Etimologia 51 (Postuma) – (Espressioni dialettali)

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Etimologia 51 (Postuma) – (Espressioni dialettali)

Tirar simento, «provocare» (par forsa el l’à ciapade: el ghe tiraa simento…, per forza le ha prese, lo provocava…).
Il sostantivo risponde al toscano cimento, «rischio, prova pericolosa» e dovette essere in antico tirar (o trar) a simento, ossia «trarre alla prova, indurre a una prova rischiosa».
Sembra trattarsi, quindi, di espressione toscana; uno dei tanti punti di contatto linguistici tra Verona e la regione di Dante.

A la sanfassona, «in modo disordinato, caotico» (ara che chi lì i laora a la sanfassona, «guarda che quelli lavorano senza criterio, disordinatamente»). È espressione derivata dal francese, dove abbiamo il sostantivo sanfaçon significante «semplicità di modi» e «disinvoltura».
Forse questo sostantivo fu adoperato in qualche area francese per personalizzare la disinvoltura, la superficialità: ne sarebbe sorto Monsieur Sans-façon, come a dire “signor Disinvoltura”, e quindi l’espressione à la sans-façon, «alla maniera di Sans-façon». Successivamente vi sarebbe stato il lieve spostamento di significato da «disinvolutra» a «caos, disordine».

Bala da fogo, «sbornia solenne». Indubbiamente, il fogo qui non è altro che il fuoco dell’inferno. L’espressione ha origine nel linguaggio dei religiosi: una sbornia da fuoco dell’inferno, cioè un peccato gravissimo.

A la valà che vegno. È esatto equivalente di a la sanfassona, «in modo superficiale, disordinato». Probabilmente l’espressione ebbe origine nell’intercalare va là che vegno mi, «lascia stare, ché vengo io», con cui risponde una persona volonterosa, ma inesperta a chi fa presente una necessità: riparare un rubinetto, tagliare dei rami secchi ecc. Da qui l’identificazione della frase con l’incompetenza, il pressapochismo, la superficialità, sia pure temperati dalla buona volontà.

No’ verghelo gnanca per i sete sentimenti, «non averlo neppure lontanamente in considerazione, non pensarci neppure lontanamente». È espressione curiosa, non facile da interpretare. Credo che i “sentimenti” qui siano i “sensi”, come nell’italiano antico (nel quale si diceva “cinque sentimenti” per esprimere i 5 sensi, della vista, dell’udito ecc.).
Infatti, v’è anche, nel Beltramini-Donati, l’espressione perdar i sete sentimenti, «non connettere, perdere le staffe». Ma perché quel cambiamento di numero? Forse il “sette” sostituì il “cinque” per influsso del linguaggio religioso, dove abbiamo i 7 sacramenti, le 7 virtù, i 7 peccati mortali. Dunque, l’espressione originaria sarebbe stata no ’verghe par i sinque sentimenti, «non avere nell’ambito dei cinque sensi» (non poter vedere, udire ecc.). Lo gnanca sarebbe un rafforzativo introdotto per enfatizzare quando già non era più capita l’espressione.

Giovanni Rapelli

Articolo apparso nella rubrica “L’angolo culturale: storia di parole” in “La voce socialista” n. 3, 10 maggio 1989, pag. 3.

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