Tagliaro Beniamino

…a cura di Graziano M. Cobelli

Poesia

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Beniamino Tagliaro

Beniamino Tagliaro è nato a Caldiero (VR) il 31 Agosto 1910, dove ha vissuto con la moglie e i 2 figli, è morto a San Bonifacio (VR) nel 2004.
Si laureò a Milano presso l’Università Cattolica in sorveglianza scolastica (funzione di direttore didattico).
Nel 1940-45 partecipò alle varie operazioni militari nel Corpo degli Alpini: in Francia, Albania, Russia e Corsica. Fece poi parte del Corpo italiano di Liberazione e fu insignito della medaglia d’oro al valore militare. Alla testa dei suoi Alpini risalì la penisola italiana a fianco delle truppe americane di liberazione con il grado di tenente, poi, promosso a colonnello.
Nella sua veste di direttore didattico resse le sedi di San Giovanni Ilarione, di Tregnago e quindi della scuola Dorigo, 18° Circolo didattico veronese.
In veste di scrittore diede alla stampa un prezioso e vendutissimo volume sulle campagne di guerra degli Alpini. Si dedicò anche a studi locali: raccolse le poesie di Don Zenari, riassunse in un altro importante libro i vari documenti scritti dal conte Giuseppe Da Prato durante la dominazione di Venezia edito da “Edizioni Taucias Gareida” di Giazza nel 1995. Per se stesso, alla soglia dei novant’anni, ha inoltre pubblicato un libricino, dal quale sono tratte le 2 poesie qui di seguito.
In cuor suo, ha sempre avuto parole di elogio per un suo attendente tuttofare, di origine cimbra, nativo di Giazza, il cui nome era Fortunato Dal Bosco “el Netala” per gli amici e compaesani e che incontrò spesso nel dopoguerra e durante le sue mansioni di direttore didattico.

***

A sera

No, non credere no
che il sol sia spento
solo perché a quest’ora
il cielo trascolora
e tra un momento
sarà di nuovo notte,
notte ancora.

No, non credere no
che pur la luna
sia giunta al lumicino
solo perché,
sottil falce d’argento,
s’appressa a declinare
pian pianino.

No, non credere
che tutto sia pianto
solo perché,
Sirio a ponente,
di tanto in tanto,
e a mille miglia,
socchiude gli occhi ardenti
tra lunghe ciglia
luminescenti.

No, non temere se
tu pur, tra breve,
inavvertita,
lieve
dileguerai nell’ombra
alla tua vita:
sai che domani all’alba,
o nell’aurora,
rinascerai
splendida ancora
al nuovo giorno
e a te d’intorno,
novellamente
l’ore
ripete il canto
e dell’angoscia insieme
e dell’amore.

***

Lamento di betulla

M’ha spoglià tutta
questa notte il vento.

Con lugubre sottil
stanco lamento
m’ha rapito ogni velo
d’oro e d’argento:
foglia su foglia,
adagio,
ad una ad una,
complice il gelo,
complice la luna.

Lieve la veste mia,
varia nell’aria,
tutta sussulto
e fremito incessante,
or si raccoglie ai piedi,
or lì davante,
si perde a lato
di prato in prato.

Che importa a me dei pini
qui vicini,
del salice piangente,
la siepe di ligustro?

È tutto vano,
tutto vano lustro
che dice poco,
che non dice nulla
a questo cuore
esangue di betulla.

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