Barbarani Berto
…a cura di Giancarlo Volpato
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Poeta, giornalista cantore di Verona, Tiberio Roberto Barbarani (detto Berto) nacque in via Ponte Nuovo 5 (ora n. 10) di Verona il 3 dicembre 1872. Era figlio di Bortolo, proprietario di un negozio di ferramenta vicino a casa e di Adelaide Poggiani originaria di Vago di Lavagno. Ebbe un fratello, Vittorio, diventato medico ed una sorella Marianna Caterina.
Dopo la frequenza alle scuole elementari nel Collegio Vescovile, s’iscrisse al Liceo classico “S. Maffei”, ma lo lasciò in fretta a causa della morte del Padre, avvenuta nel 1883 e Berto dovette aiutare la madre a mandare avanti la bottega. Ciò non lo distolse dagli studi che frequentò privatamente assieme a Renato Simoni presso la Villa di San Leonardo del sindaco avvocato Augusto Caperle. Per il Nostro – ma anche e soprattutto dopo – questa sede e questo signore colto e intelligente saranno uno dei centri degli interessi culturali della sua vita e di tutti coloro che, agli inizi del Novecento, renderanno Verona fulcro dell’arte nei sensi più larghi ad essa affidati. La sua attenzione per la città si manifestò in tenerissima età: quando nel 1882 l’Adige invase Verona provocando disastri, egli scrisse un articoletto sul giornale “L’Adige”. Terminò il liceo a 17 anni e già egli si era avvicinato ai movimenti culturali della città tanto da definirsi uno scapigliato della poesia. S’iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’università di Padova, ma l’abbandonò abbastanza rapidamente per dedicarsi a quella che diverrà l’attività della sua vita. Sulla sua vita di studente le notizie sono assai poche e assai frammentarie; tuttavia, egli non manifestò alcun segno di “giovinetto prodigio” e nessuno, probabilmente, avrebbe voluto trarre un oroscopo per la fortuna che invece gli arrise, grazie ad una creazione quanto mai unitaria e, nello stesso tempo, policroma nei toni. Tutto ciò che riguarderà Verona lo interesserà: dalle cose ai paesaggi, dalle forme artistiche ai colori sempre – in ogni luogo e in ogni occasione – collegati con le persone.
L’esordio quale poeta avvenne, appena ventenne, nel 1892, quando pubblicò le prime poesie in dialetto veronese sulla celebre rivista settimanale umoristica, “Can da la Scala”, firmandosi come Barbicane: alcune di esse non entreranno mai nei “Canzonieri”, ma già nelle stesse (si vedano Letara a Nina e Quando che fioca”) il poco più che adolescente manifestava la semplicità descrittiva e quasi discorsiva che riusciranno – anche più tardi – a commuovere i lettori. Esordì utilizzando il sonetto, che sarà la forma metrica prediletta da lui usata nei versi: essa era, d’altra parte, per la poesia dialettale la conquista più ambita.
Grazie all’amicizia con Renato Simoni, nel 1895 fu assunto quale cronista de “L’Adige”. Iniziò, in questo modo, la grande conoscenza della gente veronese: furono la prefettura, la questura, gli apparati giudiziari, le contrade e gli incontri con la povera gente che maturarono in lui l’amore straordinario che Barbarani nutrì per la sua città e per la gente che in essa abitava.
Nello stesso anno cominciò la straordinaria amicizia che lo legò ad Angelo Dall’Oca Bianca, il pittore veronese per eccellenza: fu un legame straordinariamente forte che influenzò entrambi; era stato questi, in verità, che nel 1893, leggendo sulla rivista “Can da la Scala” i versi intitolati Primavera, volle conoscere l’autore facendo richiamare su di lui l’attenzione di letterati e giornalisti e affermandone il talento poetico; sarà sempre il pittore a spronare quel giovane che era apparso con lo pseudonimo di Barbicane a dedicarsi alla lirica letteraria massimamente dialettale.
Nel 1895 uscì la prima raccolta poetica: El rosario del cor, grazie al redattore capo del giornale che l’aveva appena assunto, Antonio Libretti e che conteneva tutte le poesie pubblicate sulla rivista. Entrato a fare parte della famiglia giornalistica, vicino a Renato Simoni, Giuseppe Adami e Arnaldo Alberti (tre voci importanti nell’ambito giornalistico e letterario), Berto era il cronista: colui che, in un giornale di provincia, deve essere tutto per tutti. Abilissimo quale penna pronta a raccontare, egli intuì subito che la vita piuttosto tumultuosa a causa della presenza pressoché costante nei fatti e nella cronaca quotidiana andava capita in modo intuitivo ed abile per meglio comprendere i numerosi avvenimenti di una giornata e, sempre, in una rapida sequenza di aspetti umani. Quale cronista Barbarani ebbe a trovarsi assai sovente nel punto focale tra il giornale e i lettori, di frequente esposto alle richieste, alle domande, alle strane forme che accadevano. E fu portato dal “mestiere” là dove l’anima sua proverà le più alte commozioni, fra la gente bisognosa del pane quotidiano per lo spirito e per il corpo, ad osservare le miserie, le disperazioni, le mille cose che accadevano. Cronista capace – per stessa ammissione dei colleghi – egli usciva sovente con descrizioni del tutto poetiche concedendo, alla cronaca, molto di più che la semplice descrizione degli avvenimenti. Manifestò già qui il suo spirito di uomo dotato di profonda umanità e di una straordinaria bontà che i lettori coglievano nelle sue righe.
“L’Adige” era, allora, il quotidiano vessillifero della democrazia sociale e anche questo influì molto sull’opera poetica di Berto che si trovò, molto spesso, a diretto contatto con la questione sociale della quale seppe cogliere gli aspetti più significativi. Per lui erano chiari alcuni princìpi che non facevano parte di nessuna dottrina politica: l’obbligo della solidarietà e non soltanto per le cose materiali, l’amore e il rispetto verso gli altri. Nacque così, in questo clima, il secondo suo libro poetico, I Pitochi uscito nel 1897. Più che una raccolta di sonetti, essi sono un poemetto, una pagina psicologica di nitido carattere nella cui Presentazione costituita da nove terzine, ben cinque di queste costituiscono l’atto di accusa, espresso senza acrimonia e alimentato da una dolorante speranza, verso coloro che non guardano mai i sofferenti dello spirito oltreché del corpo. L’uscita del secondo libro ebbe una fortuna straordinaria anche se oggi, invece, quei 25 sonetti appaiono dimenticati. Non bisogna non pensare alla realtà sociale della fine Ottocento; la malinconia che aleggiò sempre nelle composizioni di Barbarani non lo distolse, tuttavia, dalla realtà artistica dell’epoca: un cenacolo letterario che si teneva nella villa di Caperle e che godeva della presenza delle menti più illuminate della Verona di allora: Luigi Messedaglia (v. questo Sito), Renato Simoni, i Betteloni, Giuseppe Adami, Arnaldo Fraccaroli, Maria Labia (v. questo Sito); tutti questi, assieme agli altri, costituivano la “Smarmaia” della quale Berto ricordò sempre la vitalità.
I primi suoi libretti, come scrisse Renato Simoni, rappresentavano già le due fondamentali tendenze dell’indole dell’autore: il gusto per il reale e l’aspirazione all’evasione fantastica.
Nel 1898, per la prima volta, Barbarani recitò le sue poesie a Zevio: fu la prima di una serie di uscite che lo renderanno celebre.
Nel 1900 uscirono El campanar de Avesa che attirò l’attenzione, anche per la triste vicenda del suicidio di Momolo Brenta con la corda della campana maggiore, il Canzoniere veronese che raccoglieva Le Montebaldine, comprendenti poesie che si richiamavano alle bellezze del Monte Baldo dove Barbarani ritornava con un linguaggio più mosso e colorito sui temi dell’amore, della natura, della primavera. Lo chiamò la “Famiglia artistica” di Milano ove conobbe (e con i quali, poi, resterà sempre collegato) Gaetano Crespi, poeta meneghino, Alfredo Testoni, poeta dialettale bolognese e Carlo Alberto Salustri (più noto come Trilussa), romano. Fu il lancio nazionale del poeta veronese che, proprio allora, cessò di essere il cronista de “L’Adige”, allargando le sue prestazioni a vari giornali sia quotidiani sia settimanali.
Nel 1901, assieme agli amici sopra nominati, prese parte al Teatro Duse di Bologna ad un ciclo di serate promosse per beneficienza dalla “Dante Alighieri”.
Nel 1902 Barbarani venne assunto quale redattore per Verona del quotidiano “Il Gazzettino” che aveva sede a Venezia e vi lavorerà sino al 1932; il giornale apriva la redazione veronese chiamando colui del quale più volte aveva citato e commentato le poesie; e il Nostro, pure nell’angusta sede di Piazzetta Pescheria, farà conoscere la sua città, la sua gente, la bellezza malinconica e gioiosa allo stesso modo con il quale si era accostato alla poesia.
“El poeta de Verona” avrà la sua consacrazione ufficiale nel 1905 con l’uscita del poemetto Giulieta e Romeo, piccola opera di teatro in versi dialettali che vedrà la pubblicazione definitiva nel 1941.
Con il Nuovo Canzoniere Veronese del 1911, articolato in tre libri (“Le Adesine” in onore del fiume Adige, “Le tre cune” e un terzo in cui campeggia il noto “San Zen che ride” e si conclude con i dieci sonetti “Val d’Adese”), la fama di Berto Barbarani si venne sempre più consolidando: molti giornali italiani e molti settimanali ne commentarono l’opera, ne segnalarono i contenuti e chiesero al poeta alcune collaborazioni. Il successo dell’ultima sua opera fu tale che l’editore Cabianca, che l’aveva pubblicato, dovette ristamparlo: per Berto Barbarani era davvero arrivato il meriggio poiché la sua fama aveva travalicato i confini non solo veneti. Non vi fu giornale o rivista, a carattere nazionale, che non avesse dato l’annuncio o curata la recensione: tutto ciò fece aumentare gli inviti, le dizioni in pubblico e l’offerta di collaborare alle più importanti riviste. Giosuè Carducci l’aveva già voluto conoscere, ricevette le visite di Gabriele D’Annunzio, Ugo Ojetti lo intervistò più volte per i maggiori quotidiani italiani. Furono gli anni della grandezza artistica della città: la famosa Verona degli anni Venti e Barbarani divenne compagno indimenticabile e sempre presente tra le numerose riunioni che letterati e artisti tenevano in quel periodo giustamente diventato celebre. In quei tempi egli aveva perduto la mamma, alla quale era legatissimo, il fratello medico e furono giorni di grande malinconia.
Il 30 settembre 1921 Trilussa giunse a Verona con Arnoldo Mondadori e Berto firmò il contratto editoriale. Nel dicembre furono festeggiati il quarantesimo della prima esposizione di Dall’Oca Bianca a Milano e il venticinquesimo della pubblicazione de I Pitochi. Verona tributò ad entrambi una serie di festeggiamenti che passarono alla storia. Nella raccolta I sogni del 1922, Barbarani ritornava nostalgicamente ai temi della sua più antica ispirazione, in una strenua fedeltà alla propria terra, alle malinconiche suggestioni del tempo. Nel 1925, in pochi esemplari, uscì il volumetto In Val Polesela.
Nel 1927, ormai quarantacinquenne, Berto Barbarani lasciò la sua vita di scapolo per sposare Anna Turrini, la sua Anita come volle chiamarla: fu quasi un matrimonio clandestino poiché nessuno lo sapeva; l’aveva conosciuta a Cremona in una serata di recite delle sue poesie; nello stesso anno egli vinceva il concorso per un “coro” del “Papà del Gnoco”. Nel 1931 il “Comitato Madonna Verona” affidò a Berto l’incarico di scrivere un inno che celebrasse le vicende e le glorie della città; fu musicato da Carmelo Preite e il 27 settembre fu cantato dal coro in Arena. Nel 1936 vide la luce la prima edizione de L’autunno del poeta, cioè il quarto canzoniere. Nel 1939, in occasione dell’inaugurazione del Villaggio Dall’Oca Bianca, dedicato alle abitazioni dei poveri e degli indigenti, sorse anche la “Fondazione Berto Barbarani” il cui scopo era quello di erigere un Istituto per l’educazione e l’istruzione professionale dei fanciulli poveri della città e della provincia di Verona: era un Ente Morale presso la Cassa di Risparmio. Dal gennaio 1940, il Ministero per la cultura popolare lo insignì di una pensione mensile; poco dopo, a causa della guerra, con la moglie lasciò la casa di Via Pigna in città per rifugiarsi a Soave e lì, nel 1944, Anita Turrini se ne andrà per sempre. All’amico Ferruccio Albarelli il cantore di Verona cedette la proprietà di tutte le sue opere. Il poeta ritornò nella sua casa e nello stesso giorno del terribile bombardamento della città (4 gennaio 1945) si ammalò.
Berto Barbarani scomparve nell’ospedale civile di Verona il 27 gennaio 1945.
Cessato il rapporto con la casa editrice Mondadori, Gino Beltramini pubblicherà nuovamente le composizioni con la propria casa editrice “Vita Veronese”. Il “Cenacolo di poesia vernacolare veronese”, dal 1948 prese il nome di “Cenacolo di poesia dialettale veronese Berto Barbarani” grazie alle cure dello stesso Beltramini e di altri studiosi veronesi.
Verona lo ha voluto tra i grandi del Pantheon, gli ha dedicato una via, scuole e istituti, come hanno fatto molti altri centri. La città lo ricorda, anche, con una statua bronzea, opera di Novello Finotti, posta a margine della sua amata Piazza Erbe guardando la statua di Madonna Verona; con un altro busto bronzeo di Francesco Modena ed uno, quasi sconosciuto, in piazza San Zeno di Carlo Sirolla. Di lui rimangono, pure, due ritratti, opera di Angelo Dall’Oca Bianca, uno dei quali custodito a Palazzo Chiericati di Vicenza. Molte furono le caricature apparse sia sul “Can da la Scala” sia altrove.
Bibliografia: Durante la vita e, poi ancora, Barbarani godette di una serie infinita di recensioni, commenti e ricordi: per cui questa bibliografia, numerosissima e spesso momentanea, può essere letta in qualsiasi libro su di lui; ci limitiamo, quindi, a citare solo alcune opere importanti: Riccardo Dusi, La poesia di Berto Barbarani, Verona, Cabianca, 1919; Riccardo Dusi, I quattro canzonieri di Berto Barbarani, Verona, Ediz. L’Albero, 1940; Lionello Fiumi, Berto Barbarani, in Id., Parnaso amico, Genova, Ed. degli Orfini, 1942, pp. 535-555; Lionello Fiumi, Berto Barbarani, Venezia, Zanetti, 1949; Gino Beltramini, Berto Barbarani: la vita e le opere, Verona, Vita Veronese, 1951 (poi rist. di Bonato&Castagna, 1996); Barbarani poeta di Verona, Verona, Ghidini e Fiorini, 1964; Alberto Frattini, Barbarani, Tiberio Umberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Ist. Enc. It., v. 6, 1964, pp. 42-43; Gian Paolo Marchi, L’allegra malinconia di Berto Barbarani, in Id., Il viaggio di Lorenzo Montano ed altri saggi novecenteschi, Padova 1976, pp. 9-36; Berto Barbarani, Tutte le poesie, a cura di Giuseppe Silvestri e prefaz. di Diego Valeri, Milano, Mondadori, 1980; Morello Pecchioli, Berto Barbarani, il poeta di Verona, Verona, Athesis, 2004; Bruno Avesani, Barbarani Berto, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 71-73; Anna Lerario, Il poeta di Verona: la vita di Berto Barbarani, Verona, Video Cinema, 2010 (1 DVD di 48 min).
Giancarlo Volpato
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Foto da: Wikipedia