Etimologia 57 (Postuma) – (Espressioni dialettali)

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Etimologia 57 (Postuma) – (Espressioni dialettali)

Tampelar
Questo verbo significa «armeggiare, affaccendarsi a vuoto, zoppicare, camminare a balzelloni» (nel vocabolario Beltramini-Donati, 1980). A Verona città, esso ricorre esclusivamente in tre espressioni:
tira, mola e tampela… (locuzione avverbiale) «dopo lunghi tira e molla»;
tampèla! (imperativo) «cammina, vattene!»;
ciapa su le to tampeline e fila! «Prendi le tue carabattole e fila!» (con varianti, come per esempio a Villafranca, dove si dice tampelete invece di tampeline).
La voce tampelar ha dato origine a Villafranca al soprannome Tampelon, applicato a tutti i membri di una famiglia e regolarmente declinato (quindi, a un nome maschile si aggiunge Tampelon, a un nome femminile Tampelona, con i relativi plurali i Tampeloni, le Tampelone. Il significato originario del soprannome sarebbe stato «persona che cammina un po’ goffamente» oppure «persona che armeggia inutilmente, che si perde in lavori di nessun conto».
Io ritengo più probabile la prima ipotesi. Questo perché nel bresciano, dialetto parlato a poca distanza dal territorio villafranchese, le tampele sono i «trampoli» (cfr. REW 8626). Io collego questa voce alle tampeline veronesi, che avrebbero significato così, in origine, appunto «trampoli»; di qui sarebbe sorto il verbo tampelar, «camminare a balzelloni». Quindi, ciapa su le to tampeline e fila voleva dire propriamente «prendi i tuoi trampoli e cammina su di essi». Per inciso, è assai verosimile che la parola italiana “stampella” appartenga a questa famiglia; le grucce sono simili ai trampoli.

Giangianese
Il dizionario Beltramini-Donati dà di questa parola il seguente significato: «nativo della Giazza; finto tonto, proveniente dal Meridione». A Verona, la voce ricorre solamente in espressioni del tipo: a te si un giangianese, ti…, «sei un sornione, tu…». Si tratta di un termine ignoto a tutti gli altri dialetti, a quanto è dato di sapere, e dall’etimologia oscura. Azzardo qui una spiegazione.
È significativo che giangianese sia stato applicato ai nativi di Giazza, che per il fatto di essere Cimbri, e di parlare tra di loro una lingua di tipo tedesco, hanno spesso dato l’impressione come di appartenere a una consorteria segreta, a un gruppo di persone che per non farsi capire dagli altri usa un gergo. E quelli di Giazza confinano col Trentino, dove pure ci furono in passato varie comunità cimbre (Vallarsa, Folgaria, Lavarone ecc.).
Ora, nel Trentino di una volta Jànes valeva «Giovanni», ed era nome diffusissimo (ne derivano, per esempio, i cognomi Deanesi e Gianesini). È possibile che fosse sorto tra i Trentini il nomignolo Jan-Jànes a indicare uno chiamato Giovanni, dove Janes era la forma classica del nome, e Jan era l’abbreviazione “Gianni”; come a dire “Gian-Giovanni”, ossia “tu ti dici Janes, che non è altro che Jan”.
Si sarebbe trattato di un’iterazione scherzosa, passata in seguito per qualche motivo a indicare un furbastro, un sornione. Da questo supposto Jan-Jànes era logico che nel veronese si facesse un giangianese. Il termine dovette indicare dapprima i Cimbri trentini, poi quelli veronesi. Esso passò anche nel gergo usato dalla malavita veronese, dove significa «filone, furbo» (cfr. Giovanni Solinas, Glossario del gergo della malavita veronese, Verona 1978, pag. 53).

Giovanni Rapelli

Articolo apparso nella rubrica “L’angolo culturale: modi di dire” in “La voce socialista” n. 1, 30 gennaio 1990.

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