8 – FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO: “Divagazione seconda: fade e anguane”

…a cura di Aldo RidolfiPoesia

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FIGURE DELL’IMMAGINARIO LESSINICO


     8. Divagazione seconda: fade e anguane

10 La-regina-delle-fade

     Anguane e fade o, forse, anguane o fade?          Ossia, in altre parole, tra anguane e fade c’è un rapporto di somiglianza e addirittura di sovrapponibilità, quasi che i due termini fossero a loro modo dei “sinonimi”, oppure l’uso di due parole così etimologicamente lontane sottolinea una distinzione che va mantenuta, anzi, sottolineata?
Nella quarta puntata ci siamo dilungati  a tracciare una confusa carta di identità delle anguane, proviamo analoga operazione con le fade.
Già Aurelio Garobbio avverte sulla possibile confusione tra anguane e fade e ancor più tra fade e fate: queste aiutano gli uomini, quelle lo fanno solo in qualche caso che non cancella una violenza diffusa e contraddittoria che le caratterizza. La doppia natura delle fade è subito avvertibile: non solo ingarbugliavano le matasse della lana, cosa che può essere considerata un antipatico scherzetto, ma si nutrivano di carne umana e appendevano, con macabro gusto, cosce umane alle porte di incauti montanari. Se la prendevano perfino con i bambini rapendoli alle loro famiglie e cibandosene!
Belle e leggiadre, capaci di sedurre e far innamorare perdutamente gli uomini, nascondevano però con cura talune caratteristiche decisamente non affascinanti: il loro corpo era cavo oppure era coperto di cortecce d’albero, i loro piedi erano caprini e folti peli coprivano ampie aree del loro corpo. Sottostavano a leggi ferree che i loro uomini dovevano rispettare, se non lo facevano il loro destino era segnato: diventavano serpi o altri animali e talvolta, per questo, venivano uccise dai loro stessi uomini. Anche le fade stendevano il bucato di notte, come le anguane, e c’è da pensare che anch’esse camminassero sulle funi e gridassero per spaventare gli uccelli che inzaccheravano la loro biancheria.

    C’è Erbesina la fada nana, abbandonata dalla madre perché nana, trova ospitalità tra gli uomini con i quali instaura un rapporto di fattiva collaborazione.
C’è Calamita, la fada che abitava nel Covolo di Campisilvano e che tanto desiderava trascorrere la vita con un uomo, di fatto, però, condannando il malcapitato a vivere perpetuamente entro una caverna.
C’è la fada generosa del monte Lasta che avendo avuto una figlia da un uomo viene scacciata dalla sua comunità e costretta a lavorare: darà lezione di onestà agli uomini stessi.
C’è la Regina delle fade: abitava nel sottosuolo del Parparech ma spesso usciva a stendere il suo bellissimo vestito che una volta le venne incautamente sottratto da una montanara.
Ci sono le fade del Monte Sabbionara, generose di consigli ai montanari, ma una di esse si innamora di un uomo che attira nella sua tana sotterranea, ove scompariva la magia della sua bellezza; fada di buoni costumi, questa, perché alle insistenze del giovane di essere lasciato libero la fada gli concede, sia pur con la disperazione nel cuore, tale privilegio.
Particolare è anche la fada Graziosa dei Tureri che dopo essere stata ad un filò e aver fatto innamorare di sé un giovane, se ne va camminando a ritroso per non mettere in evidenza la sua schiena cava.

    Mah. Davvero non siamo giunti ad una conclusione.
Luigi Spina, in una approfondita analisi – reperibile in rete – attorno alla figura delle sirene, cita Norman Douglas, il quale, con perfetta e convincente ironia, nel 1929, così scriveva. Le sirene, dice uno, sono «l’incontro del Golfo di Napoli. No, dice un altro, erano caste sacerdotesse. Non erano né caste né sacerdotesse, ma proprio il contrario…». Cui segue il commento dell’Autore: «Seguire tutti i tentativi di risolvere l’enigma ricorrendo all’etimologia, o alla mitologia comparativa o all’iconografia significherebbe fare la storia… della nostra cultura», cioè ripercorrere simboli e figure lontane nel tempo e nello spazio. Ma anche così vicine, vicinissime, da essere dentro di noi.
Qualcosa del genere vale anche per le nostre figure mitiche lessiniche.
Ma ancora queste non sono questioni decisive. C’è qualcosa che è ancora più …. per noi e che ci riguarda come uomini del Terzo millennio. E cioè: che fine hanno fatto quei miti e quali sono quelli che oggi avvolgono il nostro mondo. Sono altri o sono sempre gli stessi che si presentano in modi e con forme diverse?
Ma questa – come di dice sempre in questi casi – è un’altra storia.

Aldo Ridolfi – (8 continua)

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