Grigolini Teresa

… a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Teresa Grigolini

Suora nelle Pie Madri della Nigrizia, poi forzatamente sposata, moglie, madre e straordinaria donna di sofferenza, Teresa Grigolini nacque a Mambrotta di San Martino Buon Albergo il 18 gennaio 1853. Manifestò, fin da adolescente, l’intenzione di consacrare la vita al Signore, ma il colpo di fulmine avvenne quando – nel 1872 – l’allora giovane Daniele Comboni, che era andato a trovare i genitori di lei, le chiese di entrare nell’Istituto di suore dedicate alla missione dei neri nell’Africa centrale. Così, nel gennaio 1874, ella entrava a Verona, in Via Santa Maria in Organo per diventare Pia Madre della Nigrizia.
Fu tra le prime delle novizie ammessa alla professione religiosa assieme a Maria Bollezzoli – che sarà la prima grande superiora della Congregazione – il 15 ottobre 1876. Lasciata Verona il 12 dicembre 1877, assieme a Comboni e altre quattro sorelle, Teresa Grigolini giunse a Berber, in Sudan, suo primo luogo di missione, il 30 marzo 1878. Da qui andò a Khartoum per proseguire a El-Obeid nel Kordofan. Era convinta che lì, finalmente, avrebbe potuto rimanere e organizzare la vita comunitaria e apostolica. Due mesi dopo, invece, dovette riprendere con suor Giuseppa Scandola (grande e straordinaria missionaria di Bosco Chiesanuova per la quale è in corso il processo di canonizzazione: v. in questo Sito) la via per la capitale del Sudan e sostituire le Suore di S. Giuseppe.
Riconosciuta dal Santo Fondatore (Daniele Comboni) come superiora provinciale, la Grigolini ritenne di stabilire la sua residenza a El-Obeid.
Il 1881 fu un anno tragico per tutta la missione: il 10 ottobre moriva Comboni e quattro mesi prima Muhammad Ahmad ibn al-Sayyd si era fatto riconoscere come il “Mahdi”, l’uomo scelto da Dio e atteso dal suo popolo per liberare il Sudan dagli stranieri e portare la pratica dell’islamismo alla purezza originaria. Cominciò un lungo periodo di dolore infinito: furono spazzate letteralmente le stazioni missionarie, due suore (entrambe veronesi) e un fratello laico furono i primi a perire. Tra 1883 e inizio 1884, i sopravvissuti furono condotti prigionieri delle truppe mahdiste e – sotto pressioni e violenze – i nuovi fondamentalisti cercarono di fare abiurare: un padre e due fratelli diventarono apostati (anche se, poi, il primo fu perdonato dalla Chiesa, mentre gli altri rimasero apertamente legati a molte donne e non ritornarono al cattolicesimo).
La prigionia della Mahdìa fu particolarmente dolorosa; considerando che nessuna suora aveva aderito all’Islam, tutte le donne ebbero l’ordine di sposarsi; dapprima alcune lo fecero in apparenza, ma nessuna infranse il voto di castità; poi la costrizione fu violenta e Teresa Grigolini, per salvare le consorelle quale loro superiora, aderì, con dolore immenso che le ferì il cuore per tutta la vita, a sposare Dimitri Kocorempas (o Cocorempas), un commerciante greco che era stato imprigionato perché cristiano e che l’aveva sempre rispettata e anche difesa. Così – eccetto Concetta Corsi, violentata da un fratello laico – nessuna consorella fu costretta a sposarsi ufficialmente.
La prigionia fu lunga per tutti i padri e per tutte le suore; alcuni riuscirono a fuggire, altri furono liberati dietro grosse ricompense di denaro, gli ultimi rimasero per anni finché in qualche modo ebbero modo di sfuggire ai corrotti mussulmani che facevano loro la guardia: in quel periodo Mons. Francesco Sogaro, vicario apostolico, e gli altri missionari lavorarono alacremente affidandosi anche alle potenze straniere europee che avevano interessi nel territorio, ma la Mahdìa non arretrò mai soprattutto dopo la morte del suo fondatore che fu sostituito da un califfo ancora più terribile: Abd Allāh al-Ta’āysh conosciuto come il Kalīfa. Solo dopo il 24 novembre 1898, con la sconfitta dei sudanesi da parte dei britannici, terminò la schiavitù e si aprirono – assai cautamente, in verità – maggiori possibilità per le missioni cattoliche, allora pressoché totalmente nelle mani dei comboniani guidati dal vicario Antonio Maria Roveggio.
Dal matrimonio forzato Teresa Grigolini (avvenuto in una sera d’agosto del 1890) ebbe una figlia che morì qualche anno dopo per gli stenti e le malattie. Mise al mondo altri due figli (Giuseppe e poi Giorgio, nato dopo la liberazione), ora scomparsi: esistono – e vivono in Australia – due nipoti Kocorempas che bene conoscono la vicenda della nonna che era stata suora.
L’ex Pia Madre della Nigrizia (stato che Teresa non dimenticò mai, ma che aveva dovuto  abbandonare) trascorse quasi sedici anni di prigionia che, dalla schiavitù iniziale, si trasformarono poi in domicilio coatto a Omdurman, la nuova capitale che il Mahdi aveva voluto erigere di fronte a Khartoum, dall’altra parte del Nilo. Di là, ella aveva visto partire le sorelle liberate e i padri; uno di questi, don Giuseppe Ohrwalder, un altoatesino di grande amore e di sicuro apostolato, aveva “doverosamente” e segretamente celebrato il matrimonio religioso tra la suora di Mambrotta e il commerciante greco dopo averla sciolta dal voto di castità. Il successore di Sogaro, Antonio Maria Roveggio, non aveva colto – all’inizio – il grande dramma della Grigolini; poi, l’accolse tra le sue fedeli, la riammise alla ricezione della comunione e ne capì tutto il dolore.
Teresa fu una moglie fedele, che dovette subire difficoltà da un marito che la costrinse a vivere a El-Obeid, poi a Tripoli, poi ad Atene, poi al Cairo ed egli ricominciò ad andare in giro per il mondo a fare commerci. Nel 1906 i coniugi si riunirono a Khartum anche perché il marito aveva smesso di girare il mondo lasciandola sola. Solo alla morte di Dimitri Kocorempas, avvenuta nel 1915, (e che ella aveva amorevolmente assistito durante la malattia nonostante egli fosse diventato un violento), si spostò ad Alessandria d’Egitto da cui, alla fine della guerra, emigrò per venire in Italia dove visse malamente i primi anni. Ritornò con il figlio più piccolo poiché il primo si era già stabilito in Palestina.
Più tardi, quando anche quest’ultimo uscì di casa, chiese di potere essere riammessa nella Casa delle Pie Madri della Nigrizia. Non fu accolta nonostante le ex-consorelle avessero conosciuto il dramma della sua vita; “per me – ella scrisse – non ci sarà più né convento né famiglia e fino alla morte durerà la mia schiavitù”. Stabilitasi finalmente a Mambrotta, ospite del fratello Luigi, parroco della frazione (aveva chiesto di essere trasferito da un’importante chiesa della città per aiutare la sorella), trascorse un lungo periodo nel silenzio della gente, guardata male come una ex-suora violata: i suoi compaesani sembrarono non avere capito il dramma della vita di una povera donna; poi cambiarono le cose, ma Teresa visse nel silenzio e nella preghiera, lontana purtroppo sia dai figli (che avevano preso altre strade), sia dai nipoti. Solo più tardi, le autorità ecclesiastiche e il popolo della sua terra cominciarono a capire il dolore infinito di quella donna che fu, nei fatti, una vera eroina del sacrificio. Si accorsero anche le Pie Madri che mandarono, ad assisterla, una consorella. Si spense, tra le braccia di una suora comboniana, nella canonica di Mambrotta il 21 ottobre 1931; solo dopo molti anni Teresa Grigolini fu accolta nella tomba delle sorelle missionarie, a Verona.

Bibliografia: Teresa Grigolini Cocorempas, Tutti sapevano che ero stata suora, a cura di Daniela Maccari, Verona, Pie Madri Nigrizia, 1988 (poi, Bologna, EMI, 1996); Teresa Grigolini, Memorie della prigionia mahdista, a cura di Aldina Martini, “Archivio Madri Nigrizia”, a. 1, 2000, n. 1, pp. 17-65; Teresa Grigolini, Scritti (1877-1931), a cura di Maria Vidale, “Archivio Madri Nigrizia”, a. 7, 2006, n. 12 (ott.), pp. 15-346; Francesco Vecchiato, Grigolini Teresa, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 449-450; Pietro Chiocchetta, La ‘notte pasquale’ di Teresa Grigolini Cocorempas, “Archivio Madri Nigrizia”, a. 9, 2008, n. 14 (apr.), pp. 7-94; Paola Azzolini, “… dal vel del cor giammai disciolta”. Storia di Teresa Grigolini Cocorempas e delle sue compagne di prigionia, in Donne a Verona: una storia della città dal medioevo ad oggi, a cura di Paola Lanaro e Alison Smith, Caselle di Sommacampagna, Cierre, 2012, pp. 267-282; Giancarlo Volpato, Antonio Maria Roveggio: instancabile erede di Comboni (1858-1902), Verona, Casa Ed. Mazziana, 2015.

Giancarlo Volpato

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