5. Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: L’abate Bartolomeo Lorenzi, terza parte

…a cura di Aldo Ridolfi

Poesia

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5. L’abate Bartolomeo Lorenzi, terza parte

Nel 1785 Lorenzi conferma il suo interesse per l’agricoltura con una «bellissima dissertazione sui “Pregi dell’Agricoltura”». Poco dopo è chiamato a dirigere spiritualmente il Collegio militare in Verona e tiene il ruolo per otto anni fino alla scomparsa dell’istituzione.
Ma ecco che il 30 aprile 1790 viene accolto nella veronese Accademia d’Agricoltura, Commercio, ed Arti. Lorenzi già è membro di parecchie accademie e del Bene le cita tutte, dagli Agiati agli Arcadi, dagli Etruschi agli Aspiranti. E subito, a Verona, gli viene assegnato il compito di valutare quanto il permesso di distillare grappe e rosoli compromettesse le riserve di legna da ardere. Poi – e qui si tratta di un impegno importantissimo e svolto con la sua nota abilità – gli viene affidato tra il 1781 e il 1814, quindi per ben ventitre anni, il compito di redigere le “Osservazioni agrarie”, «scrivendone con tal maestria, con tal vezzo, che ciascuna si può dire una gemma». Del Bene esprime nella sua relazione tutta l’ammirazione per questo lavoro: «sotto la penna del Lorenzi tutto si abbellisce di nuova grazia e di nuovi fiori».
Ma nell’infausto anno 1797, in seguito al Trattato di Campoformio, definito da Del Bene «impensato sovvertimento politico», cui seguì l’ingresso delle truppe francesi a Verona e le successive tragiche Pasque veronesi, Lorenzi abbandona ogni impegno cittadino e si ritira nella natia Mazzurega «libero di appagar il genio per la vita campestre». E questo fa non perché desidera «il sonno e l’inerzia» ché compone due tratterelli sopra il Salice viminale e sul Tempo migliore da letamar le terre per seminarvi il frumento. Gli amici poi lo spingono a pubblicare le sue poesie e ciò fa nel 1804. Nella raccolta si possono trovare componimenti di argomento sia civile sia religioso. E non è ancora tutto, perché a Mazzurega non smette «le fatiche auguste del sacerdozio… sempre adoperavasi nella chiesa sua parrocchiale» aiutando con la predicazione e con il catechismo «di cui era espertissimo». Nonostante il trascorrere del tempo e le malattie, «fu ammirevole per valore poetico, non mai fiaccato dagli anni». Non minori che quelle culturali sono le doti morali dell’abate: «non orgoglioso pel favore de’ grandi, compassionevole e liberale con i poveri… affabile con i minori senza avvilirsi».
Colpito da indebolimento dell’udito continua però a confessare e a pregare a lungo nella sua chiesa. Pochi anni prima di morire perde anche la vista di un occhio. È travagliato dalla stranguria che lo porta alla morte. Tuttavia il Venerdì santo predica per un’ora e mezza intorno ai patimenti di Nostro Signore. Muore tra i dolori ma non si lamenta «rincorato dalla speranza». Finché il 23 febbraio 1822 lascia questa terra a 89 anni e otto mesi. Le sue spoglie mortali sono rimaste a Mazzurega.

Aldo Ridolfi – (continua)

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