31. Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: “L’Estate – La spigolatrice”

…a cura di Aldo Ridolfi

Poesia

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         31. La spigolatrice

Attorno alla raccolta del frumento si aggirava un’altra figura caratteristica, la spigolatrice. Noi ne sappiamo ben qualcosa da quando, ancora nelle classi elementari, la maestra ci “imponeva” a memoria “La spigolatrice di Sapri” di Luigi Mercantini: “Me ne andava un mattino a spigolare…”. “Spigolare” era il compito di chi, povero in canna, si recava nei campi di frumento già mietuti a raccogliere le spighe sfuggite ai mietitori e abbandonate nel campo. Il verbo non fa riferimento solo allo spigolare il grano, ma ben si adatta anche all’uva o alle mele o alle noci e qualcosa di quell’antica pratica sopravvive ancora oggi per esempio nei confronti delle mele.
L’abate Lorenzi, comunque, fa preciso riferimento alla spigolatura del grano e alla donna che la pratica: la spigolatrice, appunto. Così egli ne parla:

Né a la spigolatrice il passo nieghi,
che a raccorsi del pan pe ’l verno intesa
vien tra la speme e tra ’l timor sospesa. (stanza LXXXIX)

Il diritto alla spigolatura, terminate le operazione della raccolta, era sancito fin dai tempi biblici: nessuno lo neghi tuona Lorenzi. La donna che si umilia a tale pratica vi è spinta dal bisogno di avere del pane per l’inverno, non va né per capriccio, né per rubare. È persona umile e rispettosa, basta osservare come si comporta: è “sospesa” tra la speranza di essere accolta e di riuscire a mettere insieme un bel po’ di spighe e la paura di essere cacciata dalla proprietà. E tuttavia la donna, forse una mamma, forse una giovane mandata dalla famiglia povera, trova dentro di sé il coraggio di inoltrarsi nel campo. Pur senza leziosità, Lorenzi prova simpatia e ammirazione per questa figura. Invece è inflessibile nei confronti di quel proprietario che intendesse impedire la pratica della spigolatura. È sufficiente un solo verso per siglare una condanna netta e senza possibilità di redenzione:

Empio chi la riprende, o le dà impaccio.

Nel verso successivo sviluppa la condanna sociale che questi merita:

Degno che un dì peregrinando vada
tra la sete e ’l digiuno al caldo al ghiaccio
senza pietà per barbara contrada.
Sol di que’ spighi, che fuggir dal laccio
su ’l capo del covon, perché non cada,
questo e quello raccoglia; e gli altri lassi
senza voltarsi indietro, e innanzi passi. (stanza XC)

Sovviene, per un attimo, il III canto della Commedia quando è Caronte a ricordare ai due pellegrini che quelle anime “prave” sono destinate per l’eternità “in caldo e ‘n gelo”: la maledizione di Lorenzi, dunque, non è men grave di quella dantesca. E tuttavia Lorenzi mette in guardia anche la spigolatrice affinché quel suo raccogliere non sfiori il sospetto di furto: non raccolga altri spighi, cioè non approfitti dei covoni, e vada avanti per il campo, senza voltarsi indietro. Con questa ultima espressione penso che l’abate si riferisca all’atteggiamento del ladruncolo che si guarda attorno sospettoso prima di compiere il furtarello.
La spigolatrice di Lorenzi è una tessera dell’ideale di perfezione e di saggezza che solo poteva germogliare dalla vita campestre: l’umiltà insita nell’operazione dello spigolare, la responsabilità di garantire un poco di pane alla famiglia, la dignità della donna che teme di essere cacciata, tutto rimanda ad un superiore equilibrio lontano da ogni dolore, da ogni ingiustizia, da ogni violenta protesta.
Ma i furti campestri, talvolta perpetrati dai vicini di contrada e resi necessari dal cattivo andamento stagionale sono continuati fino agli anni Cinquanta, quando il lento formarsi del tessuto industriale, anche da noi, ha reso non più necessaria questa vergognosa pratica del furto campestre, tanto più riprovevole quanto attuata a danno di famiglie ancora più povere.
Ma questo è un altro discorso: la dignità della spigolatrice, di ieri e di oggi, rimane intatta.

(Aldo Ridolfi, 5 continua)

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