27. Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: “L’Estate – Ritratto del “villan””

…a cura di Aldo Ridolfi

Poesia

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ESTATE

Ritorna l’abate Lorenzi dopo lunga pausa. Le pause, almeno per me, sono le benvenute: permettono di riflettere – e forse di apprezzare meglio – il prima e il dopo. Accade così ovunque: ai pranzi come nelle letture, nei viaggi come nei dialoghi. La pausa alleggerisce, acquieta il battito cardiaco, fa respirare meglio. Già, perché con l’abate Lorenzi e le sue stanze occorre stare sempre in guardia: leggere e rileggere, consultare vocabolari, ricostruire la sua sofisticata sintassi, perfino lavorare di immaginazione dacché quel mondo a lui così famigliare a noi, nel terzo millennio, non lo è.
Però adesso è il momento di gustarci in sette od otto puntate altrettanti quadretti estivi di fine Settecento nelle nostre colline. 

         27. Ritratto del “villan”

Con la “State” – l’estate – Lorenzi si prende cura fin dai primi versi dell’allevamento del baco da seta. Una pratica che all’abate sta parecchio a cuore tantoché la porta avanti per numerose stanze. Innanzitutto non trova di meglio che rivolgersi al contadino che di tale pratica deve essere guardiano competente e attento, perché è necessario essere precisi e assidui nella conduzione dei bachi, data la delicatezza della mansione. Egli dunque intende:

Pregar il villan ch’oggi mi ascolti (stanza I)

Rampogna che peraltro non è nuova se già nell’“Inverno” aveva espresso l’auspicio che il contadino mai dovesse demordere dal suo impegno: «Duri il villan che col pendio contende» (“Inverno”, XIX) alludendo con questo al quotidiano confronto con il terreno in riva come si direbbe nel nostro dialetto.
Con il baco da seta, poi, il villan deve superare se stesso: il «calloso villan con la man dura» deve essere ben più sensibile con il baco: sia «molle il tocar»! (stanza XXXIII). Quasi di mettere in atto una magia è questa richiesta fatta ad un uomo abituato, per la natura del suo lavoro e per l’asprezza dei luoghi, ad essere forte e rude.
Ma è nelle stanza LXXX che il villan viene, con maggiore impeto e precise accuse, preso di mira. Ascoltate:

Il villan che sa troppo le sue colpe,
e sta in pensiero di cangiar signore,
astuto nel suo cuor come volpe
qualche scusa ritrova al proprio errore.

C’è raccontata tutta l’astuzia maliziosa e sottile del contadino: egli conosce bene qual è il suo compito, sa di aver commesso degli errori, talvolta anche per negligenza, e teme le punizioni del signore, al punto tale che pensa di cambiare padrone per sfuggirvi. E tuttavia è obbligo ricordare che questo «cangiar signore» si rivelava una faccenda piuttosto complicata e colma di disagi, voleva dire trasferirsi da un podere ad un altro trasportando le poche cose possedute e le persone – vecchi, bambini, donne incinte – sotto la pioggia, con il freddo, su strade infangate e via dicendo. Al terzo verso compare lapidaria e smascherata la subdola astuzia contadina, paragonata a quella della volpe. Che è tutto dire: la volpe agisce in silenzio, protetta dal buio, senza far rumore. L’astuzia del montanaro, secondo la ricostruzione che ne fa Lorenzi, è paragonabile a quella della volpe, ma va anche oltre perché cerca scuse a giustificazioni per suoi sbagli.
Anche la strofa che segue (LXXXI) non lascia spazio a possibili riscatti da accuse tanto “gravi”:

Finge inutil cagioni. Il suolo inetto
accusa, i tempi, il cielo, la fortuna,
gli augelli, i vermi, il variato aspetto
de la stagion, de la mutabil luna

Il villan si aggrappa, per giustificarsi, ad ogni possibile appiglio: dalla sterilità del suolo all’influsso dannoso della luna, dai mutamenti climatici al caso. C’è, nelle parole di Lorenzi, l’ironia ma anche la precisa denuncia dell’irrazionalità dell’uomo dei campi: ignorante e vanamente orgoglioso tanto che:

mai se stesso non riprende.

È una condanna chiara e netta ancorché esposta con la soave musicalità delle ottave.
Ma Lorenzi non accusa in toto il contadino, egli bensì, come spero mostreremo nella prossima puntata, difende e comprende il villan e la sua gente.

(Aldo Ridolfi, continua)

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