Zattera Claudio Maria

… a cura di Graziano M.CobelliPoesia

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Claudio Maria Zattera

Nasce a Verona. Perito industriale, frequenta la Scuola Militare Alpina di Aosta, divenendo sottufficiale degli Alpini. Ritornato alla vita civile, si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Padova. Consegue l’incarico di dirigente per la sicurezza sul lavoro nell’impresa del settore ferroviario per cui lavora. Nel contempo la sua attenzione per il mondo letterario, nonché la sua indole di innamorato della “Poesia”, si fa più esigente e approfondisce lo studio degli autori classici e moderni frequentando corsi e seminari di scrittura creativa e tecnica poetica. Partecipa alle iniziative di importanti Associazioni Culturali Poetiche Veronesi ricevendo per le sue poesie, che trovano spazio in numerose antologie e raccolte, lusinghieri consensi. Nel 2011 scrive il suo primo romanzo “Dialogo ininterrotto – Storia di un Amore Veronese”, 371 pagg, edito da Bonaccorso Editore. Il romanzo racconta la storia di un amore vissuto, dai due protagonisti, come unico e irripetibile, un miracolo che l’autore sente il bisogno di comunicare per testimoniare come il significato ultimo della vita risieda nell’amore vero, quello spesso trascurato dalle giovani generazioni; nel 2014 esce la raccolta di poesie “Le poesie rincasano al tramonto”, spirale alchemica, in versi, distesa tra ricordi, speranze e proposta stilistica, raccolta che contiene il brano “La via del ritorno”, premiato nello stesso anno con la Targa di merito del – Premio Alda Merini di Poesia – dell’Accademia dei Bronzi.

 
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LA MIA CITTA’

La mia città ha merlo ghibellino,
piantato sul castello di Cangrande.
S’andava con mio padre, io bambino,
e gli facevo un sacco di domande.

 Seguo dal ponte il volo dei “cocai”,
il fiume stringe al cuore la sua terra
d’amore e di passione, quieta mai,
sussulto di beltà d’un fior di serra.

 Ti conosco Verona, scosciata e pia,
donna suadente di vicoli oscuri
o devoto graffito d’Ave Maria.

 Non sei cambiata e sono rimasto
immobile, nascosto dietro i muri,
ad aspettar l’inizio e il suo contrasto.

 Nel tuo ventre, io, figlio d’autunno,
imparai la vita, sbadato alunno.

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LA VIA DEL RITORNO

Lunga sarà la notte
che mi riporta l’ora che ti ho perso.
L’oscurità dimentica il colore
del sole e non immagina né lampi
né fuochi, né azzurri raggi di voci,
ma il riflesso dell’ombra in cuore trema
come un merletto d’angelo in attesa.
L’anima parla trasparente e, densa,
sullo specchio d’ottone si tradisce.
Se qualche volta ho pianto non so dove
sia finito il lamento se polvere
è rimasto e non goccia, o stilla, o pioggia.
Venga la solitudine, tra falci
di luce, tra la crepitante e spessa
cartilagine d’un urlo d’amore
che non s’espande più in là del vertice
obliquo e vergine dell’abbandono.
Perché non insegnano ai morti
la via del ritorno?

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