Zivelonghi Maria Edvige

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Maria Edvige Zivelonghi

Venerabile, religiosa, insegnante, Edvige Zivelonghi nacque, con la gemella Angela, il 26 aprile 1919 a Gorgusello di Breonio, in comune di Fumane, ultime di nove figli di Francesco e Maria Zivelonghi. Essendo state le prime a nascere dopo la Pasqua, i genitori offrirono alla chiesa un agnellino, secondo un’antica consuetudine. L’ambiente familiare, in una casa di persone discretamente benestanti, era permeato di affetto e ricco di fede cattolica convinta e profonda; tutto questo contribuì alla crescita equilibrata della Zivelonghi che manifestò – fin da piccola – un carattere vivace, assai aperto a tutto ciò che le si presentava, attento soprattutto alle cose belle della vita. A sei anni ricevette la prima Comunione: da quel giorno, nonostante la lontananza dalla chiesa e nonostante le stagioni non particolarmente favorevoli alla montagna della Valpolicella, Edvige non mancò mai alla messa quotidiana: sembrava – ma forse non solo per questo – che la sua strada fosse già segnata.
Grazie alle buone condizioni economiche, assieme alla sorella gemella e a pochi altri bambini della contrada, ella frequentò le classi elementari nella piccola scuola aperta a Gorgusello. Appare giusto sottolineare che il padre aveva fatto costruire il fabbricato scolastico, si era dato da fare per portare l’elettricità e l’acqua in quel villaggio: la straordinaria capacità e l’amore sociale di Francesco Zivelonghi furono una delle basi fondamentali trasmesse alla figlia Edvige. Di carattere allegro e dotata di spiccate doti comunicative, ella prestò la sua giovane persona alle recite e nelle piccole commedie del paesello. Nonostante le capacità intellettive, alla fine della primaria, rimase a casa, per due anni, dedicandosi alle faccende domestiche e alle attività della campagna. A 14 anni, però, manifestò il desiderio di continuare a studiare; sostenne e superò l’esame d’ammissione alle scuole medie e, poi, quello all’Istituto Magistrale “Carlo Montanari” di Verona; la sua bravura fu tale che le consentì di recuperare un anno e nel 1940 conseguì il diploma magistrale. Preparò l’esame per l’ammissione all’Università Cattolica di Milano, ma non superò la prova: ciò non le provocò particolari problemi poiché la giovane sapeva prendere gli eventi con il sorriso. Questa forma del carattere – nonostante le dolorose vicissitudini fisiche successive – le allevierà i molti dolori che il suo corpo dovrà sopportare.
Quindi cercò lavoro; l’ottenne subito e l’anno scolastico 1940-41 la vide insegnante, in una pluriclasse, a S. Ciriaco di Negrar, non molto lontano dalla sua abitazione: andando a piedi, ogni mattina, la distanza le permetteva di recitare il rosario intero. Pure non avendo ancora chiaro il percorso della sua vita interiore, anche se manifestamente vòlto verso la consacrazione, dedicava i suoi giorni a chi ne aveva bisogno, partecipava all’Azione Cattolica, aiutava – con il sorriso e la sua grazia – coloro che soffrivano. S’iscrisse al Terz’Ordine Francescano. Nell’estate del 1941 si recò a Roma per un corso di aggiornamento degli insegnanti elementari: vi rimase un mese. Dalle sue lettere (molto ricco ed assai interessante appare l’archivio delle sue numerose missive inviate soprattutto alla famiglia durante tutto il percorso della sua breve vita) si può capire l’amore per la città eterna: non dimenticò di vedere e di fermarsi in tutti i luoghi – massimamente quelli religiosi – che le procurarono ricordi che non dimenticherà mai. Verso la fine della permanenza romana fece di tutto – la fortuna fu dalla sua parte – per potere parlare con il papa Pio XII durante un’udienza. Forse anche quest’evento spinse la sua forza verso la consacrazione al di là, o meno, che Edvige ne abbia parlato con il Pontefice. Ritornata a Gorgusello, continuò la sua preparazione, come appare dai suoi diari. Verso la fine di quell’anno partecipò ad un corso di esercizi spirituali a Verona: pensava che, probabilmente, la scelta di dedicarsi alla vita consacrata le risultasse finalmente chiara. Ma la sua incertezza fu acuita dal rifiuto che il sacerdote, cui si era affidata, le aveva manifestato.
In uno dei suoi appunti si legge, tuttavia, questa frase: “La Provvidenza aveva guardato me”. Accadde, infatti – per una giovane come lei per la quale tutto non sarebbe avvenuto per caso poiché da lassù Dio la scrutava sempre – che all’interno del convento delle Orsoline di Verona dove si era recata, vedesse due suore che non indossavano il medesimo vestito; a Delfina Casarotto, che aveva conosciuto qualche tempo prima, chiese chi fossero: “Siamo Figlie di Gesù”. Dal quel momento Edvige Zivelonghi credette – e così accadde, in effetti – che la strada della consacrazione si fosse aperta.
Tornata a Gorgusello, non ebbe nemmeno il tempo di riflettere poiché le fu subito chiesto di supplire un’insegnante di ruolo nella scuola elementare di Breonio. Lo fece per un mese alternando il lavoro con la presenza pressoché costante in chiesa. Poi, ormai fortemente attratta dal fatto di potere, forse, diventare una suora, andò a Verona, in via San Cosimo alla Casa Madre delle Figlie di Gesù, la congregazione fondata dal venerabile sacerdote Pietro Leonardi nel 1812 dapprima come maestre volontarie al servizio delle fanciulle bisognose di assistenza e, dal 1814, con le prime cinque suore consacrate e chiamate Figlie di Gesù. Qui volle incontrare Delfina Casarotto chiedendole di potere entrare ad insegnare, finalmente, com’ella sempre appuntò, in una scuola cattolica. Anche qui – ed ella lo scrisse, poiché ne era certa – la mano del Signore la stava davvero chiamando: si cercava una maestra per sostituirne una ammalata e così iniziò il suo percorso a partire dal novembre del 1941.
Tuttavia – lo affermarono le colleghe dell’Istituto oltreché le righe dei suoi appunti – pure essendo contenta di essere entrata (seppure da esterna) nella casa madre, la professione stava un poco erodendo il suo spirito; nonostante fosse straordinariamente vicina ai bambini, da lei considerati figli di Dio prima che suoi allievi, sentiva che la sua vita avrebbe dovuto trovare un’altra collocazione spirituale oltreché corporale. Tra l’altro Edvige si tormentava chiedendosi: andare in clausura o tra la gioventù da educare? Per trovare aiuto, si rivolse a un padre della congregazione degli Stimmatini, fondata da San Gaspare Bertoni: e, forse finalmente, don Aldo Ribezzi la invitò ad entrare tra le Figlie di Gesù e non in clausura proprio per restare accanto a coloro cui ella avrebbe potuto essere d’aiuto. Era il febbraio 1942. Lo disse ai genitori, alle sorelle: lasciarono a lei la libertà di scelta. Nello stesso periodo, il direttore scolastico della zona le comunicò che si era liberato un posto fisso – e non più da supplente – nelle scuole elementari di Valgatara. “Fui lì lì per accettarlo”, confesserà Edvige anni dopo. Ma ormai la sua strada appariva aperta. I dubbi, tuttavia, la colsero ancora.
Questa volta andò da un sacerdote che tutti consideravano santo per un’ultima consulenza e si fece accompagnare da due sorelle; don Giovanni Calabria (canonizzato, poi, dalla Chiesa) l’accolse e le disse testualmente: “Entri nelle Figlie di Gesù e faccia tanto bene alle anime dei piccoli che le verranno affidati”. La stessa sera scrisse alla famiglia: “Quello che io vorrei da voi è questo: che non vi fosse desolazione in casa nostra, ma vero giubilo, grande allegria, perché vi garantisco che non ci potrebbe essere un motivo più giusto di questo per essere allegri”. E così avvenne, soprattutto all’interno della sua breve vita: fu una gioia continua, senza limiti. Tutto questo, però, colse i parenti alquanto impreparati: il carattere di Edvige, di forte capacità comunicativa, allegro, apparentemente spensierato, non era stato valutato nella posizione corretta.
Il 27 febbraio 1942, assieme all’amica Casarotto e altre aspiranti, ella iniziò il cammino spirituale tra le Figlie di Gesù: subito come postulante e insegnante ai bambini fino al termine dell’anno scolastico.
Il 14 settembre, dopo otto giorni di esercizi spirituali, fece il rito d’ingresso nel Noviziato assumendo il nome di Maria Edvige. Rimase alla Casa Madre sino al 3 luglio 1943 quando, per motivi della guerra, le novizie vennero trasferite a Gaon di Caprino Veronese. Chiese e ottenne di essere dispensata dall’insegnamento per dedicarsi esclusivamente alla preghiera e all’obbedienza totale. La chiesetta presente nella contrada non funzionava per le celebrazioni e le giovani dovevano andare a piedi al centro del paese. Scarseggiavano gli alimenti: la gente del luogo fu molto attenta a loro e le aiutò come fecero le novizie accudendo i bambini e facendoli crescere nella scuola e nella preghiera. Nonostante le difficoltà ella scrisse di essere alle porte del paradiso. Venne mandata a Massa (quale esperienza apostolica) presso il convento delle “Grazie” dove insegnò in una quarta elementare e dove, una volta ancora, cercò di supplire alle mille ristrettezze che le sue bambine dovevano subire. Nella città toscana dove lo stesso clima sembrava essere favorevole, Maria Edvige – che già aveva manifestato segni piuttosto forti della sua scarsa salute – la giovane novizia cominciò a stare male. Rimandata a Gaon nel maggio 1944, trascorse altri tre mesi di preparazione. Forte lettrice, passava le poche ore libere dalla preghiera con le opere di sant’Alfonso Maria de Liguori, sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino. Il 14 settembre dello stesso anno, sempre nella contrada appena sopra Caprino, dal parroco di questo paese, don Umberto Tosi, assieme alle altre sette compagne, Maria Edvige Zivelonghi fece la sua prima professione di fede pronunciando i voti di povertà, castità, obbedienza.
Dopo pochi giorni, dalla superiora – a volte poco attenta e non sempre capace di comprendere la dolcezza e l’allegria infinite della sua “sottomessa” – venne mandata a Cerna, un piccolo borgo della montagna veronese non molto lontano da Gorgusello: qui si occuperà di una ventina di bambine sfollate a causa della guerra e come insegnante della prima classe media che la impegnerà duramente. In questo periodo la sua salute peggiorò notevolmente e la superiora la incolpò di passare troppo tempo a pregare piuttosto che lavorare; dimagriva continuamente senza lamenti. I controlli medici non capirono subito la sua malattia; fu mandata a Dossobuono, poi a Polpenazze sul lago di Garda per una decina di giorni; poi, nella speranza che il clima della Toscana fosse giovevole, partì per Massa un’altra volta. Durante il viaggio venne ricoverata a Reggio Emilia, poi rispedita nella città cui era destinata: vi arrivò il 30 settembre e il giorno dopo cominciò l’insegnamento scolastico; senza alcuna pietà, fu visitata ma costretta a stare tutti i giorni con gli alunni. Venne ricoverata nel febbraio dell’anno successivo nell’ospedale di Massa e vi rimase fino a maggio. È, questo, il periodo più interessante per il suo diario nel quale – senza dilungarsi nella teologia e nella mariologia – la giovane suora mise per iscritto le sensazioni straordinarie dei suoi pensieri spirituali: il medico ateo, che a Massa cercò di curarla, si convertì parlando con lei e leggendo le sue pagine. Ritornò a Verona, morì lo zio sacerdote don Francesco Zivelonghi, fratello della mamma, ed ella disse: “Ora tocca a me”. Nel maggio le fu diagnosticata una tubercolosi polmonare molto avanzata: il 26 agosto 1946 fu mandata al sanatorio La Grola a Sant’Ambrogio di Valpolicella, specifico per quei casi di malattia.
Qui, al reparto femminile, erano ricoverate oltre cento donne curate dalle suore Paoline e da poche infermiere. Suor Maria Edvige (che, probabilmente aveva già capito quale sarebbe stato il suo ultimo percorso terreno) divenne la sorella, la madre, la consolatrice: oltre a pregare, passò tutto il tempo a curare quelle che ella chiamò “le mie sorelle”; chi era in preda allo scoraggiamento trovava in lei la forza, chi era disperata trovava la speranza: le prendeva per mano, pregava con loro, le accarezzava, le raccomandava ai medici, ai parenti; compativa, tollerava, non accondiscendeva a pianti inutili: dopo la sua morte, le compagne della Grola la definirono “l’eroina della nostra vita”. Nonostante le cure, la malattia si acuì sempre più; nel maggio morì il padre Francesco e per Maria Edvige fu, forse, il più grande dolore della sua vita. Tutti sapevano che ella aveva un male molto forte: ma dalla sua bocca non uscì mai un lamento.
Ritornò alla Casa Madre – dov’era stata certa di non andare più – per il voto del 18 aprile 1948 (il primo voto politico alle donne italiane). Fu portata a Loreto, con l’Unitalsi, dove dette conclusione al suo grande desiderio di vedere la casa della Madonna: qui, pure non essendo proprietaria di grandi cose, a Maria fece il voto di lasciare – subito dopo la sua morte che sentiva vicina – anche le scarpe, le piccolissime cose (compreso il suo parco mangiare) a chi ne avesse avuto bisogno. Riportata alla Grola dove la moneta preziosa, cioè il dolore, apparve ancora più forte, attese l’8 settembre 1949, giorno nel quale avrebbe dovuto fare i voti perpetui. Forse capì che non sarebbe stato possibile e chiese, anzitempo, di potere farli sul letto di morte, già dal mese di novembre dell’anno avanti.
Così accadde: alla Grola di Sant’Ambrogio di Valpolicella, la mattina presto del 18 marzo 1949, poco  prima che la dipartita avvenisse, vi fu la consacrazione perpetua. Poi, non ancora trentenne, suor Maria Edvige Zivelonghi se ne andò da questo mondo; tutte le consorelle gridarono: “è morta una santa”.
Sepolta, ora, nella Casa Madre di via S. Cosimo a Verona, a lei è stato riservato, sempre qui, un piccolo museo che raccoglie le sue lettere e i suoi diari, le sue piccole cose e quanto a lei appariva caro. Fu fatta Serva di Dio il 14 settembre 2014 e Venerabile il 19 maggio 2018. Una delle biografie più accurate (cfr. Montonati, Per amore, tutto) riporta una serie di guarigioni avvenute grazie all’intercessione di Maria Edvige.

Bibliografia: Maria Edvige Zivelonghi, Lettere, Scritti (inediti); Giovanni Cappelletti, Un Fiore dei Lessini, Bari, Edizioni Paoline, 1960; Graziano G. Pesenti, Martirio d’amore: Edvige Zivelonghi delle “Figlie di Gesù” Verona, Verona, Tip. Aurora, 1979; Lia Carini Alimandi, Nella luce di un Nome: le “Figlie di Gesù”, Roma, Città Nuova, 1985; Luigi Borghetti, Suor Edvige Zivelonghi: l’esperienza spirituale, in “Verona fedele”, 27 agosto 1989, p. 7; Francesco Vecchiato, Zivelonghi Edvige, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, 2006, p. 905-906; Angelo Montonati, Per amore, tutto. Vita di Suor Maria Edvige Zivelonghi, Cinisello Balsamo (Mi), Edizioni San Paolo, 2007; Maria Dora Ceccato, Zivelonghi, Edvige (Maria Edvige), in Bibliotheca Sanctorum, Terza Appendice, Roma, Città Nuova, 2013, col. 1225-1228; Dario Cervato, Serva di Dio suor Maria Edvige Zivelonghi (1919-1949), in Id., Verona agiografica. Dizionario storico dei santi, beati, venerabili e servi di Dio veronesi, Verona, Bonato, 2018, pp. 152-153; In alto, in alto… Suor Maria Edvige Zivelonghi Figlia di Gesù, Verona, Figlie di Gesù, 2018; Venerabile Maria Edvige Zivelonghi Figlia di Gesù, in “Filodoro speciale”, n. 101, ottobre 2018; In alto, in alto… Suor Maria Edvige Zivelonghi, Figlia di Gesù, Verona, Figlie di Gesù, 2018; Franco Zeni, Sulla strada della santità. Suor Maria Edvige della Congregazione religiosa “Figlie di Gesù”, “Quaderni culturali caprinesi, n. 13, 2021-2022, pp. 141-148.

Giancarlo Volpato

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Foto da: www.veronafedele.it

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