brillantemente in matematica nel 1929. Ottenne subito una borsa di studio di perfezionamento in astronomia. Nel 1931 iniziò la carriera scientifica presso l’Istituto di Geofisica di Trieste che, all’epoca, era il maggiore e più riconosciuto in Italia oltreché essere noto in Europa e nel mondo.
Divenne assistente e, da quel momento, la sua vita fu una ricerca nel campo della sismologia e scienze affini e collaborando, subito, all’installazione della stazione sismica al passeggio S. Andrea della città: mise in funzione tre sismografi Wiechert (due orizzontali da una tonnellata e uno verticale da 80 chilogrammi) e un sismografo Vicentini a tre componenti: per le rilevazioni vulcaniche e i sommovimenti della terra erano, all’epoca, quanto di meglio la scienza poteva permettere. Appena entrato a Trieste, Caloi mise in luce subito la sua eccezionale capacità e dimostrò, nel primo saggio scientifico, uscito proprio nel 1931, che – grazie anche a lui – il grande lavoro per la costruzione dell’edificio di geofisica, iniziato nel 1922, sarebbe entrato in funzione: cominciò, così, l’attività operativa dell’Osservatorio di Talassografia e l’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geofisica.
Uno dei problemi più importanti della sismologia è, sempre, la determinazione delle coordinate ipocentrali; Caloi cominciò le sue ricerche scientifiche affrontando questo problema: si occupò degli ipocentri giapponesi, dell’Europa centrale, iniziando dalle Prealpi Carniche, nonché della velocità delle onde sismiche, sistema essenziale per una buona determinazione dell’ipocentro di un terremoto e di qualsiasi sommovimento della terra. In questo modo – e in un altro suo saggio riportò i dati – egli era riuscito a calcolare esattamente i piani delle fratture e dello scorrimento che avevano dato luogo ai terremoti. Cominciò ad occuparsi, anche, delle onde superficiali che John William Strutt, barone di Rayleigh – tra i maggiori fisici del mondo – non aveva previsto né studiato. Si occupò delle dromocrome che andò analizzando in ogni luogo fosse necessario: trattasi di un diagramma (rappresentato da grafici) dove vengono rappresentati, insieme, spazio e tempo di arrivo delle onde sismiche a rifrazione; tutto questo permette di osservare con attenzione i luoghi, i tempi, i movimenti delle fratture che hanno determinato i terremoti; un’analisi precedente all’avverarsi dei sismi, potrebbe, probabilmente, permettere la conoscenza anticipata (come scrisse in un’opera sulla possibile previsione dei terremoti, uscita nel 1976).
Nel 1934, partendo da valori delle velocità delle onde sismiche determinate da Beno Gutenberg, fisico e sismologo tedesco, Pietro Caloi calcolò, con un metodo originale, l’integrale che fornisce il tempo del tragitto delle onde (da lui chiamate P e S a seconda dell’importanza e che tutti, poi, utilizzeranno): inventò il calcolo matematico, con quattro parametri precisi, per calcolare i tempi di tragitto dei terremoti; così, infatti, farà egli stesso studiando e fornendo i termini esatti del terremoto dell’Egeo del 1957 trovando, in questo modo, l’esatta profondità dei sismi sui quali molto spesso e, soprattutto prima, in assenza di calcoli matematici alquanto complicati, gli studiosi non riuscivano a dare in maniera perfetta. Sempre in questo periodo degli anni Trenta, Caloi andò occupandosi delle onde sismiche a cortissimo periodo e trovò che nei primi 5 secondi le velocità dei sismi sono molto elevate (sino a 7.5 km/secondo) rispetto alle osservazioni generali: per tracciare questo fenomeno inventò un sistema matematico di calcolo su dei parametri elastici che tenevano conto delle tensioni tangenziali, della compressibilità, della rigidità e della densità del sisma stesso. In pratica, lo studioso formulò la certezza – fino ad allora solo ipotesi – che la dispersione delle onde elastiche dipendeva dall’assorbimento delle stesse; mise in luce, altresì, l’evidenza di altre onde a lungo periodo vibranti nel piano principale e propagantesi ad una velocità molto alta (circa 6.2 km/sec.). Nel 1936 corresse una formulazione sulle onde elastiche superficiali segnalata da Carlo Somigliana che aveva sistemato l’equazione di Rayleigh; esse non avevano un’unica forma ondulatoria: si muovevano sia longitudinalmente sia trasversalmente. Il fisico italiano lodò e fu grato al montefortese i cui saggi critici – assai sovente in italiano, al contrario di tutti gli altri che uscivano in inglese – venivano letti dai geofisici e dai sismologi. Più tardi, Caloi – uomo molto poco propenso a farsi avanti e a parlare di sé – affermerà che decise di scrivere in italiano proprio per fare conoscere l’attività dei fisici della penisola che, giustamente, considerava piuttosto trascurata. Dalla sua penna, infatti, uscirono studi su quasi tutti i terremoti avvenuti: Salò, Alpago, Tolmezzo, Chile, Europa e altri.
Nel 1937, ottenuta la libera docenza in sismologia, lasciò Trieste e si trasferì presso l’Istituto nazionale di geofisica, appena fondato a Roma, in qualità di geofisico principale: vi rimarrà fino al compimento dei limiti di età nel 1972, divenendo geofisico capo nel 1942 e direttore dell’osservatorio nel 1951. Dal suo arrivo nella capitale e sino alla fine dell’attività, Pietro Caloi tenne, per trent’anni, corsi liberi e per incarico presso l’Università di Roma.
I suoi interessi scientifici furono straordinariamente intensi e, spesso nel silenzio e inventando da sé alcune componenti per le misurazioni matematiche e geofisiche, lo studioso fu tra i maggiori sismologi del mondo anche se si occupò di molti altri problemi, quali la fisica della terra, la limnologia, l’idrodinamica, la geodinamica delle grandi dighe, l’elettricità atmosferica, i moti lenti (naturali e provocati) della crosta terrestre, la microsismicità. Di molti di questi studi – nelle 213 pubblicazioni lasciate oltreché quanto esiste nell’archivio personale a Bologna dove sono presenti manoscritti, calcoli, osservazioni che non trovarono il tempo per essere stampate – parleremo più avanti: contrariamente a quanto conosciuto su di lui (diremo perfettamente ignoto al pubblico comune), Pietro Caloi conobbe una fama straordinaria.
Dal 1938 al 1945 fu Segretario del Comitato nazionale per la geodesia, la geofisica e la meteorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR); nel 1941 divenne segretario della Società sismologica italiana; dal 1948 fu membro della commissione geodetica e geofisica del CNR e, dal 1956, di quella per la talassografia e la limnologia; dal 1956 al 1964 fu membro della commissione per lo studio del fenomeno dello sprofondamento del delta padano (per il quale lasciò studi fondamentali) e dal 1957 fu membro effettivo della Commissione geodetica della Repubblica Italiana. Nel 1941 ottenne il premio dell’Accademia d’Italia per la fisica e nel 1956 il premio Feltrinelli per la geodesia e la geofisica conferito dall’Accademia Nazionale dei Lincei della quale era stato fatto membro da molto tempo grazie alla sua fama. All’estero ebbe importanti riconoscimenti: fu socio della Seismological Society of America dal 1936, dell’American Geophysical Union dal 1947 (fu il primo italiano ad essere ammesso); dal 1948 in poi divenne parte del Comitato esecutivo della più celebre società di studi sui terremoti come era l’International Association of Seismology and Phisics of the Earth Interior, fu fatto segretario e poi Presidente dell’Associazione Sismologica Europea, membro dell’American Mathematical Society; nel 1962, già membro dell’International Upper Mantle Committee (la maggiore società di studio mondiale della crosta terrestre che si occupa delle superfici dove maggiore appare il punto caldo dei sismi), fu proposto quale direttore dell’Istituto Internazionale di Sismologia di Tokio e concluse la sua straordinaria capacità con la nomina a Life Membership dell’American Geophysical Union (cioè, membro a vita della più importante istituzione del mondo per gli studi geofisici). Pare opportuno sottolineare che tutti questi riconoscimenti non apportarono alcun mutamento al carattere dello studioso: schivo, alquanto lontano dagli applausi, egli non si gloriò mai di quanto aveva fatto né di quanto stesse facendo; per questo montefortese, staccatosi dal mondo dell’infanzia e della fanciullezza, contò l’interesse scientifico.
Non abbandonò del tutto, però, i luoghi dov’era cresciuto. Il Veneto fu uno dei centri più studiati dal Nostro. Lo sprofondamento del delta padano trovò in lui un forte e attento scienziato e, grazie alle sue conclusioni, esso non avvenne più come purtroppo l’incuria degli uomini aveva precedentemente procurato: infatti, egli, nei lunghi periodi degli studi sui fenomeni dell’abbassamento, provò che le migliaia di pozzi che estraevano acque metanifere in quelle zone erano le cause dello sprofondamento del suolo e suggerì l’immediata chiusura degli stessi; così era avvenuto per il terremoto del Cansiglio del 1934 le cui conclusioni, tra l’altro, aprirono una forte polemica con Giovanni Agamennone, fisico dell’ateneo romano, riguardo i diversi metodi utilizzati per il calcolo delle onde sismiche. Sulla velocità della propagazione di queste ultime, Caloi fece attenzione agli studiosi che avevano affrontato il medesimo problema prima dei suoi tempi: ma in lui – e tutti gliene furono concordemente grati – non mancò la misurazione delle stesse riformulando sismogrammi da lui stesso fatti e utilizzati. Si occupò dei fenomeni sismici del Friuli, terra particolarmente martoriata da essi; fu un attento e preciso osservatore di ciò che stava accadendo nella valle del Vajont, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto. Nel 1959, chiamato quale esperto con un altro fisico, formulò il suo resoconto dicendo che la roccia appariva forte e fino ad allora non soggetta a frane. L’anno successivo, nel 1960, per proprio conto, ritornò sopra la diga del Vajont poiché volle riprendere gli studi geosismici di quel luogo così conteso dai fisici stessi: con sorpresa di tutti, rilevò fino a 150 metri di roccia fratturata concludendo, in maniera ancora più sorprendente, che la frattura doveva essersi creata dopo la precedente indagine dell’anno prima; mise attenzione ai tecnici. Fu vana la sua asserzione: il Monte Toc franò il 9 ottobre 1963 distruggendo Longarone, Castellavazzo, Erto e Casso e seminando strage e morti. Caloi verrà chiamato a testimoniare quando, anni dopo, avvenne il giudizio; a noi basta questo: i suoi studi furono esemplari per evidenziare e per dimostrare un atteggiamento di connivenza o, quanto meno, di sudditanza di alcuni tecnici (nel 1966 egli pubblicherà una settantina di pagine sugli aspetti geodinamici di quel triste evento; nello stesso anno tenne una lunghissima intervista alla radio sui terremoti, le loro forme, le cause, gli effetti).
Si occupò degli strati superficiali della Terra nel Nord Atlantico, in Norvegia e in altri luoghi. Studiò profondamente l’astenosfera, cioè lo strato esterno, fluido-plastico del manto terrestre a profondità tra qualche decina di chilometri sino a 200-250 di essi: in pratica, si tratta di ciò che esiste alla base della crosta su cui scorrono le placche tettoniche. Condusse importanti studi sul comportamento delle dighe e delle rocce dei bacini d’invaso ad esse connesse, sulla loro sicurezza geodinamica. Tra le moltissime ricerche nelle quali usava assai sovente strumenti di propria progettualità, non si possono non ricordare gli studi e gli esperimenti sull’interazione tra atmosfera e idrosfera dove si occupò – descrivendone largamente gli esiti – delle sesse (movimenti periodici originati dalle onde stazionarie in una massa d’acqua chiusa o parzialmente chiusa); dai suoi studi queste onde termiche diventarono note, come pure si capirono gli eventuali esiti da adottare: ricordiamo quelli su tutti laghi del Nord Italia (il Garda, tra i maggiori confrontati), i golfi dei mari italiani, l’Adige e qualche altro fiume veneto. Un’ulteriore testimonianza della sua opera – tra le moltissime pubblicazioni – fu il volume uscito postumo La Terra e i terremoti (Accademia dei Lincei, 1978) dove, in oltre 500 pagine, colmò la grave lacuna della trattazione in lingua italiana degli argomenti di sismologia.
La profonda dignità morale, il fermo convincimento delle proprie idee e l’amore della solitudine e del silenzio nei quali egli si muoveva, la splendida conoscenza umanistica come completamento della scienza fecero di lui uno dei più grandi sismologi del Novecento italiano: il suo nome rimarrà nella storia dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Pietro Caloi scomparve a Roma il 13 febbraio 1978 e le sue esequie si tennero a Bassano del Grappa, dove era andato ad abitare qualche tempo avanti. Sino ad oggi, Monteforte d’Alpone e Verona stessa sembrano essersi dimenticati di questo straordinario figlio.

Bibliografia: Accademia Nazionale dei Lincei, Biografie e bibliografie degli Accademici lincei, Roma, Accademia dei Lincei, 1976, pp. 155-159 (contiene la bibliografia completa degli scritti); Liliana Marcelli, Necrologio del Prof. Pietro Caloi, in “Annali di geofisica”, v. XXX, 1977, pp. 225-231; Michele Caputo, Pietro Caloi, in “Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Rendiconti”, s. 8, v. 70, 1981, pp. 37-46; Paola Gardellini, Caloi, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 34, Roma, Ist. Enc. It., 1988, pp. 591-593; Giuseppe Franco Viviani, Caloi Pietro, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 183.            

Giancarlo Volpato

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