Bevilacqua Giulio

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

Per le tue domande scrivi a: giancarlovolpato@libero.it

 

Cardinale Giulio Bevilacqua

Sacerdote, cardinale, sociologo, scrittore, soldato, Giulio Bevilacqua nacque a Isola della Scala il 14 settembre 1881 da Matteo e Carlotta Oliari: egli era l’ultimo dei dieci figli e il padre era un commerciante di tessuti bene avviato. Iniziò le scuole al paese natìo ma, nel 1889, la famiglia si trasferì a Brescia: qui frequentò gli studi sino al 1896, per entrare poi nell’alunnato filippino presso l’Oratorio della Pace della città lombarda. E qui, in questo luogo, nel futuro, vi sarà la sua vera patria. Il giovane Bevilacqua, tuttavia, dotato di straordinaria e particolare intelligenza  oltreché di moralità, portò con sé anche quanto la Verona di quegli anni stava dando alla politica e alla cultura cattolica: erano gli anni di grandi sacerdoti attenti a dare alla nuova Chiesa segni plausibili di altruismo e di fede nei principi fondamentali quali la cura dei poveri, l’attenzione ai diseredati, l’aiuto ai sofferenti; si chiamavano Giuseppe Manzini (v. questo sito), Giuseppe Chiot, San Giovanni Calabria.
All’inizio del nuovo secolo, egli si professava aperto sostenitore della concezione politica di Romolo Murri di una democrazia cristiana, aperta al mondo dove i cattolici (allora “quasi” privati dal fare politica) avrebbero dovuto occuparsi politicamente. Nel 1902 Bevilacqua si trasferì a Lovanio, in Belgio, per studiare in quella università. Qui, dove rimase sino alla laurea nel 1905, subì fortemente gli insegnamenti della sua formazione teologica e “cristocentrica” del cardinale Désiré-Felicien-François Joseph Mercier, primate del Belgio e filosofo neotomista. A Lovanio, tra le lotte politiche e la crisi modernista, egli maturò la sua vocazione sacerdotale: a questa darà, subito, carattere cristocentrico e una fortissima impronta sociale. Da ricordare, tra l’altro, che la sua tesi di laurea verrà pubblicata a Torino nel 1906: Saggio su la legislazione operaia in Italia. Nel dicembre 1905 entrò nella Congregazione della Pace, seguì gli studi nel seminario di Brescia e fu ordinato sacerdote il 13 giugno 1908. Si dedicò subito al campo sociale insegnando e battendosi per gli apprendisti, i lavoratori e fondando le unioni cattoliche per questi. Sarà il primo ad occuparsi delle condizioni operaie femminili: ad Isola della Scala, grazie a lui, se ne occuperanno le suore della Misericordia. La sua attività di scrittore “sociale” continuava sempre e da questo momento in poi le sue opere in questo settore proseguiranno fino alla morte.
Bevilacqua fu definito, fin da allora, come un “buon pastore di anime”. Nel maggio 1915, quando l’Italia entrò in guerra, chiese d’essere arruolato: il vescovo di Brescia, Giacinto Gaggia, glielo negò e lo mandò, come parroco, a Precasaglio, piccolo paese della Valcamonica; solo nel marzo 1917 gli venne concesso di raggiungere il fronte quale sottotenente e combattente degli alpini. Fu insignito di due medaglie di bronzo al valor militare sull’Ortigara, guidò i suoi soldati sul Grappa, sulle Melette, sul monte Fior nel novembre-dicembre 1917, portò in salvo feriti, curò spiritualmente e fisicamente tutti coloro che ne avevano bisogno; il 4 dicembre 1917 fu catturato dalle truppe austro-ungariche; caricato su un treno, fu condotto a Franzenfeste e, dopo tre giorni, al campo di prigionia di Hart, presso Amstetten in Austria; qui rimase sino al marzo 1918 quando fu traferito al campo di Horowitz, in Boemia. Ritornò a Brescia solo il 27 novembre 1918. Descrisse questo periodo nel libro La luce nelle tenebre (Milano 1922).
Nel 1921 fu eletto preposito della sua Congregazione e riconfermato tre anni dopo. Iniziò qui, allora, la sua lotta al fascismo; lottò strenuamente contro Augusto Turati, il ras mussoliniano di Brescia; non risparmiò le critiche neppure ad Agostino Gemelli né a quella parte della chiesa che “aveva abbracciato nel silenzio” il fascismo, “anticristiano per sua natura”, da lui definito: scriveva con chiarezza delle sue idee sui giornali; uscì, in quel periodo, il “caso Bevilacqua”: il prete che osava. Dovette fuggire dalla città lombarda, si rifugiò a Verona; poi, diventato pericoloso questo soggiorno, andò a Genova dove lo raggiunse l’ordine del vescovo della sua città di ritornare a Brescia. Per sua fortuna nel gennaio 1928 fu chiamato a Roma per occuparsi di una congregazione di religiosi e dove fu ospite di Giovanni Battista Montini del quale egli sarà uno degli amici più fervidi. Nel 1929 volle andare ad Isola della Scala a predicare le missioni.
Giulio Bevilacqua poté fare ritorno alla sua Congregazione della Pace nel 1932 e l’anno dopo fu rieletto quale preposito. Sottoposto a vigilanza, proprio per le sue idee, non si sottomise alle istanze politiche e continuò alacremente le sue posizioni su giornali e negli scritti: sono di questo periodo alcuni articoli – usciti anche sulle pagine dei fogli della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) – dove attaccava fascismo e comunismo ritenendoli incapaci e, quindi, colpevoli, di eliminare gli errori del capitalismo che, al culto del denaro, “sacrifica la persona nella sua irripetibile integrità e singolarità”.
Scoppiò la seconda guerra mondiale; chiese ed ottenne di essere arruolato quale cappellano militare; andò in marina e vi rimase per oltre tre anni: due libri parlano di questo “conflitto immorale e frutto del disordine morale come un’apostasia del Cristo”. Compì più di venti missioni, raccolse morti e feriti su una nave-ospedale. Apparentemente congedato nell’estate 1943, tornò nella sua Isola della Scala; ma dopo l’8 settembre dovette imbarcarsi di nuovo verso Brindisi dove s’erano rifugiati il re e il governo di Badoglio: celebrò la messa davanti all’alto comando e ai reali pronunciando un’omelia in commento al passo evangelico “beati quelli che piangono” che non fu affatto accolta benevolmente. Venne congedato il 22 agosto 1944 e fu riaccolto da monsignor Montini a Roma.
Nel giugno 1945 rientrò a Brescia: questa era la sua terra, qui vi era il luogo della sua attività pastorale. Fu il grande, straordinario periodo della ricostruzione sociale; riorganizzò la sua Congregazione e fu una delle anime profonde che credettero nella diffusione delle idee.
In questa città il suo nome era entrato nella storia. La cultura e i problemi dell’industrializzazione bresciana lo avevano visto in prima linea e il suo apporto non era passato inosservato. Come pure quello che, nel 1925, per iniziativa di laici ed ecclesiastici (egli e Montini, sopra gli altri) avevano fatto nascere la casa editrice Morcelliana, importante soprattutto per l’attenzione al mondo cattolico e che, in seguito, accoglierà i massimi scrittori della teologia, della storia della Chiesa da ogni parte del mondo (si veda, ad esempio, Romano Guardini: in questo Sito). Con gli altri fondò la rivista “Humanitas”, edita dalla medesima ed eccellente periodico di stampo cattolico (assieme a Mario Bendiscioli e Michele Federico Sciacca), ma non solo: su di esso Bevilacqua pubblicò molti articoli. Iniziata nel gennaio 1946 – proprio alla fine della guerra – la rivista volle ispirarsi ai valori di rinascita morale, spirituale e socialmente legata ai princìpi sociali. In quest’epoca, uscì un suo libro, dal titolo eloquente: Equivoci. Mondo moderno e Cristo (Brescia 1951) dove Bevilacqua ripropose le sue idee fondamentali contro marxismo, capitalismo e concezione materialistica di parte della Chiesa.
Per il sacerdote d’origine isolana, il febbraio 1949 fu il mese della scelta radicale. Lasciò la sede della Congregazione, si trasferì in una baracca-chiesa, trasformata poi in parrocchia e dedicata a S. Antonio nel 1952, in via Chiusure nella periferia più povera di Brescia. Non dette giustificazione apparente poiché visse – e tutti lo seppero – tra i poveri e il proletariato: fu la sede di tutti i suoi giorni futuri, anche se fu chiamato in molte parti per portare il suo apostolato con la parola e gli atti; andò in Francia, tra gli altri luoghi, dove strinse amicizia con Jean Guitton, scrittore, teologo, unico laico ammesso – più tardi – al Concilio Vaticano II: qui presenzierà, in due sedute, anche il prete isolano.
Il 22 agosto 1960, papa Giovanni XXIII lo nominò membro della Pontificia Commissione della sacra liturgia in vista del concilio: fu il riconoscimento per la sua lunga attività pastorale fondata sulla parola, sul senso cristocentrico del ciclo liturgico. Memorabili restarono le sue conversazioni religiose alla televisione per la rubrica “Tempo dello spirito” ch’egli tenne sino al maggio 1964. Grazie, anche, alla nomina del pontefice, Giulio Bevilacqua darà un rilevante contributo alla stesura definitiva della costituzione sulla liturgia Sacrosantum Concilium (1963). Alla morte di Roncalli, il segretario di Giovanni XXIII, gli chiese di scrivere l’introduzione dell’opera postuma del papa: Il giornale dell’anima. Il riconoscimento all’anziano religioso era quanto mai eloquente.
La sua terra natale, dove tornava con una certa frequenza, nel 1961, in occasione dei suoi ottant’anni, lo volle onorare con una medaglia d’oro, assieme ad altri due grandi cittadini isolani: Ettore Bolisani e Lionello Rossi.
Ma fu con l’elezione al soglio di Pietro del suo “discepolo” Montini (21 giugno 1963) che la vita pubblica di padre Bevilacqua cambiò: accompagnò Paolo VI nel suo primo viaggio in Terra Santa nel gennaio 1964. Il 22 febbraio 1965 venne creato cardinale con la dispensa – solo a lui concessa – di conservare l’ufficio di “semplice prete”: egli fu il primo cardinale, nella storia della Chiesa, a rimanere parroco in quel luogo, alla periferia bresciana, dove aveva costituito il suo posto accanto ai poveri. Vestito degli “stracci rossi” (come amava definirli), il cardinale-parroco condusse l’ultima parabola di vita nella chiesa di S. Antonio. Qui si spense, pochi mesi dopo, il 6 maggio 1965 mentre recitava il “Salve Regina”. Fu sepolto nella cripta della sua chiesa della Pace con il suo stemma con il motto “Virtus in infirmitate”. All’abate don Antonio Ceriani, illustre ecclesiastico veronese, aveva raccomandato di baciare, per lui, il fonte di Isola dove aveva ricevuto il battesimo. Lasciò più di una dozzina di pubblicazioni.
Lo scultore veronese Nereo Costantini fece il medaglione bronzeo con la sua effigie sul Monte Lozze (Ortigara) là dove il sottotenente sacerdote Giulio Bevilacqua, nel 1917, aveva salvato la vita di tanti soldati. Il centro di cultura intitolato al suo nome, a Isola della Scala, porta un’immagine, sempre opera del medesimo artista. Una lapide, con brevi note biografiche, è stata posta sulla facciata dell’abitazione; papa Paolo VI, lunedì 24 marzo 1969, fece un pellegrinaggio ad Isola della Scala e pronunciò un discorso in memoria del cardinale Giulio Bevilacqua; il papa aveva voluto entrare anche nella casa dove il suo amico-maestro aveva visto la luce: fu, senza alcun dubbio, il gesto più grande che un pontefice poteva fare quale riconoscimento dei meriti del parroco dei poveri.
Città e paesi gli hanno dedicato una via o una piazza: ovviamente anche Isola della Scala.

Bibliografia: la bibliografia è assai numerosa su tutti gli aspetti del Bevilacqua; ci limitiamo a segnalare gli scritti più facilmente accessibili: Scritti e testimonianze in memoria di padre Giulio Bevilacqua cardinale, 1881-1965, Brescia, La Scuola, 1965; Giovanni Barra, Padre Bevilacqua parroco-cardinale, Torino, Gribaudi, 1966; La parola di Padre Giulio Bevilacqua, Brescia, Morcelliana, 1967; Antonio Fappani, Padre Giulio Bevilacqua, prete e cardinale sugli avamposti, Verona, Nigrizia, 1975; Antonio Fappani, Padre Giulio Bevilacqua: il cardinale-parroco, Brescia, Queriniana, 1979; Isola della Scala e il cardinale Giulio Bevilacqua nel centenario della nascita, Isola della Scala, Comune di Isola della Scala, 1983; Silvano Scalabrella, Bevilacqua, Giulio, in Dizionario Biografico Italiani, v. 34, Roma, Ist. Enc. It., 1988, pp. 417-419; Giovanni Gregorini, La cultura e i problemi dell’industrializzazione bresciana: Giulio Bevilacqua e Ottorino Marcolini, in A servizio dello sviluppo. L’azione economico-sociale delle congregazioni religiose in Italia tra Otto e Novecento, a cura di Mario Taccolini, Milano, Vita e Pensiero, 2004, pp. 191-250; Emanuele Luciani, Bevilacqua Giulio, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 120-121; Giulio Bevilacqua a quarant’anni dalla morte: 1965-2005, a cura di Luca Ghisleri-Renato Papetti, Brescia, Morcelliana, 2006; Maria Vittoria Adami, Ortigara, ora tutti i caduti hanno un nome e Ead., Padre Giulio Bevilacqua e “l’anima insanguinata” che dobbiamo onorare, “L’Arena”, 2 luglio 2017, p. 47; Paolo Volpato, Il cardinale Giulio Bevilacqua prigioniero di guerra, “Il Montebaldo: trimestrale della Sezione di Verona dell’A.N.A”, a. 66, 1, gen.-feb. 2019, pp. 35-37.          

Giancarlo Volpato

↓