Rancan Ferdinando

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Ferdinando Rancan

Ecclesiastico, professore, scrittore, Ferdinando Rancan nacque a Marcemigo di Tregnago il 14 giugno 1926. Figlio di Giovanni Battista tecnico della fabbrica Italcementi e di Maria Marchi, era il secondogenito della famiglia; il primo, Giuseppe, era morto pochi mesi dopo la nascita, mentre la sorella Assunta, di un anno più giovane di Ferdinando, rimarrà sempre un punto fermo nell’esistenza del fratello.
Già fin dall’infanzia, la vita del Nostro conobbe dolori infiniti e, a volte, quasi indescrivibili se si pensa con quali mete, soprattutto di grande amore e di santità interiore, egli seppe ricoprire i suoi giorni. Non aveva ancora compiuti due anni (accadde, infatti, il 25 marzo 1928, all’età di trentatré anni) quando il padre perse la vita in una notte mentre cercava di rimettere a posto un guasto accaduta nella ditta Italcementi dove lavorava, poco lontano da casa. Fu, questo, il primo dei funesti anni giovanili; nel 1929, Ferdinando fu colpito da una gravissima forma di gastroenterite: rimase dieci mesi ricoverato presso l’ospedale “A. Alessandri” in Borgo Trento a Verona. Dato ormai per irrecuperabile, la madre lo portò a casa nonostante il parere contrario dei medici ai quali si ribellò. Chiese la grazia della guarigione alla Madonna: compì un pellegrinaggio al santuario della Madonna della Corona e il bambino guarì.
Dopo la scomparsa del marito, Maria Marchi si era rimboccata le maniche; divenne la prima infermiera dell’ospedale di Tregnago, nato da poco presso la villa che era stata della famiglia dei Massalongo: unica donna che assisteva i malati, faceva sempre il lavoro notturno.
Nel 1933, Ferdinando, bambino certamente fragile, contrasse una tisi polmonare di tipo nodulare; rientrò all’ospedale di Verona, ebbe una degenza superiore ad un anno finché fu portato nel nosocomio di Tregnago; così madre e figlio passarono le notti fino alla dimissione di Ferdinando avvenuta nel giugno 1936. Mancava, in quegli anni terribili, un’altra probabile tragedia. Maria Marchi, l’infermiera notturna che con abnegazione assoluta non aveva mai guardato se stessa, sentì vicina la sua fine e disse al figlio che l’avrebbe aspettata in Paradiso; con il sorriso, questi si avvicinò, l’accarezzò e le disse: “Tu non morirai”. La madre fu miracolosamente salvata grazie ad un intervento chirurgico molto complesso e difficile. Nonostante una salute così cagionevole e piuttosto pesante, il ragazzo aveva superato gli anni scolastici; nel 1937, a ottobre, iniziò la frequenza regolare della quinta elementare presso l’Orfanatrofio-Scuola a Cologna Veneta dove già era presente la sorella. L’anno successivo superò l’esame di ammissione alle scuole medie presso l’Istituto Don Bosco di Legnago; forse anche su pressione del parroco di Tregnago, don Ernesto Dalle Pezze, il giovane Rancan espresse il desiderio di farsi sacerdote: entrò, quindi, nel Seminario Minore di Bussolengo dove rimase sino al 1941 per trasferirsi in quello Maggiore a Verona. Nella sua autobiografia il giovane seminarista scrisse: “Nel cuore della notte, nel tenue chiarore della cappella, vidi l’immagine del Cuore ferito di Gesù. Rimasi profondamente turbato, intuii che senza il dolore non avrei potuto capire l’amore e chiesi al Signore di soffrire molto per potere vivere in intimità con Lui. Rimasi convinto di essere esaudito”.
E accadde il terzo ricovero ospedaliero: malattia infettiva all’apparato digerente, poi un’ulcera; arrivò così il 1943 ed era perfettamente guarito. Nel 1947 vestì l’abito talare; negli anni precedenti, com’era prassi in quel tempo, egli era stato il “prefetto” dei giovani seminaristi durante i due anni di “propedeutica” allora necessari per iniziare i quattro della teologia; era il 1949 che fu, per il giovane Ferdinando, un anno ancora più violento di quelli passati negli ospedali: in occasione del 25° di ordinazione episcopale del vescovo della diocesi veronese, Girolamo Cardinale, egli volle dedicare al prelato un omaggio poetico; alla lettura delle tre composizioni, oggi, come allora, perfettamente coerenti con la fede anche successiva del tregnaghese, il vescovo negò la futura ordinazione sacerdotale. Lo salvò l’intelligenza di Pietro Albrigi, un sacerdote uscito dalla scuola di Don Mazza, in quell’epoca rettore del seminario. Lo fece accogliere dall’Abbazia di Maguzzano, frazione di Lonato: era la “Casa Buoni Fanciulli” dove Rancan cominciò a respirare un altro mondo di fraternità. In quella casa della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata da don Giovanni Calabria, egli trovò, probabilmente, il respiro più profondo della sua vita e ricorderà quel periodo, passato nella foresteria con un ex plenipotenziario sfuggito all’epurazione fascista, un giovane edonista, un barone tedesco: il suo continuo sorriso, la sua affabilità e la sua veste talare maturarono anche questi ospiti, che si convertirono e si avvicinarono alla fede. Ferdinando Rancan superò l’esame di maturità al liceo civico di Desenzano del Garda, in modo assai brillante.
Scoprì l’amore per la scrittura: non come esercizio accademico, ma come forma della sua libertà e della verità del suo spirito; da allora in poi, il tregnaghese metterà per iscritto i suoi sentimenti, i suoi dolori, le sue pene ma anche, e soprattutto, l’infinita gioia della sua fede e della profonda carità della quale fu portatore. E non saranno pochi i libri che verranno pubblicati.
Cominciò a diventare un alpinista; scalò i massicci delle Dolomiti, si mise ad andare in bicicletta; un giovane che aveva avuto malattie forti e spesso pericolose, era diventato quasi un atleta poiché il suo fisico aveva riacquistato quanto esse gli avevano tolto.
L’intelligenza ch’egli aveva dimostrato e la capacità di studio spinsero il superiore del seminario veronese a convincere Ferdinando Rancan ad iscriversi all’università di Roma per conseguire la laurea in Scienze Naturali. Egli si recò nella capitale nell’ottobre 1950, ospite della parrocchia di San Filippo Neri, retta dall’istituto di Don Calabria. Straordinariamente portato agli studi, non ebbe difficoltà in nessuna delle discipline: tutto questo, però, nella sua autobiografia sembra non esserci; appaiono, invece, con una luce splendida tutti i luoghi che la natura sapeva offrirgli; costantemente in bicicletta, descrisse la natura di Roma e delle campagne laziali come un vero professore di scienze naturali. Per non pesare su spese altrui, ritornava sempre a Tregnago pedalando dalla capitale; così faceva portandosi sulle Dolomiti e per ogni altro spostamento. Scrisse: “Il mio angelo custode dovette sopportare molto aiutandomi sempre”. A Roma conobbe Luis María Mendizábal Ostolaza che divenne suo padre spirituale e che gli parlò dell’“Opus Dei”.
Nel 1952 Ferdinando Rancan – forse in una delle sue visioni mistiche – capì che qualcosa doveva accadere. Infatti, il vescovo di Verona recedette dalla proibizione di qualche anno prima, lo ammise al suddiaconato e gli comunicò che sarebbe diventato sacerdote. Il 29 giugno 1953 fu ordinato e il giorno successivo, con una festa straordinaria di partecipazione della popolazione, a Tregnago celebrò la prima messa solenne. Da uomo di profonda fede, volle rendere omaggio alla montagna, il luogo dove “Dio fece ancora più bella la natura”; scalò tutto il possibile, camminò per giorni e giorni sulle terre dolomitiche e sulle Alpi altoatesine scrivendo delle preghiere di dolcissima bellezza; non dimenticò Salisburgo, la città del suo Mozart, né Zurigo in Svizzera. Ritornato, fu inviato da Mons. Andrea Pancrazio, coadiutore dell’ormai malato Mons. Cardinale, a Cassone sul lago di Garda dove rimase per qualche mese, in attesa del nuovo parroco.
Andato a Roma per concludere gli esami universitari, don Rancan incontrò nuovamente i preti dell’Opus Dei: abbracciò l’organizzazione per il valore spirituale che essa emanava e, come scrisse, “per la donazione radicale a Dio”: fu il primo sacerdote diocesano italiano ad essere aggregato ed era esattamente il 6 novembre 1954. Intanto, era diventato Vicario parrocchiale di San Paolo, oggi presso l’ateneo, dove rimarrà sino alla fine del 1955; il 12 novembre dello stesso anno, egli si laureò in Scienze Naturali alla “Sapienza” e cominciò subito l’insegnamento presso il seminario.
La carriera di docente fu assai lunga poiché, oltre a quella appena citata, egli diventerà insegnante di religione nei licei veronesi dove, presso qualcuno di questi, fu chiamato anche come professore di chimica. Con una carica umana incredibilmente sempre serena e sorridente, don Rancan raggruppò nelle sue giornate gli incarichi appena descritti con la vicinanza alla gente delle parrocchie. Traferitosi in città con la madre e la sorella, non si lamentò mai – nonostante una salute non sempre buona – per le giornate assai piene: la sua felicità risiedeva nella preghiera e nella continua “vicinanza a Dio” come egli descrisse nelle numerose opere che uscirono dalla sua penna. Nel 1955-56, oltre alla parrocchia di San Paolo, fu collaboratore in quella di San Pancrazio al Porto; una grave crisi polmonare lo portò in ospedale: ma, anche in questi dolorosi mesi (come era sempre stato), in don Ferdinando albergava la gioia della sofferenza come comunione con il Signore. Fu nominato vice-rettore della rettoria di Santa Toscana; i numerosi cambiamenti di abitazione, sempre nella città, diventarono momenti di gioia poiché essi erano per portare il sorriso alla madre che visse sempre con lui. Nel 1959, sino al 1980, fu collaboratore nella parrocchia dei santi Nazaro e Celso. Il dieci dicembre 1959 accadde uno dei miracoli della sua esistenza: a Roma incontrerà Josemaría Escrivá (oggi santo), fondatore dell’Opus Dei; lo rivedrà con la madre nel 1962. Da quel giorno don Ferdinando si reputò – e l’autobiografia lo dimostrerà (v. Bibliografia) – il somarello che avrebbe portato giustamente i pesi.
Ed egli non si arrese mai. Furono anni fondamentalmente felici per un sacerdote come lui anche se la storia di quel periodo non fu favorevole: fu colpito da una trombosi all’occhio sinistro, morì la madre, subì, nel 1977, un intervento chirurgico con l’asportazione di un lobo polmonare. Alla fine dell’anno scolastico 1977-78 fu dimesso dagli insegnamenti a causa della salute malferma la quale lo colpì subito a Ovindoli, in provincia de L’Aquila, con gravi problemi cardiaci: sopravvisse, ringraziò Dio scrivendo delle poesie di grande bellezza e piene di serenità interiore.
La fama di uomo di santità aveva colpito tante persone anche perché molte di queste cominciarono ad avvicinarsi alla fede e, sovente, con una carità ed un calore interiore che nobilitarono la vita dei convertiti: tra di loro (ma furono tantissimi) appare giusto ricordare Antonio Zweifel (v. questo Sito) che don Ferdinando riportò a Dio nel 1962, affiliandolo anche all’Opus Dei: oggi quest’ultimo, che era professore universitario d’ingegneria a Zurigo, è venerabile ed è aperta la strada verso la santità.
Il 20 marzo 1980 fece il suo ingresso quale parroco della Pieve dei Santi Apostoli ove rimarrà sino al 1997. Oltre alla cura delle anime, in quegli anni uscirono numerose opere a stampa per la formazione dottrinale e non dimenticò la sistemazione degli edifici di quella che tutti conoscono come uno dei luoghi religiosi più belli di Verona. Uomo intelligente, don Rancan aveva capito, da sempre, che la collaborazione dei parrocchiani avrebbe portato lustro, non a se stesso (cosa a cui non era affatto interessato) ma a rafforzare la bellezza di ciò che il Signore aveva preparato: e la chiesa ne era il fulcro. Gianni Lollis, artista assai noto nonché Presidente della Società Belle Arti di Verona, fu uno di coloro che collaborarono; avvennero molte cose: il restauro lapideo del Sacello delle Sante Teuteria e Tosca, con l’annesso chiostro, un nuovo altare in marmi pregiati con al centro un bassorilievo circolare rappresentante la Pentecoste, affreschi e restauri delle opere pittoriche; inoltre, Lollis fu anche colui che illustrò le copertine dei diversi libri che don Rancan verrà pubblicando. Nel 1994, il Consiglio Pastorale fu accanto al parroco per la solenne celebrazione dell’ottocentesimo anniversario della consacrazione della Pieve; ne uscì, anche un film: Il segno del tempio: 1184-1984: ottocento anni di fede, di arte e di storia: la pieve dei SS. Apostoli a Verona con testi di Rancan, Lollis e Umberto Tessari, per la regia di Riccardo Mastini.
La salute di don Ferdinando andò peggiorando e nel 1997 il vescovo gli chiese di lasciare la parrocchia. Quando S. Giovanni Paolo II venne a Verona in occasione della beatificazione di Giuseppe Nascimbeni e la santificazione di Giovanni Calabria volle incontrare don Ferdinando. Ricoveri in ospedale, terapie intensive e l’uso notturno dell’ossigeno non gli impedirono di scrivere: ecco il libro di poesie Fiori di melograno: frammenti di diario (1999) e Il tempo, l’eternità: riflessioni sulla vita; ne pubblicò altri sette tutti legati alla spiritualità e alla vita dei cristiani per i quali Dio e la Madre di Lui erano al di sopra di ogni cosa; il più conosciuto, anche per il buon successo di lettori, fu In quella casa c’ero anch’io: una risposta alle menzogne su Gesù Cristo (2006) dove raccontò in modo originale, ma rigoroso ed efficace, la storia di Gesù. Un paio di queste opere godettero quasi subito di una traduzione. Sempre allegro e sorridente, anche se sempre più malato, nel 2004 accettò di essere collaboratore nella parrocchia di Sant’Eufemia e qui celebrò l’ultima sua messa in pubblico il 27 maggio 2012, giorno di Pentecoste. Rimase in casa, in Lungadige Matteotti e volò in Cielo, ricoverato al pronto soccorso di Verona, la notte del 10 gennaio 2017. Molti di coloro che lo frequentarono parlano di don Ferdinando Rancan come di un santo; la storia, non solo ecclesiastica, parla di lui come “il sacerdote del sorriso e della preghiera”. Nel 2018 uscì la sua autobiografia nella quale l’autore parlò assai poco di sé, ma regalò pagine di una bellezza e di una dolcezza umana e spirituale difficilmente riscontrabili: il somarello Ferdinando dall’animo sereno e dal sorriso di un figlio “fatto partecipe del tuo Essere divino”.

Bibliografia: Gianni Pasetto, Don Ferdinando, uomo di Dio fino al suo ultimo giorno, “Verona fedele”, 11 gennaio 2018, p. 13; Ferdinando Rancan, Un somarello e la sua storia. La storia della mia vocazione sacerdotale e del mio incontro con l’Opus Dei, a cura di Ermanno Tubini, Verona, Verona Fedele editrice, 2018; Ermanno Tubini, Don Ferdinando Rancan: i luoghi, i volti, le stagioni, Milano, Ed. Ares, 2022; Flavia De Lucia Lumeno, Recensione al libro di E. Tubini, “Studia et documenta: rivista dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá”, n. 17, 2023, pp. 435-438.

Giancarlo Volpato

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Foto da:
www.edizionisolfanelli.it
www.informazionecattolica.it

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