Dische Irene – “La nonna vuota il sacco”

…a cura di Elisa Zoppei

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Per le tue domande scrivi a >>> elisa.zoppei@gmail.com

Amici carissimi siamo in clima di ripresa dopo la sosta estiva, visitata in ultimo dai cataclismi che hanno portato distruzione e morte nel cuore del nostro Paese. Dedichiamo un pensiero di cordoglio e di conforto a quanti ne sono stati colpiti e li abbracciamo fraternamente.

Per  inaugurare la stagione pre – autunnale del nostro Angolo della Lettura ho per voi una storia che pur attraversando i drammi di una famiglia ebreo tedesca dell’epoca nazista (potete immaginare quante ne hanno passate), mantiene alto il morale e racconta eventi importanti e aneddoti quotidiani con saporoso umorismo tragicomico, affidato alla voce narrante della protagonista, Elisabeth, una simpaticissima nonna “in corriera” con uno spirito ardimentoso, lingua sagace, e carattere intrepido. Ma quello che risulta piacevolmente sorprendente, è che questa attempata signora teutonica diventata cittadina americana è proprio la nonna dell’autrice Irene Dische, famosa come scrittrice in lingua tedesca di storie per adulti e per ragazzi. La lettura del romanzo La nonna vuota il sacco mi è stata caldamente raccomandata dall’amica Anna Solati, ex professoressa di matematica riverita e temuta, esperta di biografie storiche e fervida promotrice di eventi culturali. Grazie Anna da tutti noi. DISCHE Irene

Irene Dische

Note biografiche: Irene Dische nacque a New York, mercoledì 13 febbraio 1952, dall’unica figlia di Elisabeth, Renate, virtuosa di pianoforte, donna impavida e determinata a conquistarsi un posto di rilievo nel campo della medicina patologica, e da Zacharyas Dische, chiamato sempre e solo Dische, genio della biochimica in predizione di premio Nobel. Una coppia di genitori fuori dalle regole, secondo Elisabeth, per cui fin da bambina Irene fu considerata dalla nonna come persona strana complicata e particolare, dotata di una formidabile natura ribelle.
Le note biografiche della nostra Irene risultano scarne nei siti ufficiali on-line, ma ce le offre lei stessa copiose e inedite per bocca dell’intraprendente nonna, la quale nelle pagine del suo racconto, rivolta la nipote come una frittata piuttosto strapazzata. Ma nonostante ciò, Irene  prima bambina, poi ragazza e infine donna, rimase indenne, indifferente e puntigliosa a non lasciarsi né scalfire né assoggettare da nonneschi rimproveri, consigli ed esortazioni. Un bel caratterino, diamine, da permetterle nel 1969 di viaggiare per il mondo, di lavorare dal 1970 al 1972 come antropologa con l’etnologo Louis Leakey in Africa Orientale, di studiare ad  Harvard, pubblicando i primi reportage nel New York Edition e nella rivista di economia politica Nation, di trasferirsi infine a Berlino nel 1977, dove tuttora risiede, e di intraprendere qui la brillante carriera di scrittrice diventando una delle più popolari romanziere tedesche. Esordì con i racconti Pietose bugie (Feltrinelli 1991), continuò con Un accordo drammatico (Feltrinelli 1995), raggiunse nel 1997 un successo internazionale con il libro per ragazzi Le lettere del sabato, che racconta la persecuzione razziale attraverso le lettere che il piccolo Lazlo riceve dal padre e che le fruttò il premio Deutsche Jugendliteraturpreis, il più autorevole riconoscimento alla letteratura per ragazzi in Germania. Proseguì con Esterhazy.Storia di un coniglio,scritto con Hans Magnus Enzensberger (Einaudi 2002) e si misurò anche con il giallo (Un lavoro, Ein Job, 2000, nt), confermandosi poi ancora una volta come autrice di grande successo con La nonna vuota il sacco, pubblicato in Italia nel 2006 da Neri Pozza, ora alla nostra attenzione.

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La nonna vuota il sacco

La lettura di questo libro si è rivelata uno spasso dalla prima all’ultima riga. Irene Dische ricalca le orme dei grandi narratori otto novecenteschi con un’originale soluzione espositiva, consegnando allo sguardo ironico e disincantato della nonna materna Elisabeth il racconto autentico della sua saga famigliare, dove mette più in risalto le doti e le qualità di tre donne ardimentose a fronte di quelle mammolette dei mariti.
Il racconto lungo 330 pagine è mirabilmente incastonato senza prosopopea e artificiosità, nelle luci e nelle ombre della storia del Novecento.
Irene fin dall’infanzia ha subito il fascino della favolosa nonna tedesca Elisabeth per il brio con cui raccontava le cose, rendendo vivaci e sorprendenti anche le più banali. Ha ereditato  in modo spontaneo e naturale questa meravigliosa capacità, mettendola, a sua volta diventata grande, a frutto come scrittrice di storie. Ed ecco che come dovuto ringraziamento, alla nonna che vuota il sacco, riconsegna il ruolo che le apparteneva,immortalandola in un libro significativamente autobiografico, facendosi prestare il suo magico repertorio di parole, per lo più caustiche e schiette, proprio di chi non ha peli sulla lingua.
Il racconto di Elisabeth ha inizio negli anni venti quando lei era una fiorente ragazza dagli occhi azzurri, folti capelli castani e sottili labbra aristocratiche. Appartenente a una facoltosa famiglia alto borghese di pura razza ariana, incontrò Herr Professor Doktor Carl Rother, di origine ebraica, mentre lo assisteva come infermiera durante una operazione chirurgica. Gli piacque di lui la sua sicurezza nell’uso del bisturi e quell’aria di grand’uomo dal naso imponente, gli occhi neri e la voce sonora. Si innamorarono. Carl per amor suo e per sposarla si convertì al cattolicesimo e quando la portò nella sua grande casa di Leobchutz nell’Alta Slesia, lei seppe che l’avrebbe seguito in capo al  mondo, diventando Frau Professor Doktor . Seguirono giorni felici  intonati al piacere di vivere accanto all’uomo che ammirava più di tutti gli altri per la sua intelligenza e dirittura morale e per le sue straordinarie mani così ferme e potenti strumento di guarigione. La gioia di diventare mamma fu però oscurata dal fatto che invece di un bel maschietto biondo e bello nacque una femmina che come lei non avrebbe mai potuto diventare ufficiale ed eroe di guerra. Lei non aveva mai accettato di essere una femmina che, rispetto al fratello maschio Otto Gierlich, maggiore di soli dieci mesi, avviato a una brillante carriera politica, dovette accontentarsi di diplomarsi infermiera e partecipare ai disastri della prima guerra mondiale come angelo soccorritore. Otto, non le perdonerà mai di aver sposato un ebreo e non muoverà mai un dito per aiutarla quando glielo chiederà.
Raccontando di Renate, Elisabeth la inquadra subito come una bambina speciale sì, ma piena di difetti. Il nome scelto invece è quanto mai carico di speranze perché “per chi è rinata, nulla deve essere impossibile”. Infatti  il nome si rivelerà un vaticinio perché Renate con una tenacia incredibile fra ostacoli di ogni tipo, riuscirà a raggiungere i suoi traguardi professionali e umani. Dotata di spirito competitivo, con la sua bella faccia bianca e rossa da Vergine Maria e le trecce arrotolate intorno alla testa, ancora adolescente, approderà con i genitori nel New Jersey, e si farà rispettare dalle schizzinose compagne del college e a dimostrarsi in gamba in situazioni assai scabrose. Infatti per sfuggire alle persecuzioni razziali i suoi dovettero riparare nel Nuovo Mondo qualche tempo prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, subito partì il padre da solo e dopo qualche tempo lo raggiunsero lei e sua madre. Quando la nave entrò nel porto di New York fu una grande emozione per entrambe:  durante la risalita del fiume, l’America le accolse con questa spettacolare visione: “Un velo di foschia si levò sul festoso luccichio delle acque, mentre il sole del mattino srotolava un tappeto rosso davanti alla nave.” Ed era col cuore trepidante e pieno di speranza che Renate ed Elisabeth cercavano il volto di Carl e attendevano che il suo proverbiale fischio lo facesse emergere tra la folla. E fu così.
Una volta riuniti, dopo averne passate di ogni colore come profughi ebrei, riuscirono a sistemarsi dignitosamente e ad avere la cittadinanza americana. Dopo il college Renate frequentò Medicina all’Università con l’intenzione di diventare chirurgo, e vi incontrò il futuro marito, di 25 anni più vecchio, discendente anche lui di una’antica stirpe ebraica e, perdutamente innamorata, lo sposò contro il parere dei genitori. Un anno e mezzo dopo l’arrivo del primo foglio maschio, Renate mise al mondo Irene che fin dal primo vagito diede del filo da torcere a tutta la famiglia con eccessi di pianti convulsi isterici e al limite ricattatori. Ma Renate non ci fece gran caso, vide nella figlioletta la sua più fedele preziosa alleata.
A Irene, Elisabeth dedica più della metà del suo racconto, ma non coi toni adoranti delle nonnine, anche se ogni tanto fuoriesce un compiacente sentimento di orgoglio sotterraneo, piuttosto con paternali secche e inappellabili. Eccone un esempio: “Se da me, sua nonna, Irene ha preso la tendenza a ridere fuori luogo, da Dische, suo padre, ha ricevuto l’incapacità di riconoscere e di correggere i propri errori. Non sopporta di essere ripresa e le critiche le scivolano addosso come l’acqua su un procione: non deve nemmeno scuotersi. Lei si piace così com’è. E persevererà nei suoi errori”.
Irene non si curerà di sbagliare, darà retta solo alle sue voglie di provare e sperimentare  emozioni e sfide. Nasconderà a tutti che non le piace la musica rok, ma vagabonderà per  mezzo mondo mischiata elle scorribande degli Hippy, figli dei fiori, convinta che il loro stile di vita sia l’unico possibile. Poi ci ripenserà. Metterà la testa a posto. si sposerà, avrà due figli e continuerà a scrivere belle storie e a vivere felice e contenta. Nonostante la nonna.

Di pagina in pagina ne scoprirete delle belle da togliervi il respiro. Accanto alle donne di famiglia, Elisabeth alias Irene, farà un monumento alla memoria di tante altre donne fra le quali spicca Liesle, domestica tutto fare tipo gendarme, affezionata ma non tenera, fedele ma non sottomessa. Poi Margie, avvenente vedova allegra, amica del cuore di Carl che come medico cura la sua propensione all’alcool, rischiando di brutto di mettere in grave crisi la moglie e il suo matrimonio. O ancora la dolcissima Susie,unica vera amica americana di Elisabeth. Potete dilettarvi scorrazzando dentro una esuberante galleria di ritratti e di ricordi molti a colori, qualcuno in bianco e nero. Una lettura assai piacevole e frizzante per l’andirivieni del racconto fra presente, passato e futuro, in un accattivante versatile stile colloquiale scevro di ogni accademismo, ma sostanzioso di parole come cose. (Parole come cose, titolo del saggio dello scrittore Pier Luigi Facchin, mio ottimo amico).

Buona lettura!

 

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