Consolini Adolfo
… a cura di Giancarlo Volpato
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Atleta, discobolo, Adolfo Consolini nacque il 5 gennaio 1917 in una contrada tra Gazzoli e Albaré, in comune di Costermano (VR). Ultimo dei cinque figli di una famiglia contadina, dopo le scuole elementari intraprese il lavoro dei campi. Dotato di un fisico possente (il padre, Ottavio, era celebre perché alzava, da solo, fino a due quintali) e di una forza fisica straordinaria, amante dello sport, vide cambiata la propria vita all’età di 19 anni quando, nel 1936, fu convocato a Castion Veronese per una gara sportiva. Nella piazza del paese, per la prima volta nella sua esistenza, effettuò un lancio: era una pietra e gli esiti furono al di là di ogni previsione. Entrò nella Società sportiva “M. Bentegodi” a Verona e da lì iniziò la sua meravigliosa, strabiliante carriera di discobolo. Sotto la guida di Guido Vivi e Carlo Bovi, gli animatori dello sport veronese, imparò le tecniche; ma già l’anno successivo vinceva il titolo nazionale juniores. Cominciò a confrontarsi con i maggiori atleti del mondo e nel 1938 conquistò il primato italiano lanciando il disco a m. 49,19. Abitando sempre nella contrada natale, Consolini percorreva in bicicletta il tragitto sino allo stadio cittadino per tre volte la settimana. In quel periodo sperimentò altri sport e, tra questi, la lotta greco-romana: durante una gara quasi soffocò l’avversario a causa della sua forza e, da quel giorno, promise a se stesso di gareggiare da solo.
In quegli anni, ad allenare i discoboli italiani, vi era un grande atleta statunitense, Boyd Comstock che preconizzò a Consolini una rapida carriera e brillantissima; allora, il record del mondo si fermava a m. 53,10 ad opera dello svedese Willi Schroder. E, così, in allenamento, a Milano dove Consolini s’era trasferito per avere maggiori possibilità, il 26 ottobre 1940 alle ore 11,34 di un’uggiosa mattina dove la pioggerella non permetteva facili imprese, il giovane di Costermano batteva il record del mondo del lancio del disco con m. 53,34. Si racconta che non esistesse una cordicella lunga di quella misura e la giornata domenicale, con tutte le saracinesche abbassate, non sembrava dare una mano all’uomo che aveva battuto un record del genere. Ma, alle 12,30, finalmente, la misurazione ufficiale avvenne e la notizia, in brevissimo tempo, fece il giro del mondo.
Era il primo dei record. Da quel giorno Adolfo Consolini effettuò, in carriera, 453 gare, ne vinse 375, fu per 17 anni detentore del record italiano. Diventò uno dei discoboli più grandi che il mondo abbia conosciuto. Ma il campione rimase un uomo semplice, dall’animo del contadino, deliziosamente dolce come persona e come sportivo. Cominciò a diventare – suo malgrado – un simbolo che prese ancor più consistenza dopo la seconda guerra mondiale. L’Italia, uscita in maniera tragica dal conflitto, trovò in lui un uomo che la rappresentò, vincendo, sui campi del mondo: Adolfo Consolini gareggiò in ogni continente, in ogni luogo senza condizioni di sorta, pago – molto spesso – di essere un atleta che rappresentava la patria. Da ogni parte, a quell’uomo della campagna, vennero riconoscimenti.
Alle Olimpiadi di Londra del 1948, le prime del dopoguerra – dove nessun dirigente italiano pensava che la bandiera tricolore venisse issata sul pennone più alto – Adolfo Consolini vinse l’oro e, subito dopo, batté nuovamente il record del mondo che gli apparteneva: il suo posto nel consesso degli immortali dello sport l’aveva conquistato: era il 2 agosto e, accanto a lui, con la medaglia d’argento del secondo posto s’insediò il suo grande amico e avversario Giuseppe Tosi. L’Italia aveva rinnovato, sugli spalti londinesi, un’impresa mai accaduta a nessun paese e Consolini diventò l’emblema – usato in ogni parte del mondo – del discobolo vincitore: come la statua famosa di Mirone, mito dello sport dell’antichità greca.
Nel 1952, nonostante l’età, il veronese conquistò la medaglia d’argento alle olimpiadi di Helsinki e proprio la longevità dei suoi successi gli aprì altre strade. I grandi atleti del mondo (basterebbe Emil Zatopek, per immortalarlo) andavano a gara per averlo con loro. Il Presidente dell’Argentina, Juan Domingo Perón, lo invitò alla Casa Rosada per stringergli la mano; in Svezia – nonostante avesse vinto contro gli atleti di quel paese che sino alla sua venuta primeggiavano in quella disciplina – fu più volte chiamato; andò in Australia, fece il giro del mondo.
Sull’onda della fama, l’anno successivo, a Consolini venne offerta una parte nel film Cronache di poveri amanti, diretto da Carlo Lizzani, con Marcello Mastroianni e Antonella Lualdi. Rimase un’esperienza isolata e, nel medesimo anno, egli sposò Hanny Cuk, una giovane austriaca da cui ebbe un figlio, Sergio.
Ma ciò che strabiliò i critici, i dirigenti, i giornalisti, gli atleti stessi fu che Consolini – nonostante avanzasse con l’età – si concedeva sempre risultati eccellenti: nel 1955, a trentasette anni migliorò il primato europeo portandolo a m. 56,98; a quarantré anni si fermò a m. 55,56. Alle Olimpiadi di Melbourne si classificò sesto.
Nella sua carriera aveva vinto tutto. Limitandoci solamente ai successi famosi citiamo una medaglia d’oro alle Olimpiadi ed un’altra d’argento, quattro medaglie d’oro ai giochi europei e del Mediterraneo, primati del mondo, d’Europa e d’Italia. Alle Olimpiadi di Roma, nel 1960, egli fu il portabandiera e lesse, con la sua vocina (nettamente in contrasto con il suo fisico), il giuramento.
Non abbandonò mai l’attività agonistica e quando la Federazione dell’atletica italiana non lo tesserò più perché aveva raggiunto i 45 anni, egli s’iscrisse alla Società Atletica a Lugano, in Svizzera. Nella sua carriera Consolini era appartenuto alla Bentegodi di Verona, alla Oberdan-Pro Patria di Milano, all’Unione sportiva milanese, alla Società Ginnastica Pro Patria anche se il suo cuore aveva sempre battuto per la Pirelli, società in cui aveva militato sin dal 1947 e l’aveva portato ai fastigi della gloria e dove, poi, aveva svolto l’attività di allenatore oltreché lavorare nell’azienda.
Nel giugno del 1969 fece la sua ultima gara a Milano: vinse, una volta ancora, contro rivali che avevano trent’anni di meno.
Tre mesi dopo fu ricoverato in ospedale a Milano: “Starò via qualche giorno”, disse agli amici. Fu stroncato da un’epatite virale, violenta e repentina e Adolfo Consolini scomparve, nella città meneghina, il 20 dicembre 1969. Quella fibra d’atleta che aveva sfidato gli stadi del mondo si piegò, leggera come una foglia, al vento del dolore. Non aveva ancora 53 anni.
Ancora oggi, all’Arena di Milano, quando il fruscío dei platani isola lo stadio dal rumore cittadino, si sente la voce dello speaker, che grida dal pulvinare: “Silenzio, lancia Consolini!”. Il paese natale e moltissimi comuni italiani gli hanno dedicato una via o una piazza.
Bibliografia: Alberto Emanuele Carli, La storia di un discobolo: Adolfo Consolini, Verona, G. Grazia, 1958; Armando Libotte, Adolfo Consolini, campione olimpico: da primatista mondiale a primatista ticinese, Lugano, Tip. Commerciale, 1969; Vasco S. Gondola-Luigi Benedetti, Adolfo Consolini, discobolo,Costermano 1979; Mario Farinati, L’atletica leggera veronese: storia e graduatorie, Verona, Centro stampa, 1992, pp. 46-49; Sandro Aquari, Consolini, Adolfo, in Enciclopedia dello sport, Roma, Edizioni sportive italiane, 2004, ad vocem; Vasco S. Gondola, Consolini, Adolfo, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 250-251; Silvio Garavaglia, 100 anni fa nasceva Consolini, leggenda azzurra, “La Gazzetta dello Sport”, 5 gennaio 2017, p. 9; Adolfo Consolini, a cura di Carlo Santi, Roma, Digitallab, 2017.
Giancarlo Volpato