Etimologia 66 (Postuma) – (Toponomastica e storia)

…a cura di Giovanni RapellietPer le tue domande scrivi a >>>  info@giovannirapelli.it

Etimologia 66 (Postuma) – (Toponomastica e storia)

Il tamburino sardo

La zona di Custoza fu profondamente coinvolta nelle battaglie del Risorgimento: dapprima nel corso della I guerra di indipendenza (nel luglio 1848), quindi nel corso della III guerra (giugno 1866). Particolarmente tragici furono gli scontri del 1866, per l’alto numero dei caduti di entrambe le parti. L’Ossario di Custoza raccoglie i poveri resti dei soldati di tutt’e due gli eserciti, piemontese e austriaco; è un monumento di pietà cristiana, ma anche di condanna della guerra in quanto tale.
Sul Monte Croce v’è un altro monumento, dedicato alla Brigata Sardegna (protagonista di combattimenti del ’66). Poco lontano da questo, a 140 msm di altezza, troviamo la Casa del Tamburino Sardo, un cascinale di scarsa importanza architettonica. Nell’edificio fu arbitrariamente identificato nel ventennio fascista il sito dell’impresa del “tamburino sardo”, da cui il nome; in realtà, la vicenda è frutto della fantasia di uno scrittore, e qui non sostò mai un tamburino dell’esercito sardo.
Riepiloghiamo la storia del ragazzo come la narra magistralmente Edmondo De Amicis nel famoso libro Cuore.
Nel 1848 un distaccamento di fanti piemontesi occupa una casa isolata sulle alture di Custoza, ma presto si trova in seria difficoltà sotto l’attacco austriaco. Il capitano decide di inviare il suo tamburino, un giovanissimo Sardo di poco più di 14 anni, a Villafranca di corsa per sollecitare aiuti. Il ragazzo dapprima si precipita, ma poi sembra prendersela comoda, e il capitano – un ufficiale duro e severo – impreca contro quel pelandrone. Dopo un certo tempo, però, arrivano i rinforzi e il reparto è in salvo, sia pure a prezzo di gravi perdite.
Il giorno dopo i Piemontesi sono costretti a ripiegare su tutta la linea. Il capitano si trova a Goito e va nella chiesa a cercare il suo luogotenente, che era stato ferito. La chiesa era stata adibita a ospedale da campo. Giunto lì dentro, il capitano viene chiamato dal suo tamburino, sistemato in una branda. Dopo alcune parole di circostanza, l’ufficiale scopre che al ragazzo era stata amputata la gamba sinistra sopra il ginocchio. Il medico militare gli dice che la ferita di per sé non sarebbe grave, ma la corsa del ragazzo, protratta per troppo tempo, aveva provocato una violenta infezione. Allora l’ufficiale si toglie lentamente il berretto e, al tamburino che gli chiede meravigliato «ma che cosa fa, signor capitano?», risponde: «Io non sono che un capitano; tu sei un eroe».

Giovanni Rapelli

Articolo apparso in “El marciador”, maggio 1998.

↓