Rumiz Paolo – “La cotogna di Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna”

…a cura di Elisa Zoppei

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Paolo Rumiz

Note biografiche

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Inviato speciale del Piccolo di Trieste, si candidò senza successo nel capoluogo giuliano per L’Ulivo alla Camera dei Deputati nel 1996. In seguito divenne editorialista di la Repubblica. Dal 1986 si è occupato degli eventi dell’area balcanica e danubiana; negli anni Novanta, durante la dissoluzione della Jugoslavia, fu corrispondente in Croazia e Bosnia-Erzegovina. Nel novembre 2001 fu inviato ad Islamabad, e successivamente a Kabul, per documentare l’attacco degli Stati Uniti d’America all’Afghanistan talebano.
Molti dei suoi reportage narrano i viaggi compiuti, sia per lavoro che per diletto, attraverso l’Italia e l’Europa. Nell’estate del 1998 pedala in bicicletta da Trieste a Vienna in compagnia del figlio Michele. Pubblica il reportage un Diario Dove andiamo stando: le parole sono ponti, nel quale Rumiz viaggia da fermo, volontariamente recluso sul faro di una piccola isola del Mediterraneo. Egli, narrabondo triestino racconta l’avventura del vivere e come in quel celebre racconto di Borges dove un uomo, senza saperlo, disegna il proprio ritratto narrando il cammino della sua intera vita, così Rumiz nel suo cammino di scrittura lascia tracce di sé dalle quali esce fuori il volto di un uomo  e forse ciascuno di noi vi si potrebbe riconoscere.
Anche questo romanzo/ballata per tre uomini e una donna, è un viaggio a più mete. Si consiglia di leggerlo con l’ardore di chi ha sete di storie, e ha voglia di ascoltare e di ascoltarsi.

Per  maggiori dettagliate informazioni sulla produzione letteraria di Rumiz, i numerosi riconoscimenti e premi ricevuti, vedere https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Rumiz

La cotogna di Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna (Feltrinelli,2010)

Una delle finzioni messe in atto da scrittori antichi e moderni è quella di avvisare i lettori di aver  scritto una storia narrata da qualcun altro. Così accade anche per questa, che, Paolo Rumiz, dice di  trascrivere per averla ascoltata dall’ingegnere austriaco Max Altenberg, aitante fascinoso cinquantaquattrenne divorziato, che nelle lunghe sere d’inverno, la raccontava a voce alta ad amici, bambini e forestieri, accanto a un fuoco acceso. Era una storia, passata di bocca in bocca come nelle ballate del buon tempo antico e parlava di un mondo amato e perduto, soffuso di luci, ombre e atmosfere ambrate tipiche dei paesi balcanici dilaniati dalle guerre intestine, ma scoppianti, pur tra le macerie, di una mai arresa bellezza. Gli dava vita col suono rotondo delle parole, e mentre raccontava intrecciava secoli attraversati dalla forza di un amore disperato. Era una vicenda incastonata nella realtà atroce della guerra e della morte, ma anche fiorita di paesaggi maestosi, condita di ineffabili visioni e di domestiche intimità. Raccontava Max come un nonno ai nipotini, camminando sulle strade del mondo con il ritmo periodico delle antiche fiabe e il suo racconto sempre si fermava sulla soglia del canto e della rima. Perché non andasse perduta, Rumiz ha raccolto questa “storia bosniaca di sangue e di miele… La storia della cotogna, che ribaltò la vita di un uomo forte, con una canzone sentita da una donna a Sarajevo, e l’ha tradotta in scrittura, usando la forma e la cadenza poetica delle antiche ballate romanze. E dai versi della canzone emerge un passato ancora sanguinante di guerre funeste che coinvolsero famiglie, paesi e città balcanici. Riemergono figure di statura eroica come Ljuba la nonna della bella Maša dai lunghi capelli ramati, che era stata internata per avere aiutato i partigiani ed era morta nel lager croato di Jasenovac, marchiata col numero 184509. Riaffiorano anche gli scontri dei rispettivi padri su fronti nemici nella battaglia della Neretva, ma cessato il fuoco ormai da cinquant’anni, in una serata fredda e nevosa, ora adulti e provati dalla vita (lei vedova a divorziata) Max e Maša si incontrano casualmente. È una sera contornata di mistero e magia: fuori cade la neve, ma nella casa calda e accogliente di Maša, l’austriaco viene colpito al cuore. La  figura austera e selvaggia della donna, la sua bellezza inaccessibile, viso da tartara, femori lunghi occhi come grani di uva nera e chioma fluente color rame scuro, lo fanno impazzire come tutti i maschi di Sarajevo. Qualche sera dopo ella canta per lui, sciogliendo nella voce l’ardore di una triste antica storia d’amore e di morte: l’innamorato non era riuscito a recare in tempo il miracoloso frutto della mela cotogna di Istanbul per salvare la vita alla fanciulla amata. È una canzone foriera di un avverso destino anche per Max e Maša, colpiti dalla freccia incandescente dell’amore, ma impossibilitati per ora a viverlo insieme. Si attenderanno per tre anni, mentre Sarajevo stroncata dalle guerre intestine si dibatte sconsolata fra i richiami dell’Oriente e i bisogni dell’Occidente. Max non smetterà mai di cercarla in ogni dove, percorrendo a  piedi vie strade di paesi e città, attraversando mari e monti fin che un giorno la trova. Sì, la trova ormai gravemente minata dalla male del secolo, completamente calva e rassegnata al suo destino, ma la tiene viva la fiamma ardente del suo cuore innamorato. E l’uno nelle braccia dell’altro si abbandonano alla potenza della loro passione, coinvolgendo cielo e terra, fra tempeste ventose e giorni solari, ebbri soltanto di amarsi ogni frazione di secondo sempre di più.

Vorrei che la storia finisse qui, ma non è così .

Vi aspettano lettori miei, pagine e pagine di un ineffabile rapporto d’amore, che andrà oltre  il tempo e sconfiggerà la morte, consacrando questa storia all’empireo delle grandi storie d’amore di tutti i tempi.

Buona lettura

Vs Elisa

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