Bertoldi Doride, (Anfibio Rana)

…a cura di Graziano M. Cobelli

Poesia

Per contattarmi scrivi a >>> gcobelli05@gmail.com

Don Doride

Chi è Don Doride Bertoldi (Anfibio Rana)


Personaggio di primissimo piano nel panorama della poesia in dialetto mantovano del Novecento è certamente il sacer­dote Doride Bertoldi, che assunse il nom de piume di Anfi­bio Rana per sottolineare la piena adesione della sua Poesia al mondo di mondine e risaie, di contadini poveri, di fossi e canali in cui spese quasi interamente la sua esistenza. Perso­naggio singolare e bizzarro, Doride Bertoldi era nato a Qui­stello nel 1869, figlio di un contadino che era anche il sep­pellitore comunale e di una casalinga. Trascorse gli anni del­l’infanzia nel pieno delle lotte del bracciantato contadino che tentava di uscire da quella condizione di vita miserabile che la sua Poesia, anni più tardi, descriverà con partecipe, umana compassione.
Nulla sappiamo circa la decisione di entrare in seminario nell’anno scolastico 1884-85. Sappiamo che frequenta gli studi con mediocre profitto e li conclude nel 1892, anno in cui viene consacrato Sacerdote. Dopo varie peregrinazioni come curato — intanto ha già scritto i primi versi in dialetto — ottiene la parrocchia di Villagrossa, un minuscolo agglo­merato di case raccolte intorno al campanile, abitato soltan­to da poche famiglie di affittuari e braccianti, un solo nego­zio, un solo artigiano, insieme sarto e barbiere.
Nel 1904, sotto lo pseudonimo di Anfibio Rana, appaiono i suoi primi versi e nel 1906 pubblica Nel regno di Merdocheo,otto composizioni in dialetto che contribuiscono a far na­scere la sua fama di Prete poco rispettoso delle regole, ma anche di Poeta d’occasione brillante e conviviale in possesso di un notevole “senso del ritmo e della misura strofica”. Nel 1910 dà alle stampe La müsa paisana, nell’aspro dialetto contadino, in cui si manifestano appieno le qualità di una vena ora sentimentale e malinconica, ora ironica o comica. Nel 1923 pubblica La müsa paisana con li fransi, dedicando­la a Ivanoe Fossati, direttore del quotidiano La Voce di Man­tova..
Negli ultimi anni gravi sofferenze lo costringono im­mobile a letto. Muore in solitudine il 23 marzo del 1931. Nel 1934 esce la seconda edizione de La müsa paisana con li fransi, che consacra la sua fama di Poeta dialettale, e nel 1962 la terza edizione, a cura di Enzo Boccola, presso il li­braio mantovano Celestino Peroni. Si dovrà tuttavia atten­dere il 1985 per vedere finalmente pubblicato, con criteri scientifici, a cura della biblioteca comunale di Caste! d’Ario per i tipi dell’editore Arcari di Mantova, il corpus pressoché completo delle sue poesie edite e inedite, introdotte da un ampio e importante saggio critico di Emilio Faccioli.

Bibliografia:
Poesie in vernacolo mantovano, Stabilimento tipografico Car­lo Barbieri, Mantova, 1904.
Nel regno di Merdocheo. Poesie in vernacolo mantovano, Sta­bilimento tipografico Carlo Barbieri, Mantova, 1906. La musa paisana, Stabilimento tipografico Binosi e Ponchi­roli, Mantova, 1910. Nadal. Versi in dialetto mantovano, Stabilimento tipografico Binosi e Ponchiroli, Mantova, 1910. La musa paisana con li fransi, Tipografia La Provinciale di A. Baruffaldi, Mantova, 1923. La musa paisana con li fransi, Tipografia La provinciale di A. Baruffaldi, Man­tova, 1934.La musa paisana, a cura di Enzo Boccola, Peroni Editore, Mantova, 1962. La musa paisana con li fransi. Poesie edite e inedite, a cura della Biblioteca Comunale di Caste! d’Ario, con una intro­duzione di Emilio Paccioli, G. Arcari Editore, Mantova, 1985. La musa paisana, copia anastatica dell’edizione del 1962, Edizioni Tre Lune, Mantova, 1997.

Don Doride2Pubblichiamo uno dei più famosi sonetti in uso tra i mantovani delle generazioni precedenti e dedicato a Sant’Antonio. Questo l’originale, tratto da “La Musa Paisana con li fransi” II° edizione datata 1937 in cui sono raccolti numerosi scritti del sacerdote Don Doride Bertoldi al secolo Anfibio Rana. Questa Poesia entrata nella tradizione popolare ha subito, a seconda della zona o del singolo paese, mutazioni dovute alla diversità della pronuncia e dei significati delle parole dialettali in essa contenuta. Rammentiamo che Don Doride Bertoldi ha scritto questo sonetto nel 1911 e che fu pubblicato in una prima edizione nel 1923 di cui riportiamo alcuni passaggi della prefazione di Em. Filiberto Martini: Nella feconda rifioritura della poesia dialettale italiana, un posto cospicuo tiene la provincia di Mantova, per merito, sopratutto di D. Doride Bertoldi, al secolo Anfibio Rana. Già prima della grande guerra europea egli – timidamente- tal è la sua umiltà e la sua modestia, aveva fatto capolino con qualche semplice, breve Poesia che trovò subito favore grandissimo nel popolo, il quale seppe apprezzare la vena facile, naturale, vivace; ed alcune, furono mandate a memoria e declamate nei vari ritrovi, come lieto intercalare ed allegro passatempo…”

***

La me Müşa

La me Müşa la fa la pescadora…
e tüt al dì la bagola in rişèra
e là in mès con n’oşina ch’inamora
la canta da matina infin a sera.

E sénpar sana e svèlta, la me Mòra!
mai ch’la s’rabisa, mai ch’la ş’daspera;
la par povreta e invece l’è na siora
parchè, siben ch’an par, tüti igh fa cera!

E mi agh vöi ben…e a mi la m’è sinpatica
con tüt ch’l’è vceta e stortiolina in schena
e che dli vòlti l’è un poctin lünatica.

Ma quand a vöi, però, l’è senpr’ in vena;
ch’ormai la gh ha ciapà csì ben la pratica
ch’la sifola in mantvan cme na sirena!

LA MIA MUSA: La mia Musa fa la pescatrice…/e tutto il giorno chiacchiera in risaia/e là in mezzo con una vocina che innamora/canta da mattina fino a sera.//E’ sempre sana e svelta, la mia Mora!/mai che s’arrabbi, mai che si disperi;/sembra povera e invece è una signora/perché, siccome che mi pare, tutti gli fanno complimenti!//E io che le voglio bene…e a me mi è simpatica/anche se è vecchiotta e storta in schiena/e che delle volte è un pochino lunatica.//Ma quando voglio, però, è sempre in vena;/che ormai ha affinato così bene la pratica/che fischia in mantovano come una sirena.

***

Sant’Antòni chisolèr
(13 gennaio1911)

Sant’Antòni chisolèr
che ai darsèt al vegn da Şnèr,
ècol chì con i so regai
con i so sòlit animai.

Con un fred, vöi dir da can;
come quaşi tüti i an,
col vent d’sora, o col garbin,
Sant’Antòni dal porslin

in sli pianti gh è la brina,
e li stròpi li s’ransina
in di fòs s’è fat al gias
e la nef la casca a stras,

Sant’Antòni, dala barba,
ai Mantvan l’è un Sant ch’agh garba
par fagh fèsta in piasa e in Ceşa
spöl dir fòrt, ch’in bada a spesa.

A Canpdèl, al Bondanèl,
a San Iacom, a Quistèl,
Sant’Antòni chisolèr
ch’al festegia i è i caşèr.

Sant’Antòni! Cal formai
tgnil lontan da tuti i guai,
dal taröl e dal scapin,
Sant’Antòni dal gugin!

Si … da brao…. e sti porsèi,
Sant’Antòni, fei gnir bèi;
fè chi vegna dü quintai
Sant’Antòni, sti animai!

In dal gioran ad Sant’Antòni
na s’ laora gnanch pr’insòni
che i festegia al Protetor
dle so bèstie i nòstar sior!

Se da far qualcoşa gh resta,
şà Domenica l’è fèsta;
ch’ a n’ gh è fèsti nè bon dì
par cert sior ai nòstar dì.

E i gh’ inpisa ’l lantarnin
la dadnans al quadartin,
ch’ a na sbruşa stala e fnil
e polèr foran e porsil.

Oh! Ai padron la gh’prem la stala;
mal da guai se al pret al fala
d’benediragh al bestiam
al na ‘l cüca cal salam!

Però tanti i gh l’inpromet
al cürat e a l’arcipret,
ma in da gnent, chi rasa d’can
tant a i pret che ai sagrastan.

E ch’al fola chi stradèi,
par amor da chi porsèi
da cli vachi, da chi bö
e pò dòp, in ültim …tö…

Fa da san e da bürat
e tö l’asan, sior cürat;
che salam !!! Ma gnanca mşüri;*
tö al codghin dli rascadüri !….

Ma però, pensandagh a sora
a mi am par chi s’disonora,
si al fa sol par l’ intares,
e i fa senpr a la pu pes!

Predicava in dal deşèrt
Sant’Antòni a bras avert
a le bèstie ch’i al scoltava
e nisüna la parlava.

Al leon al sia prüdent
pu prüdent ch’a nè al serpent
e ti lof, chi pigorin
lasi star, sèt? Poarin ?…

Ti, sfaciàda d’na siveta
con ch’ iocion, sta bona chieta;
e le bèstie, cmè i demòni,
i obediva a Sant’Antòni.

E i agnei i toşa adré
i a scordga fin ai pe,
fin la miòla i gh ciücia di òs
quand i pöl, chi brüt balòs!

Sant’Antòni chisolèr
l’è rivà a i darsèt da Şnèr
con i sòlit soi regai
con i so sòlit animai.

*Mşüri: una salsiccia, che veniva donato al parroco dopo la benedizione della stalla nel giorno di Sant’Antonio Abate. Misura, piccolo salame delle dimensioni di un salsiccia.

SANT’ANTONIO DELLA SCHIACCIATA (FOCACCIA): Sant’Antonio della schiacciata/che al diciassette vieni di Gennaio,/eccolo qui con i suoi regali/con i suoi soliti animali./Con un freddo, voglio dire da cani;/come quasi tutti gli anni,/con vento freddo, o con il garbino (libeccio),/Sant’Antonio del maialino/sulle piante c’è la brina,/e i polloni si arricciano/nei fossi si è fatto il ghiaccio/e la neve cade a stracci,/Sant’Antonio, dalla barba,/ai mantovani è un Santo che gli garba/per far festa in piazza e in Chiesa/si può dire forte, che non badano a spese./A Campitello, a Bondanello,/a San Giacomo, a Quistello,/Sant’Antonio della schiacciata/chi lo festeggia sono i casari./Sant’Antonio! Quel formaggio/tenetelo lontano da tutti i guai,/dal tarlo e dal sapore sgradevole,/Sant’Antonio del maialino!/Si …da bravo …questi maiali,/Sant’Antoni, falli venire belli;/fa che arrivino a due quintali/Sant’Antonio, questi animali!/Nel giorno di Sant’Antonio/non si lavora nemmeno per sogno/che si festeggia il Protettore/dello loro bestie i nostro padroni!/Se da fare qualcosa resta,/già Domenica è festa;/che non ci sono ne feste ne buon giorno/per certi ricchi ai nostri giorni./E gli accendono il lumicino/la davanti alla sua immagine,/che non si bruci stalla e fienile/e pollaio forno e porcile./Oh! Ai padroni gli preme la stalla;/male e guai se il prete fallisce/di benedire il bestiame/non prende quel salame!/Però tanti glielo promette/al curato e all’arciprete,/ma non danno nulla, quella razza di cani/tanto ai preti che ai sagrestani./E che calpesti quelle stradelle,/per amore di quei porcelli/di quelle mucche, di quei buoi/e dopo, in ultimo …prendi…/Fai il sano e da purificatore/e prendi l’asino, signor curato;/che salame!!! Ma nemmeno salsicce;/prendi il cotechino degli scarti!…/Ma però a pensarci su/a me sembra che ci disonorino,/si fa solo per l’interesse,/e loro fanno sempre la peggio!/Predicava nel deserto/Sant’Antonio a braccia aperte/alle bestie che lo ascoltavano/e nessuna parlava./Il leone sia prudente/più prudente del serpente/e tu lupo, quei pecorini/lasciali stare, sai? Poverini? …/Tu, sfacciata di una civetta/con quegli occhioni, stai buona e quieta;/e le bestie, come i demoni,/ubbidivano a Sant’Antonio./E gli agnelli li tosano alla pelle/e li pelano fino ai piedi,/fino al midollo gli succhiano le ossa/quando possono, quei brutto farabutti!/Sant’Antonio della schiacciata/è arrivato il diciassette di Gennaio/con i soliti suoi regali/con i soliti animali.

La filastrocca non è da attribuire nella sfera delle poesie, per il linguaggio usato e l’argomentazione specifica nel contesto della festa di Sant’Antonio Abate, andrebbe spiegata nella sua composizione, il parroco poeta tratta luoghi e personaggi nell’ambito della parrocchia di Villa grossa.

***

↓