Venturi Giuseppe

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Giuseppe Venturi

Ecclesiastico, arcivescovo, benefattore, Giuseppe Venturi nacque a Mezzane di Sotto il 4 giugno 1874 da Celeste e Beatrice Tosadori. Primogenito di sei figli, crebbe in una discretamente agiata famiglia di proprietari terrieri nella valle omonima. Il padre, uomo molto benvoluto dai concittadini per i quali si dette molto da fare, fu sindaco del comune per 33 anni sino alla sua scomparsa avvenuta nel 1919: era priore della Compagnia del Santissimo e, con la moglie, educò i propri figli con grande cura verso la religione.
Giuseppe entrò in seminario nel 1887; la bravura e la capacità intellettuale del giovane Venturi spinsero il Rettore, allora mons. Bartolomeo Bacilieri, oltreché il vescovo Card. Canossa, a mandarlo, per gli studi teologici, a Roma nel 1897. Alunno del Collegio Capranica, frequentò l’Università Gregoriana dove ebbe, come compagno di studi, Eugenio M. Pacelli che diventerà Papa Pio XII nel 1939 sino al 1958. Giuseppe Venturi gli rimase sempre amico e abbastanza legato. Dopo la brillante laurea, ritornò a Verona dove fu ordinato sacerdote il 21 settembre 1899: tre giorni dopo, celebrò la sua prima messa a Mezzane e vi fu festa grande.
Bacilieri, successore del Canossa come vescovo della diocesi nel 1900 e diventato cardinale l’anno successivo, lo nominò, nel 1902, Vicerettore nel seminario diocesano dove rimarrà per dieci anni sino al 1911. Sacerdote molto carismatico, anche se piuttosto inflessibile, Venturi trasformò quel luogo come una famiglia piuttosto che un convitto. La carriera del mezzanese fu piuttosto rapida. Lasciata la carica di vicerettore, fu nominato cancelliere di Curia e docente di diritto canonico, liturgia e sacra eloquenza presso il seminario veronese. Nel 1914, quando fu istituito il “Bollettino ecclesiastico”, voluto da Mons. Giovan Battista Pighi, Venturi assunse la carica di capo redattore dello stesso.
Scoppiò la guerra e sul tavolo del cancelliere cominciarono a pervenire valanghe di lettere, di relazioni con le autorità politiche e militari soprattutto per i sacerdoti destinati all’esercito, per fare riconoscere gli esonerati, per i chierici chiamati alla leva. Don Venturi non venne mai meno ai propri doveri e la sua presenza fu costante e decisiva per molti casi. Si assentava dalla curia vescovile il sabato mattina presto per recarsi a Sezano, a piedi, dov’era stato fatto economo e padre spirituale della parrocchia e ritornare – sempre camminando per quei nove chilometri – al suo lavoro di cancelliere. In quegli anni, il piccolo centro della Valpantena che finalmente aveva avuto la possibilità di usufruire di un sacerdote zelante e premuroso, lo ricorderà sempre: soprattutto per l’altruismo che lo contraddistinse negli anni terribili della guerra e della “spagnola”: quella pandemia che porterà alla morte tante, troppe persone.
Siffatta varietà di occupazioni e di cure non fecero mai dimenticare a don Venturi il suo Mezzane dov’egli trovava sfogo naturale per sé, ma, anche, per mettere in moto e sostenere molte iniziative; di quegli anni si ricordano, almeno, quelle per l’asilo infantile dove fece venire delle suore, la messa a posto della gradinata romana alla porta della chiesa parrocchiale che era stata disegnata da don Angelo Gottardi (v. questo Sito), il superbo campanile dotato di sei campane; per la costruzione di quest’ultimo, Venturi si prese l’incombenza di firmare cambiali e assicurazioni del pagamento: cosa che avvenne nel 1919 grazie all’apporto della popolazione. Si assunse pure l’onere di istruire un coro nel suo paese natio affinché le funzioni religiose fossero sempre accompagnate dal canto. Per l’inaugurazione del campanile e per il concerto campanario, a causa della malattia del Bacilieri, fece venire il vescovo di Rovigo affinché donasse bellezza ulteriore al suo paese natio.
Pure nell’attività piuttosto pesante, don Venturi venne chiamato a dirigere esercizi spirituali, a prediche importanti: oltreché importante teologo, egli era un riconosciuto bravo oratore. Il vescovo della diocesi veronese lo immise nel Consiglio di Amministrazione dei Beni ecclesiastici, lo fece censore dei libri e membro della Commissione antimodernista, oltreché canonico e ufficiale per le cause ecclesiastiche. Venuto a mancare il Bacilieri, nel 1923, il nuovo vescovo di Verona Girolamo Cardinale lo volle Delegato generale vescovile fino a quando fu fatto Vicario Generale mons. Giuseppe Manzini (v. questo Sito), nel 1924. Certamente l’attività, alquanto rilevante, nella diocesi veronese, lo qualificò come un sacerdote di una certa importanza.
La conseguenza fu alquanto rapida; il Breve Pontificio del 9 luglio 1926 lo colse poiché quattro giorni dopo, cioè il 16 di quel mese, fu nominato vescovo della diocesi di Cagli e Pergola, nella provincia di Pesaro e venne consacrato nella cattedrale scaligera il successivo 29 agosto: non nascose a nessuno il fatto che egli si sentiva poco degno di una carica così rilevante. La comunità parrocchiale di Mezzane si sentì onorata e per il nuovo presule fu preparata una festa assai importante: accadde la prima domenica di ottobre di quell’anno. L’ordinanza del podestà fascista proibì qualsiasi esibizione, ma il vescovo, invece, volle pranzare con i poveri e con quelle famiglie che non avrebbero potuto permetterselo; poi, andò a visitare i malati, provvide al necessario affinché gli indigenti non soffrissero durante l’imminente inverno. Il ministero di Mons. Venturi appariva già segnato: quello della carità evangelica, un itinerario che lo farà diventare uno dei più importanti benefattori nella storia delle Marche e dell’Abruzzo.
Gente e territorio della prima regione gli erano del tutto sconosciuti poiché non vi era mai andato. La diocesi, sostanzialmente piccola, era in una condizione alquanto difficile: i canonici se la passavano discretamente bene, mentre i parroci – anche a causa di un territorio scarso di comunicazioni e, a volte, senza strade percorribili – erano sovente in condizioni alquanto disagiate. Assai vicino a questi ultimi, ai quali il nuovo vescovo dedicò attenzioni e cure, egli subiva, invece, un dissenso preconcetto dei canonici verso i quali – nonostante gli inchini davanti al presule – non risparmiò nulla. Ambiente, costumi, tono di vita di quei luoghi erano ben diversi da quelli di Verona: non ne fu sorpreso, né scoraggiato e proprio per questo fece il giro di tutte le parrocchie (60 quelle di Cagli e 13 quelle di Pergola) lasciando il segno di un prelato attento e molto vicino grazie ad una pastorale intensa.
Nel 1930 la Santa Sede lo fece Visitatore Apostolico dell’archidiocesi di Modena. Il delicato incarico, che equivaleva a quello di un investigatore su tutto ciò che riguardava l’attività spirituale di tutte le realtà diocesane, Curia compresa, durò quattro mesi. L’arcivescovo di quella diocesi fu molto contento del visitatore e per ringraziarlo gli donò uno splendido quadro della Madonna della Sessola, venerata a Campogalliano, che Venturi collocò sopra il proprio letto.
Trasferito alla sede arcivescovile di Chieti (in realtà diocesi di Chieti-Vasto), egli fece il suo ingresso ufficiale il 3 maggio 1931. La fama, decisamente molto alta che il nuovo arcivescovo aveva portato con sé, gli fece vedere una diocesi diversa da quella dov’era stato prima: la gente lo aveva accolto splendidamente. Suo segretario diventò il nipote don Emilio Venturi con il quale iniziò a fare le visite ai vescovi delle diocesi abruzzesi con i quali lavorò indefessamente.
Dal giorno del suo ingresso, sino all’ultimo giorno della sua vita, l’esistenza di Giuseppe Venturi rimase legata – anche per la storia – alla città della cui diocesi fu, probabilmente, il più celebre vescovo. Attento alle visite alle parrocchie, costantemente vòlto alla gente più povera, cominciò a guardare con profonda attenzione ciò di cui quei luoghi avevano bisogno. Per questo iniziò ben presto a muoversi. Andò a trovare il cardinale Pacelli, allora Segretario di Stato in Vaticano per avere da lui alcune certezze. Bisogna dire che l’arcivescovo Venturi ebbe il temperamento di un uomo d’azione, dell’imprenditore che sa progettare e dirigere, del realizzatore che procede con metodo e con tenacia oltreché buon utilizzatore delle doti intellettuali necessarie.
Istituì nuove parrocchie, promosse nuovi istituti, si dedicò al seminario al quale pose particolari attenzioni rinnovandone anche l’edificio per renderlo più confacente alle esigenze dei futuri preti; cambiò il modo d’insegnare il catechismo, si adoperò affinché nelle scuole la religione (e non solo) fosse adeguata al bene degli allievi; volle che tutte le confraternite fossero riformate e alcune di esse, considerate ormai inutili, fossero soppresse anche grazie al concordato stipulato nel 1929 tra la Santa Sede e lo stato italiano: in questo modo, molte parrocchie, amministrate proprio da queste confraternite, ritrovarono un’altra dimensione ecclesiastica; mise ordine all’interno della Curia; invitò i parroci a tenere in ordine le chiese con suppellettili decorose e mise molta attenzione alle norme liturgiche; rinnovò le case religiose, eresse nuovi istituti di educazione maschile (i collegi di Chieti, Vasto e Pescara). A Chieti non esisteva alcun istituto privato per l’educazione femminile: lo fondò e chiamò le Suore Orsoline di Verona che nel 1936 accettarono l’offerta. Guardò con dolore la sua cattedrale e il suo episcopio: avevano bisogno di essere restaurati e non solo. Mancando i fondi necessari, pure a malincuore, chiese ed ottenne di essere ricevuto da Benito Mussolini: era il 1936. Dall’allora Presidente del Consiglio arrivò l’aiuto necessario e il duomo fu arricchito anche di quadri, di affreschi e di suppellettili mancanti.
Uomo di preghiera e di cultura, rinnovò la pastorale. Il 16 aprile 1942, nella cattedrale di Verona, Venturi fu chiamato a ricordare il centenario della nascita del cardinale B. Bacilieri.
Venne la seconda guerra mondiale. Sul suolo della penisola essa iniziò con lo sbarco in Calabria delle forze anglo-americane avvenuto il 3 settembre 1943; anche Chieti attese l’arrivo delle truppe alleate: ma ciò non accadde. Il 9 settembre Vittorio Emanuele III, re d’Italia transitò da quel luogo e l’arcivescovo comprese subito che cosa sarebbe accaduto. La resistenza tedesca fissò, per nove mesi, la linea tra le due province di Chieti e di Frosinone. Nella prima  città e nel circondario abruzzese arrivarono sfollati, perseguitati, ebrei e tutti coloro che temevano le forze naziste. Venturi aprì gli istituti religiosi, con gli amministratori (anche se vi era la presenza del podestà) aiutò tutti poiché le necessità militari determinarono l’evacuazione completa di tutti i paesi dal Sangro al Pescara: Chieti accolse circa 80.000 persone raddoppiando le presenze normalmente conosciute. L’esercito tedesco, poco a poco, prese possesso della città e gli orrori della guerra si moltiplicarono. Il 27 gennaio 1944 un’ordinanza del comando militare germanico avvisava la popolazione di lasciare la città: da quel giorno quest’ultima sarebbe diventata luogo da abbattere con arei e soldati, giacché le forze naziste si era installate poco lontano e Chieti era diventato rifugio della gente. Allargando il suo impegno, sempre pregando ardentemente ma capendo che solo in questo modo non avrebbe portato aiuto, Venturi scrisse al Sommo Pontefice, passando attraverso il segretario di Stato vaticano, il cardinale Luigi Maglione e il sostituto, cioè Giovanni Battista Montini, poi papa S. Paolo VI. Fu ricevuto da Pacelli al quale chiese di potere parlare con il comandante in Italia delle forze tedesche, il generale feldmaresciallo Albert Kesselring affinché Chieti fosse dichiarata “città aperta”, come Roma: cioè non soggetta a bombardamenti e battaglie, ma tenuta come luogo di “ospitalità”. Andò pure da p. Pancrazio Pfeiffer, superiore generale della Società del Divin Salvatore e amico personale del feldmaresciallo; questi lo inviò a Valentin Feurstein, generale delle forze armate di quel luogo. Il prelato lo fece il 5 marzo 1944; fu valutata la possibilità. Tre giorni dopo arrivò il “nulla osta” affinché Chieti non fosse più dichiarata obiettivo militare. Il 23, Heinz Fuchs, consigliere del tribunale di guerra, andò personalmente in episcopio ad annunciare “Chieti città aperta”. Il 26 dello stesso mese l’arcivescovo lo comunicava in cattedrale dopo avere fatto affiggere i manifesti, il giorno prima, affinché tutti ne fossero a conoscenza e il 18 giugno tenne un lungo ricordo di ciò che era avvenuto (v. Bibliografia). Giuseppe Venturi aveva ottenuto la grazia: aveva salvato Chieti. Di tutto questo i teatini porteranno sempre con loro la gratitudine per un prelato che aveva utilizzato le preghiere e la sua straordinaria fede affinché il Signore fosse vicino, ma aveva esposto anche se stesso per la salvezza di migliaia di persone e per una città di grande bellezza. Comunicò pure alle truppe inglesi l’avvenuta dichiarazione.
Il 2 agosto 1946 gli verrà conferita la cittadinanza onoraria e, per lungo tempo, sulle pareti della città risuonerà il nome dell’arcivescovo.
Il dolore continuo, la paura, l’insicurezza, l’amore infinito per i suoi cittadini e per le persone, di qualsiasi rango fossero, incisero assai probabilmente sulla sua salute. Come aveva fatto quasi sempre, per molti anni, Giuseppe Venturi ritornò anche dopo la guerra a Mezzane: vi rimase per una ventina di giorni nel settembre-ottobre del 1946 e l’8 ottobre, dalla sua casa natale, manifestò al sindaco teatino la gioia di essere stato accolto come loro cittadino. Quella storia di angosce, di lutti, di rovine e di tante buone imprese fu subito raccolta e Angelo Meloni la scrisse (v. Bibliografia): Monsignor Venturi ne corresse le bozze e ne verificò i contenuti. A Venezia, tra febbraio e maggio 1947, Kesselring fu sottoposto a giudizio per i crimini ordinati in Italia; forse – ma la cosa non è certa – la testimonianza del prelato, scritta su lettera, lo aiutò a salvarsi dalla pena capitale; fu imprigionato, ma si spense, libero, nel 1960.
La morte dell’arcivescovo, avvenuta la mattina dell’11 novembre 1947, fu quella dei giusti: la città intera proclamò il lutto.
Le sue spoglie riposano nella cattedrale di Chieti; per le sue benemerenze quest’ultima gli ha dedicato una via e un monumento con, sotto, la scritta “La città al suo salvatore / 13.6.1964”; non lo hanno dimenticato i giovani che aveva curato poiché alcune associazioni portano il suo nome; su alcuni muri, rimangono lapidi che ricordano i suoi gesti salvifici. Il suo nome appare in molti paesi abruzzesi; a Verona esiste già una via con il nome di un celebre canonico settecentesco suo omonimo. Mezzane ha dedicato a lui la scuola primaria e una via alla famiglia Venturi: proprio laddove egli era nato e dove avevano vissuto i suoi cari.

Bibliografia: Giuseppe Venturi, Parole dette nella cattedrale di Chieti il 18 giugno 1944, Chieti, Officine Bonanni, 1944; Angelo Meloni, Chieti città aperta. Relazione storica sulle vicende belliche del 1943-1944; presentazione di Pio XII, Pescara, De Arcangelis, 1947 (2° ed., Pescara 1966); Benedetto Falcucci, Mons. Giuseppe Venturi, Chieti, Bonanni, 1948; Francesco E. De Rico, Chieti nel periodo dell’occupazione tedesca. Settembre 1943-giugno 1944, Guardiagrele, Palmerio, 1949; Renato Aurini-Mario Zuccarini, Chieti e Mons. Venturi, Chieti, Tip. Marchionne, 1973; Mario Zuccarini, Mons. Giuseppe Venturi arcivescovo e conte di Chieti, in “Bullettino Deputazione abruzzese di storia patria”, 82, 1992, pp. 259-268; Stefano Trinchese, Giuseppe Venturi e “Chieti città aperta”, in Cattolici, Chiesa e Resistenza in Abruzzo, a cura di Filippo Mazzonis, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 289-331; Emilio Venturi, Nell’ora delle tenebre divenne governatore e salvò la sua città, Verona, Tip. Milani, 2004; Angelo Orlandi, Venturi Giuseppe, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 851-852; Max Franceschelli, La guerra in casa: Chieti città aperta, Chieti, Edicola, 2007; Giovanni Carlucci, Memorie di pietra. La storia di Chieti scritta sui muri della città, Pescara, Carsa ed., 2016.

Giancarlo Volpato

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 Foto da: Wikipedia

 

 

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