16. Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: “Primavera: L’incisione di apertura: la pratica dell’innesto””

…a cura di Aldo Ridolfi

Poesia

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Marzo è il mese della primavera: un risveglio che si ripete ogni anno, un ritorno del sole e della luce che neanche il mondo tutto artificiale di oggi ci ha fatto dimenticare.
E noi, in questa Primavera vogliamo entrare con l’abate Lorenzi e con il suo imponente poema La coltivazione de’ monti.
Ci entriamo con la prima delle dieci puntate con le quali cercheremo di sondare l’universo primaverile dell’abate di Mazzurega. Le 155 stanze, fanno oltre 1200 versi: con le mie forze sarà possibile solo qualche frettolosa incursione, ma chi fosse curioso può ugualmente dare un’occhiata. Grazie.

PRIMAVERA

16. L’incisione di apertura: la pratica dell’innesto

Il secondo canto, la “Primavera”, si apre con un’incisione. La scena ritrae il giardino interno di una villa: sopra un piedistallo sta un’elegante statua di Mercurio, su un altro una grossa anfora contiene un alberello. Vi insistono tre persone: due giovani visti di fronte e una terza ripresa da dietro, in compagnia di una cane. Quest’ultima indossa un pesante cappotto gettato sulle spalle e in testa tiene un tricorno, ha tutta l’aria di essere il nobile proprietario della villa. Sta evidentemente conversando con uno dei due giovani che gli si rivolge indicandogli con la mano sinistra il lavoro che il suo compagno sta portando a compimento. Il giovane nell’altra mano tiene una roncola, strumento necessario a svolgere un’operazione quanto mai delicata e quanto mai magica: la pratica dell’innesto. Il secondo giovane inginocchiato a terra sta ultimando l’operazione di innesto: ha già inserito le due marze con la tecnica dello “spacco” e ora sta legando energicamente il tutto per facilitare l’attecchimento.
Qui da noi si diceva che i “calmi” si dovevano fare con la luna de febraro perché dopo, quando la piante prendevano la piena vegetazione, sarebbe stato troppo tardi. Né si poteva effettuare questa operazione in anticipo perché le marze no le se tacarea, essendo il ciclo vegetativo ancora lontano.
Molti erano gli argomenti relativi alla primavera che si potevano proporre con un’immagine, ma certo la pratica dell’innesto ben si attaglia all’arrivo della bella stagione. Ancora una volta i lavori, ben lungi dall’essere avulsi dalla realtà climatica, ricalcavano l’andamento stagionale armonizzando le persone con lo scorrere del tempo. E vi partecipavano tutte le fasce di età. Anche noi bambini. Fino agli anni Cinquanta (mi si perdoni il “mantra”).
Assistevamo con una curiosità indiscutibile alle operazioni d’innesto: «Eco chi ghe incalmeno un bruto e bon». Sul portainnesto si fissavano, generalmente con la tecnica dello spacco, dei nesti della qualità di pere o mele che si ritenevano utili per l’economia familiare. Noi bambini si sapeva, in virtù della fiducia negli adulti, che da una pianta da niente, da lì a qualche anno si sarebbero mangiate delle pere grosse così. E dolcissime.
Ma intanto si prendeva confusamente atto che era possibile entrare in magiche alchimie. Come potesse accadere che quel rametto da lì ad un mese mettesse foglie e altri rametti e nel giro di qualche anno diventasse una pianta da frutto, non si capiva, non si sapeva. Rimaneva la meraviglia. Rimaneva la gioia di piegare una pianta alla tua volontà. Che non appariva mai un capriccio ma sempre una necessità.
Gli antichi sostenevano che quando le operazioni di innesto uscivano dall’alveo del giusto e del lecito (per esempio innestando troppe varietà di frutti su uno stesso portainnesto), su quel mostrum si scatenavano i fulmini. Noi siamo certi che questo non accade, ma il fascino, la serietà, la curiosità con cui in primavera si facevano gli innesti hanno conservato fino ad oggi tutta la loro magia, tutto il loro mistero.
Un modo metaforico e paradigmatico di stare al mondo, di interagire con la natura. Forse anche di essere – consapevolmente o meno – green.

(Aldo Ridolfi, continua)

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