Löwenthal Robert

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Robert Löwenthal

Tipografo, imprenditore, vittima del razzismo, nacque a Berlino il 10 marzo 1886. Figlio di una famiglia di tipografi, che nella capitale tedesca occupavano un posto importante, dopo gli studi effettuati nella città natale, proseguì l’impresa paterna, la quale funzionava, anche, come casa editrice.
Della sua attività svolta in Germania non si conosce molto. Si sa che convolò a nozze con Anne Clementine Rosenwald nel 1917 e con lei condivise tutta la vita, comprese le dolorose esperienze cui furono sottoposti. Dalla loro unione nacque la figlia Brigitte nel 1918.
Famiglia dal tenore benestante, visse a Berlino sino al 1933. Come noto, all’epoca, erano già entrate in funzione, in quel paese, le leggi fortemente avverse agli ebrei anche se cittadini; tuttavia, non risulta che sui Löwenthal fossero avvenute delle malversazioni. All’inizio di quell’anno, però, Robert era stato accusato dai nazisti di avere stampato dei volantini comunisti nella propria tipografia. Per questa ragione la famiglia intera dovette fuggire da Berlino, il 9 aprile 1933. Non è noto se, durante la repubblica di Weimar, egli fosse stato iscritto ad un partito politico, ma si può ragionevolmente presumere che fosse di idee di sinistra: certamente queste – al di là della supposizione – orientarono la figlia che divenne, più tardi, un personaggio importante nella Resistenza veronese.
La fuga dalla capitale tedesca li portò a Roma; qui vissero grazie alle loro sostanze e con qualche collaborazione a qualche editore.
Il decreto legge italiano in materia razziale del 7 settembre 1938 equiparava e raggruppava nella categoria “stranieri di razza ebraica” o, più brevemente, “ebrei stranieri”, sia profughi ebrei – che a partire dal 1933 erano arrivati dalla Germania e, mano a mano che il dominio nazista si era andato estendendo anche altrove – sia quegli ebrei che risiedevano dopo il 1° gennaio 1919. Il provvedimento decretava l’espulsione entro sei mesi. Per i Löwenthal la sorte era chiaramente segnata.
Tuttavia, durante la permanenza romana, Robert aveva conosciuto Hans (Giovanni) Mardersteig (v. questo Sito), il grande stampatore d’origine tedesca che lavorava, in quel periodo, alle opere di Gabriele D’Annunzio per Arnoldo Mondadori (v. questo Sito). La famiglia si trasferì a Verona. L’amicizia e l’interesse per l’editoria avevano, almeno momentaneamente, salvato i profughi ebrei.
Mardersteig lo presentò al maggiore editore italiano dell’epoca e, così, dal 1938 Robert Löwenthal entrò a fare parte della grande famiglia dell’azienda mondadoriana: ciò, grazie anche, alla morte di Remo, fratello di Arnoldo, che aveva lasciato libero un incarico rilevante. Il nuovo arrivato diventò il direttore tecnico delle Officine Grafiche che si erano trasferite, da non molto, nella sede di Borgo Venezia.
La figlia Brigitte, ventenne, entrò subito in relazione con il mondo culturale veronese, soprattutto di quello artistico, fortemente antifascista e si legò con loro. Anche i suoi genitori si trovarono subito in buoni rapporti con questi esponenti: furono Guido Farina, Vincenzo Puglielli, Attilio Dabini (scrittore italo-argentino che lavorava alla Mondadori), lo stesso Mardersteig e lo scultore Berto Zampieri del quale la figlia diventò fidanzata e poi moglie. In casa Löwenthal, ma non solo, si tenevano incontri cospirativi contrari al regime che andava facendosi sempre più violento e che, di lì a poco, avrebbe abbracciato le sorti della Germania nazista. Vi partecipava anche Berto Perotti, grande componente della lotta antifascista, che lo scrisse nelle sue memorie attualmente custodite presso l’Istituto veronese per la storia della Resistenza. Nello studio di Zampieri, nell’inverno 1942-43, si stamparono e, poi, si diffusero manifesti che incitavano gli operai di Verona a rifiutare la collaborazione nelle fabbriche nello stato tedesco e, tanto meno, di andare a lavorare in quel paese.
Certamente, con l’affermazione delle leggi razziali, la presenza di Robert Löwenthal non poteva passare sotto silenzio, soprattutto perché ricopriva una posizione di notevole prestigio all’interno della casa editrice. Ma ci pensò Arnoldo Mondadori che non si lasciò intimidire contando, anche, sugli appoggi negli apparati culturali del regime. Tra l’altro – ed era cosa alquanto normale – l’editore invitava, nella sua casa, scrittori e coloro che pubblicavano con lui: anche il suo direttore tecnico si avvalse di questa facoltà e, quindi, la figura dell’ebreo tedesco sembrava scomparire anche ai fanatici fascisti della politica veronese.
Ma venne l’8 settembre 1943; l’armistizio aprì le porte all’occupazione nazista. Verona divenne punto strategico di tale atto oltreché centro della Gestapo. La repubblica di Salò, che nella città scaligera aveva la sua sede operativa, fece il resto. La presenza dei Löwenthal stava diventando pericolosa.
Arnoldo Mondadori lo licenziò ufficialmente, ma il suo direttore tecnico continuò a lavorare – dal di fuori dell’azienda – percependo lo stipendio.
I Löwenthal lasciarono la loro abitazione in città. Berto Zampieri procurò loro un rifugio sicuro: Marcemigo di Tregnago nella casa del “conte”, cioè di Luigi Rancan, operaio comunista del cementificio locale. La famiglia, però, preferì dividersi: cosicché Anne e Brigitte rimasero nella frazione e Robert trovò ospitalità nella contrada Carbonari, sulle colline sopra Cogollo, presso Giuseppe Tommasi.
Secondo la testimonianza degli eredi che accolsero i Löwenthal, il capofamiglia era molto ricco e finanziava i partigiani oltreché essere assai riconoscente con le famiglie ospitanti: queste rischiavano molto se fossero state scoperte. D’altro canto, per tutti coloro che avessero denunciato ebrei e partigiani, la ricompensa sarebbe stata molto alta. Ai Carbonari, però, nessuno pensò alle taglie favorevoli né si lasciò corrompere: molti di loro avevano fatto la prima guerra e avevano conosciuto i dolori e le sofferenze di fronte alle quali il denaro non valeva nulla.
La vicenda dei Löwenthal fu legata, anche, alla vicenda, rimasta celebre, dell’assalto al carcere degli Scalzi: avvenne il 17 luglio 1944 per liberare Giovanni Roveda ad opera dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica), guidati da Berto Zampieri. Come noto, in quell’azione, che andò a buon fine, perirono Danilo Pretto e Lorenzo Fava e lo scultore venne ferito al femore: trasportato sulla canna di una bicicletta, arrivò a Marcemigo dove l’attendeva Brigitte e rimase nascosto in una grotta. Era l’ultima estate della guerra e, forse, i Löwenthal nutrivano speranze per una liberazione finale. Robert si era attirato la simpatia dei vicini per i quali nutrì sentimenti di viva riconoscenza: arrivò a promettere loro una succursale delle officine Mondadori nella zona di Tregnago all’indomani della fine del conflitto.
Poi accadde la tragedia. La mattina del 28 febbraio 1945, i fascisti delle Brigate Nere bussarono alla porta di Rancan per arrestare Robert Löwenthal che aveva lasciato, per qualche giorno, il rifugio ai Carbonari per stare insieme alla famiglia: nessuno è stato in grado di ricostruire come la milizia sia potuta arrivare, a colpo sicuro; quasi certamente non furono estranei dei fanatici fascisti i quali, dopo la liberazione, lasciarono Tregnago: ma nessuno ebbe modo d’incolparli.
Berto Zampieri salì nel granaio, Brigitte andò ad aprire e s’accorse che la casa era circondata: fu perquisita da cima a fondo e l’artista fu il primo ad essere trascinato via. Nella camera da letto, Robert Löwenthal e Anne Rosenwald inghiottirono delle pastiglie: così fece anche la figlia, seppure in misura minore. Il primo morì lo stesso giorno; la moglie, portata all’ospedale di Tregnago su un carretto, se ne andò il 3 marzo; Brigitte prodigiosamente si salvò. I Rancan furono arrestati e portati in prigione. Anche la giovane Löwenthal, appena guarita, subì la medesima pena: rimase in carcere per un mese e mezzo, fino al giorno della liberazione, avvenuta il 24 aprile 1945; non fu torturata e, alla fine della guerra, sposò Berto Zampieri diventato libero. Ella scomparve nel 2000, in India, dov’era andata a trovare una figlia; sua sorella (i coniugi ebbero due figlie) era morta a Verona a causa di una fuga di gas nella sua abitazione.
I corpi dei coniugi Löwenthal, pure essendo ebrei, furono sepolti, per pietà cristiana, nel cimitero di Tregnago dove, ancora oggi, risulta una lapide che li ricorda (su cui, erroneamente, sta scritto Leowenthal anziché Loewenthal). Poi, il silenzio. Più tardi, nel 2002, quella tomba rimase vuota perché i resti mortali furono portati nel cimitero ebraico di Verona: ma, qui, la lapide (con il medesimo errore) che li ricorda giace in un’area abbandonata, solitaria, lontana dalle altre: i coniugi si erano dati la morte per non cadere nelle mani dei nemici e, quindi, secondo la religione ebraica, apparivano indegni poiché il suicidio è contrario alle norme del ‘credo’.
Cecilia Chiumenti, professoressa in una terza media di Tregnago, nell’anno scolastico 2000-2001, volle riportare alla luce i gravi e dolorosi fatti di quel 1945 e restituire alla famiglia Löwenthal la memoria dovuta; la Shoah non era stata una vicenda lontana e in quel paese della Val d’Illasi aveva conosciuto altre vittime, due, dei milioni che la Germania nazista e il fascismo della follia avevano perpetrato. Furono ricordati, quei giorni, con le testimonianze dei figli di coloro che li avevano ospitati, con le ricerche dei giovani studenti e con altre manifestazioni. Il 26 gennaio 2008, a Marcemigo fu intitolata una piazzetta alla famiglia Löwenthal.

Bibliografia: Non esiste un’opera che illustri la biografia, per cui si rimanda a: Archivio Centro Documentazione Ebraica Contemporanea (ACDEC), Milano AG, 4° Lotta Antifascista e Resistenza in Italia, intervista con la signora Brigitte Loewenthal Zampieri, 1° aprile 1978, p. 4; ACDEC, Fondo antifascisti e partigiani ebrei in Italia, 1922-1945, b. 12, fasc. 245; Archivio Centrale Stato, PS, A 16 stranieri 1940-41, busta 165/Loewenthal, Roberto; Berto Perotti-Attilio Dabini, Assalto al carcere. La storia e il racconto della liberazione di Giovanni Roveda dal carcere veronese “degli Scalzi”, a cura di Maurizio Zangarini, Verona, Cierre, 1995, pp. 39 ss.; Jean-Pierre Jouvet [Elia Paganella], Il dramma dei Loewenthal, “L’Arena”, [data ?]; Istituto Comprensivo di Tregnago, Scuola Media Statale “G. Ferrari Dalle Spade”, Voci e testimonianze della Shoah, 2001 (CD-Rom); Vittorio Zambaldo, I ragazzi ricordano la nostra Shoah, “L’Arena”, 24 aprile 2001, p. 27; Giuseppe Anti, L’orgoglio di essere Loewenthal: “ho riscoperto chi erano i miei nonni”, “L’Arena”, 16 luglio 2003, p. 16; Vittorio Zambaldo, Löwenthal, Robert, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 489; Vittorio Zambaldo, Piazza dedicata ai Löwenthal, “L’Arena”, 10 gennaio 2008; Vittorio Zambaldo, Una piazza per i Löwenthal, “L’Arena”, 28 gennaio 2008; Klaus Voigt, Profughi e immigrati ebrei nella Resistenza italiana, “La Rassegna mensile di Israel”, 74, n. 1-2 (genn.-ag. 2008), pp. 229-253, alle pp. 234-236; Nadia Olivieri, Gli ebrei a Verona. Raccolta di documenti e schede tematiche per laboratori storico-didattici rivolti alla scuola secondaria di secondo grado, Verona, Istituto per la storia della Resistenza in Italia e dell’età contemporanea, 2014, pp. 40-41.

Giancarlo Volpato

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Foto dal quotidiano L’Arena di Martedì 24 Aprile 2001

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