10. Della coltivazione de’ monti dell’abate Bartolomeo Lorenzi: “La famigliuola”

…a cura di Aldo Ridolfi

Poesia

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10. Della coltivazione de’ monti: La famigliuola”.

Già abbiamo visto come un altro abate, il Pellegrini, nel suo viaggio verso il Ponte di Veja, nel 1785, in una modesta casetta di contrada Giare, abbia incontrato la famigliuola ideale. C’è l’anziana Madre e ci sono «tre adulti figli, le caste mogli, i picciolin nipoti…»: così gli appare il quadretto familiare. Ogni cosa è avvolta dalla serenità, ogni persona occupa armoniosamente il suo posto; assente è ogni contrapposizione, ogni astio, ogni rivalità. (Vedi su questo sito:Giuseppe Luigi Pellegrini, abate e conte, in escursione al Ponte di Veja”)
Ebbene, l’abate Lorenzi non è da meno.
Nella stanza XXXV egli coglie il momento conclusivo della lavorazione di certe bacche che forniscono un ottimo olio per le lucerne. Ecco la scena immaginata, ma certo anche vissuta spesso a Mazzurega. Il padre ne occupa il centro: è la figura carismatica, l’autorità indiscussa, giustifica la P maiuscola che l’autore gli riserva. Qui il gesto del padre di esibire l’olio non è l’atteggiamento del padre-padrone, ma quello pedagogico del padre che mostra alla famiglia il frutto del lavoro, indicando con ciò anche la via maestra della vita. Non sembra esserci nessun severo pater familias, piuttosto si avverte la presenza di una saggezza riconosciuta capace di generare un prestigio indiscusso. Senza forzature, senza la necessità di prendere posizione, di imporsi. Anche senza psicologismi.
Quel padre è lì, accanto ai figli: «Fra la dolce schiera dei figli». E che di schiera si dovesse parlare tutti noi lo sappiamo bene, ché le nostre nonne mettevano al mondo otto-dieci figli, mentre le nostre madri, che hanno figliato appena dopo la guerra, avevano provveduto a ridimensionare notevolmente la prole portando a non oltre il numero medio di tre o quattro pargoli. Dopo, la quota è scesa ancora.
L’incontro tra il padre e «la dolce schiera dei figli» avviene attorno al focolare, il luogo forse più intimo della casa. Lì, in alcuni momenti importanti della giornata, era possibile riscaldarsi dai rigori dell’inverno e, assieme a quel tepore, vivere anche la sicurezza offerta dal nucleo familiare.
Ciò ai tempi di Bartolomeo Lorenzi, ma anche, con minimi cambiamenti, al tempo della nostra infanzia, quella appena post bellica, nel corso degli ormai dimenticati anni Cinquanta. Le dinamiche abitative ed affettive si somigliano come due gocce d’acqua, nonostante siano separate da duecentoquarant’anni. Ma con il 1954 arriva la televisione. In verità nelle colline ciò si è verificato con quasi un decennio di ritardo, ma conta poco. La novità televisiva ha sminuito, complici molti altri fenomeni sociali, la centralità del focolare, e portato la famiglia in “salotto” a guardare e commentare, assieme, “Lascia o raddoppia” o “Carosello”. Ancora una volta vengono confermati gli anni Cinquanta come macroscopica linea di faglia tra due epoche.
È, quello di Lorenzi, un mondo bucolico, una filosofia agreste, un immaginare arcadico che potrebbe far pensare ad una negazione della dura e sofferta realtà vissuta nelle colline, o, almeno, ad una sua deformazione. E certo può essere vero, ma, se ci si riconosce il titolo di persone informate dei fatti e in quanto testimoni oculari, noi possiamo ben confermare come le cose andassero veramente così, come ci ha raccontato Lorenzi. E appigli a sostegno ce ne sono altri, come nella stanza CXLI dove compaiono altre figure emblematiche di quell’epoca: il fanciullo che torna sul far della sera con il suo carico di legna secca: «Torna il fanciul dal bosco ed al camino / porta d’aride legne un fascio accolto»; e subito dopo una seconda figura contribuisce a concludere bene la giornata: «altri a la cena / di silvestri erbe una cestella ha piena»; altri ancora ha pensato bene di ritornare con la pianta – ornamentale ma anche utile – dello scotano: «chi vien dal colle a la magion vicino / ove il dorato cotino ha raccolto»; e, per finire, non poteva mancare «l’ozioso pastorel» che, catturato «l’edace tordo, e il merlo negro / torna a casa di sua preda allegro»
Ecco: la luce fioca della finestra, il ricostituirsi della famiglia, il contributo di ognuno all’economia familiare uniscono, a distanza di secoli, modi di sentire e di vivere molto simili.

(Aldo Ridolfi, continua)

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